Come Andor ha evitato gli easter egg da fanservice

Gli easter eggs di Andor non sono semplici fanservice, un cambio narrativo importante per la nuova serie di Star Wars

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a cura di Manuel Enrico

Le precedenti esperienze seriali di Star Wars su Disney Plus ci hanno mostrato come la presenza di easter egg e richiami al canone di Star Wars siano stati un elemento essenziale per la definizione di queste produzioni. The Mandalorian, The Book of Boba Fett e Obi-Wan Kenobi hanno puntato molto a questo aspetto di familiarità, quasi instaurando una caccia al tesoro con i fan di vecchio corso del franchise. Se da un lato questo aspetto ha costituto un espediente ingegnoso per ripristinare un legame emotiva tra spettatori e franchise, dall’altro questa esasperazione del meccanismo del citazionismo è stato visto da alcuni come un difetto di queste serie. Una visione condivisa anche da Tony Gilroy, che nel dare vita al suo racconto sul passato di Cassian Andor ha strutturato il world building di questo capitolo della saga in modo tale che in Andor gli easter egg non fossero un fanservice ruffiano.

I primi tre episodi di Andor, come abbiamo visto anche nella nostra caccia agli easter egg, hanno subito mostrato come la volontà di Gilroy abbia trovato la giusta incarnazione. Ambientato durante gli anni che intercorrono tra La Vendetta dei Sith e Una Nuova Speranza, Andor è a tutti gli effetti un prequel di Rogue One, film del 2016 in cui veniva raccontata l’eroica impresa delle spie ribelli che avevano trafugato i piani della prima Morte Nera. Come potete leggere nella nostra anteprima della serie, la definizione di questa ambientazione non viene costruita tramite una tradizionale rete di riferimenti e citazioni, quanto focalizzandosi sul vissuto di Cassian e sul ritratto di una società galattica in mutamento.

Per Andor, gli easter egg non saranno un semplice fanservice

Gli easter egg come strumento narrativo

L’uscita di The Mandalorian ha riacceso la passione dei fan della saga dopo la debacle della Trilogia Sequel presentandoci un nuovo personaggio, Din Djarin, inserendolo in contesto relativamente nuovo della saga, il periodo tra Il Ritorno dello Jedi e Il Risveglio della Forza. L’avventura del Mando ha saputo far leva sui fan del franchise soprattutto per la costruzione di un senso di familiarità che non fosse dato solo dall’appartenenza a un contesto narrativo noto, ma che si affidasse alla presenza di un numero consistente di easter egg di Star Wars. Non solo sul piano puramente nozionistico, ma anche ricercando stilemi narrativi che affondano nelle origini della saga, creando quindi una facile empatia con lo spettatore appassionato.

Contando come Jon Favreau e Dave Filoni siano ancor prima che sceneggiatori dei veri appassionati della saga, questa loro aderenza al canone del franchise è stata pesantemente influenzata dalla voglia di condividere la propria conoscenza, anche dei dettagli più incredibili, con gli appassionati generando una vera e propria caccia all’easter egg. Tendenza, va ammesso, che sembra divenuta una consuetudine nelle produzioni legate a noti franchise, come hanno dimostrato anche le serie del Marvel Cinematic Universe. Ma questo esubero nell’inserire riferimenti al canone della saga, può divenire anche un elemento di disturbo, specialmente quanto sono parte di una narrazione poco curata e risultano, quindi, quasi un tentativo di coprire con l’entusiasmo del citazionismo pecche evidenti.

The Book of Boba Fett e Obi-Wan Kenobi hanno fatto emergere proprio questa nota stonata, che in diverse occasioni è risultata quasi una sorta di compromesso tra produzione e spettatore: non badate alla qualità, pensate a quanti easter egg vi stiamo dando! Per quanto apprezzabili, questi richiami dovrebbero essere delle colonne su cui posare una più accorta opera di world builiding, utilizzandoli come strumenti di precisione per realizzare complesse e avvincenti architetture narrative, proprio come aveva fatto uno dei migliori (se non il migliore) dei nuovi capitoli cinematografici di Star Wars post- Canon: Rogue One.

Rogue One: un nuovo modo di raccontare Star Wars

Mentre Star War tornava al cinema con Il Risveglio della Forza, il riaccendersi dell’interesse dei fan per la saga aveva convinto a realizzare nuovi film che si distaccassero dal corso principale del franchise per raccontare capitoli solo brevemente accennati nel complesso intreccio crossmediale di Star Wars. Con Rogue One (2016) si era scelto di svelare la missione eroica che aveva reso possibile, in Una Nuova Speranza, infliggere un duro colpo all’Impero con la distruzione della Morte Nera.

Compito non semplice, considerato che non solo si trattava di dare spessore a un momento della saga che era stato solo brevemente accennato, ma si doveva anche dare una prima testimonianza del drammatico periodo noto come l’Ascesa dell’Impero, in cui la galassia si stava assestando nel nuovo ordine imperiale. Per quanto non mancassero potenziali sfruttamenti di personaggi noti o di situazioni, anche future, a cui fare pesante affidamento, Rogue One risultò essere infine un war movie calato nell’universo di Star Wars, in cui si respirava l’aria familiare della saga, ma in cui gli easter egg e la meccanica citazionista non soffocava la storia, bensì si limitava a creare un sottotesto referenziale contenuto e funzionale alla storia, senza mai prendere il sopravvento a danno della narrazione.

