Tutto parte da una leggenda metropolitana con Cocainorso, da una storia realmente accaduta che diventa qualcosa di sempre più affascinante, al punto che gli americani hanno cominciato a ingrandirla e a fantasticarci sopra, traendone una serie di spunti e teorie che ad oggi possono essere ancora ascoltate se si va nei posti giusti. La trama di Cocainorso, il nuovo film di Elizabeth Banks nei cinema il 20 aprile, attinge dagli eventi reali accaduti in Georgia durante gli anni ’80, e li rielabora in una storia dalle tinte palesamenti pulp, in cui la violenza, pur essendo centrale, è accompagnata da una serie di trovate generali che sanno come alleggerire la situazione. La parola che meglio riesce a descrivere questo film è scorretto. Ogni cosa è scorretta qui, con un piglio narrativo che tende a dissacrare e smontare, piuttosto che a costruire. La regista ha preso una serie di stereotipi e macchiette direttamente dal genere horror, e le ha sfruttate per intessere il suo racconto di momenti in cui il black humor diventa uno strumento sia per prendere in giro quello che accade, che i suoi stessi personaggi.
Potremmo quasi leggere in Cocainorso una sorta di critica ad alcuni aspetti della società americana, anche se è molto più facile ricollegare il suo modo di raccontare al pulp più classico, a quelle storie dagli intrecci sia curiosi che divertentissimi in cui ogni personaggio ti resta impresso per le ragioni sbagliate, con scene memorabilmente traumatizzanti e momenti in cui tutto può succedere.
Un Cocainorso inarrestabile
Come accennato anche sopra, la storia di Cocainorso si ispira a un fatto di cronaca realmente accaduto. Tutto ha inizio negli anni ’80, precisamente nel 1985, quando Andrew Carter Thornton II, figlio di un importante allevatore di cavalli del Kentucky passato dall’essere un paracadutista militare al traffico di stupefacenti, si lancia da un aereo con indosso circa 15 milioni di dollari di cocaina con sé. Il troppo peso, però, non consentì al paracadute di aprirsi, rendendo quel lancio l’ultimo della sua vita. Altri rimasugli del suo carico vennero successivamente rinvenuti da un cacciatore della Georgia, insieme al corpo di un grande orso nero di 100 kg che ne aveva fatto uso, trovando la morte per overdose.
Questa storia finì su tutti i giornali che cominciarono ad attribuire all’orso i soprannomi più svariati tra cui Cocainorso, appunto, Orso delle nevi e Pablo Escobear, per citarne alcuni. Inoltre ne nacque una vera e propria leggenda metropolitana secondo cui l’animale, guidato dall’ebbrezza della cocaina, avrebbe compiuto le più folli e indicibili azioni ingrandite di racconto in racconto, specialmente a livello locale, fino a diventare un vero e proprio simbolo immortale.
Il film di Elizabeth Banks parte proprio da tutta questa storia e dai racconti nati in seguito, per poi sviluppare una narrazione horror comica e pulp con le stesse identiche premesse. Al centro di Cocainorso l’unico vero protagonista è proprio l’orso in sé, tutti gli altri esseri umani si ritrovano sul suo cammino per una serie di coincidenze e casualità corali che sviluppano, a poco a poco, ogni intreccio narrativo. Quindi ci ritroviamo fra le mani una manciata di storie tutte differenti che, bene o male, riescono ad incontrarsi tutte in maniera coerente e anche originale, in alcuni casi. Così vediamo una madre single (Keri Russell) che cerca di mantenere saldo il rapporto con la figlia piccola, in un momento della sua vita in cui sta cercando anche di trovare il proprio spazio fuori dalla famiglia, un poliziotto (Isiah Whitlock Jr.) che cerca d’incastrare da sempre un noto trafficante americano (Ray Liotta), in crisi per via della scomparsa di un importante carico di merce nel bosco della Georgia, una ranger (Margo Martindale) che cerca di sedurre un suo collega (Jesse Tyler Ferguson) e dei teppisti che si aggirano per le strade alla ricerca di problemi con furterelli e piccoli agguati.