Quindi, già in Rogue One, atipico war movie diretto da Gareth Edwards dove Gilroy aveva partecipato come sceneggiatore, si sera cercato di valorizzare questo aspetto. La scelta era stata di creare un distacco dagli stilemi narrativi tipici della Skywalker Saga, tanto che i fan rimasero sorpresi di non vedere i tradizionali titoli di apertura di Star Wars e non sentire la celebre fanfara, ma un simile atto di coraggio non denotava solamente un allontanarsi da un terreno sicuro, quanto la volontà di offrire un modo diverso di conoscere la galassia di Star Wars. E questo, inevitabilmente, ha portato a non affidarsi ciecamente ai riferimenti della saga, in quanto era necessario creare un vero e proprio ‘cuscinetto narrativo’, un momento della continuity in cui le vestigia della Repubblica e il futuro Impero non potevano esser considerati come i punti di ancoraggio della storia. Pur sapendo dove si sarebbe arrivati al termine del film, la scelta di utilizzare personaggi noti, come Vader o Tarkin, la presenza di figura chiave sia del passato della Ribellione, come Saw Gerrera, o del suo futuro, da Mon Mothma a Bail Organa, non è stata asservita a uno spietato fanservice, preferendo centellinare questi capisaldi del franchise in modo intelligente, rendendoli organicamente parte del racconto.

Questo aspetto, unito a una fotografica dalle tinte prevalentemente fredde sosteneva una vena narrativa acre e priva della tradizionale ironia della saga, in cui era subito il tono greve con cui venivano descritte figure come Jyn Erso e Cassian Andor, lontani dal prototipo dell’eroe tipico di Star Wars. Considerata la natura di Andor, prequel diretto di Rogue One, è quindi facilmente comprensibile come la ricerca di una familiarità all’interno del contesto di Star Wars non si fondasse sugli easter egg, quanto sull’assonanza alle atmosfere del film di Edwards, non solamente sul piano ambientale, ma anche su quello narrativo, stilistico, prendendone i tratti essenziali, tra cui l’emanciparsi dalla facile tentazione del citazionismo sfeanto.

Questa natura di Rogue One, quindi, è stata portata anche all’interno di Andor, dove Gilroy ha manifestato la sua intenzione di non limitarsi a inserire easter eggs, ma di creare un universo che, pur riconoscibile come parte di Star Wars, fosse in grado di presentare una più evidente matrice sociale:

“Non volevamo fare nulla che fosse un puro fanservice. Sin dall’inizio la nostra missione avevamo il compito di realizzare una storia che non fosse cinica, ma che fosse quanto più possibile reale e onesto. Introdurremo nuovi personaggi durante la storia e rivedrete in modo diverso già noti”

I primi tre episodi di Andor sono stati un chiaro segnale di questo approccio. La scansione dei tempi narrativi della serie, due stagioni da 12 episodi ciascuna, prevede un più pacato sviluppo del passato di Cassian (Diego Luna), che lascia agli sceneggiatori la possibilità di concentrarsi con maggior attenzione alla definizione della componente sociale della galassia. Un concetto di world building che può reggersi tranquillamente senza l’ingombrante necessità di creare punti di contatto al resto della saga con forzosi richiami e citazioni.

Andor: easter egg funzionali e non puro fanservice

Aiuta non poco, in tal senso, il fatto che Cassian non sia un eroe di primo piano della saga, contrariamente a Obi-Wan Kenobi o Boba Fett. Sino all’uscita di Andor, l’agente ribelle era una figura di secondo piano, promettente sul piano narrativo, ma che poteva tranquillamente aver concluso il suo ciclo vitale nella pellicola di Edwards. Poter trasformare una personalità così affascinante in un punto di vista privilegiato di uno dei momenti più intesi del canone di Star Wars, tuttavia, ha reso Cassian un personaggio di punta, un protagonista, che trova il suo posto nel novero degli eroi del franchise. La serie, anzi, consente di sviluppare la sua personalità futura, con piccoli interventi di retcon (come il cambiare il suo pianeta natio da Fest e Kenari, cambio focale per la stagione), intrecciando la sua vita alla nascita della futura Alleanza Ribelle.

La vera sfida di Gilroy e soci è, dunque, creare una storia di cui già sappiamo l’epilogo (ovvero Rogue One), riuscendo comunque a dare le giuste coordinate per comprendere come siamo arrivati realmente a Una Nuova Speranza. Il recupero di personalità come Saw Gerrera (Forest Whitaker) o Mon Mothma (Genieve O’Reilly) non è più un gioco di citazioni, ma diventa lo strumento per comprendere l’evolversi sociale e politico dell’universo di Star Wars, andando ben oltre il mero easter egg, diventando una colonna portante dello sviluppo della serie e assumendo il tono di concreta aderenza alla continuity del franchise.

Questo non significa che gli easter egg siano assolutamente banditi da Andor, ma solo che il loro sarà un uso e non un abuso strumentale. I primi tre episodi contengono, infatti, alcuni piccoli riferimenti alla tradizione della saga, ma sono pensati come conferma della società galattica che abbiamo conosciuto, lasciandoci finalmente il gusto di assaporare una storia avvincente e fresca senza la tentazione di trasformare questa visione in una più banale caccia al tesoro.

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