Tutti loro non hanno assolutamente niente in comune, eppure la sceneggiatura di Jimmy Warden riesce a costruire una serie d’intrecci che rendono estremamente divertente e imprevedibile tutto il ritmo del film, portando ogni storia a collimare con le altre senza farle risultare mai scontate, seppur grottesche. Ecco, l’elemento grottesco è fondamentale nella trama di Cocainorso che, di base, non segue mai del tutto una direzione univoca, preferendo una narrazione corale dai mille spunti (anche folli), alla classica struttura con un solo protagonista che porta avanti ogni cosa. Al centro di tutto, ovviamente, troviamo la questione della cocaina nel bosco. È proprio questo evento particolare a innescare quasi tutte le trame in gioco, pur se i vari personaggi si dirigeranno sul posto con ragioni anche diverse da questa.
Essere pulp e irriverenti
La storia di Cocainorso, nel suo insieme, non può non ricordare i racconti pulp che negli anni ’90 (molto presenti anche in Italia con gli scrittori cosiddetti “Cannibali”) che avevano letteralmente conquistato la letteratura contemporanea, sfornando storie memorabili come “L’ultimo capodanno dell’umanità” di Niccolò Ammaniti, per citarne uno. La struttura corale della storia, fusa alla violenza grottesca e dai tratti splatter, innesca una serie di riflessioni che si connettono direttamente ai personaggi in gioco, cercando continuamente di smorzare la tensione in favore di una leggerezza dai tratti demenziali. Ognuno di loro, infatti, non viene mai del tutto approfondito, ma comunque trattato attraverso un piglio grottesco che tende a smontare gli stereotipi dei monster movie come Jurassic Park, Godzilla, Lo Squalo e altri (potete recuperarli facilmente su Amazon), rielaborando l’azione a schermo con una serie di trovate divertenti, quasi sempre difficili da prevedere e dai tratti consapevolmente trash.
È proprio questo genere di consapevolezza a rendere il film interessante fin dalla sua primissima sequenza, tracciando una linea di demarcazione riconoscibile dall’inizio alla fine.
Ancora gli anni ’80
Basandosi su una storia avvenuta durante gli anni ’80 la regista ha deciso di ambientare Cocainorso nello stesso periodo. Anche se la maggior parte dell’azione si svolge in un bosco, è interessante notare anche una certa cura nei confronti dell’ambientazione e del mondo in cui i vari personaggi si pongono gli uni agli altri (questa la si può notare sia nei costumi che nei posti frequentati al di fuori della natura selvaggia). Vedendolo in lingua originale, per giunta, si possono notare anche alcuni vezzi linguistici tipici del periodo (nel modo di parlare e nello slang di alcuni personaggi), che rendono ancora più credibili le interpretazioni di tutto il cast.
Inoltre, pur non avendo una CGI grandiosa, la possente e terrificante presenza dell’orso riesce comunque a farsi sentire, delineata da questa regia che alterna un tipo di violenza dai tratti sia trash che grotteschi, seguendo l'azione senza mai prendersi troppo sul serio. Elizabeth Banks è quindi riuscita nel suo intento, ha costruito una pellicola che parte da una tragedia traendone una storia cinematografica che sa come intrattenere e divertire il pubblico. Il suo modo di raccontare non è quasi mai banale, ed è proprio nell’imprevedibilità folle di Cocainorso che troviamo anche il suo cuore pulsante, e un certo tipo di irriverenza da non sottovalutare affatto.
Non il film dell’anno, quindi, ma comunque una pellicola che sa quello che vuole e lo porta avanti senza starci troppo a pensare, rompendo anche con tutti i buonismi e i moralismi del caso, ed è proprio qui che si distingue da tantissime pellicole contemporanee.