A qualche anno dalla sua ultima edizione, Planet Manga rispolvera un grande classico del fumetto giapponese degli anni '80 in una nuova edizione. Stiamo parlando di City Hunter XYZ 1, primo volume di dodici totali, con cui potremo rituffarci nell'opera di Tsukasa Hojo. City Hunter è uno dei personaggi orientali più popolari nel nostro paese, merito sicuramente della sua trasposizione animata, e la sua serie è una delle più influenti dal punto di vista estetico-narrativo avendo contribuito, insieme a Cat's Eye (prima opera dello stesso sensei Hojo) e ad un'altra manciata di manga e/o loro conseguenti adattamenti animati, a consolidare l'idea stessa di fumetto giapponese al pari, seppur in maniera diametralmente differente, di quanto fece negli anni '70 l'invasione televisiva delle serie robotiche.
City Hunter XYZ 1: il mio nome è Saeba, Ryo Saeba
Ryo Saeba è uno sweeper. Basta scrivere XYZ sulla bacheca degli annunci fuori l'uscita est della stazione di Shinjuku e Ryo vi contatterà. Questo perché Ryo è un "tutto fare", nome in codice City Hunter: è una guardia del corpo, un investigatore privato, e all'occorrenza, se la vostra richiesta tocca il suo animo, è anche un sicario. Quali sia il suo passato è un mistero, fatto sta che si tratta di un tiratore infallibile e un professionista sempre pieno di risorse.
In coppia con Ryo lavora l'ex-poliziotto Hideyuki Makimura che ha il compito di selezionare gli annunci ed eventualmente di incontrare i clienti. Proprio l'incontro con un cliente è fatale per Hideyuki che lascia a Ryo il compito di prendersi cura di sua sorella adottiva, la coriacea Kaori. Sulla tracce di Ryo c'è infatti la Union Teope, una nuova organizzazione criminale che punta a prendere il controllo di tutte le attività illecite di Tokyo e dintorni.
Lo sprezzante rifiuto di Ryo tuttavia mette sulla schiena di City Hunter, quindi sulla sua ma anche su quella di Kaori, un bersaglio. Le prime avvisaglie di quella che sembra essere una guerra di mala a tutto campo, spingo Ryo ad ascoltare la proposta di uno dei capi della yakuza finendo per lavorare per lui, sotto lautissimo compenso, come guardia del corpo di sua figlia, la prepotente Sayaka.
Ryo, all'apparenza sempre distratto dalle curve femminili che lo circondano, ha capito che Union Teope e yakuza vogliono utilizzarlo come caprio espiatorio e si sfila guadagnando però una seconda assistente ovvero la stessa Sayaka che sembra essersi invaghita dello sweeper. Con Sayaka al seguito, Ryo dapprima aiuta un uomo ricattato da un politico a sparire e poi accetta l'incarico di proteggere una famosa attrice vittima di numerosi attenti. Sulle sue tracce infatti sembra esserci un altro sweeper infallibile chiamato Umibozu.
City Hunter XYZ 1: che ne sarà di questi anni '80?
Tsukasa Hojo è stato uno dei primissimi mangaka ad avvertire il "pericolo" della occidentalizzazione del fumetto giapponese e di come, l'apertura ai mercati occidentali e soprattutto a certi gusti e stilemi occidentali, avrebbero cambiato il panorama del fumetto nipponico. Se queste esternazioni risalgono a più di 20 anni fa, e sarebbe interessare risentire Hojo-sensei oggi allorché i manga dominano commercialmente e non solo il mondo dell'editoria e dell'intrattenimento, è indubbio come City Hunter XYZ 1 dimostri come, pur rimanendo ancorato ai canoni del fumetto nipponico più classico della seconda metà degli anni '80, lo stile grafico, l'estetica e la narrazione dell'opera fungano da ideale anello di congiunzione per il lettore occidentale e quello giapponese.
In questo senso la chiave di lettura è da individuarsi nello stile realistico del disegno di Hojo, nelle sue linee lunghe e flessuose dal tratteggio estremamente posato e dall'uso di retini e delle mezzetinte anziché del più robusto chiaroscuro. Le anatomie diventano scattanti mentre il riguardo per il corpo femminile è da manuale non solo nei nudi (pochi e comunque non fini a sé stessi) ma anche quando le curve devono essere evidenziate dal panneggio degli abiti.
Mentre narrativamente, Hojo rinnova una formula e "universale": unire azione e umorismo, pistole e belle donne. Le radici di questa commistione sono eterogenee e non strettamente legate al fumetto aprendosi anche al cinema e alla televisione occidentali. Si tratta di una scelta più o meno consapevole di Hojo che dopo il caper/heist della sua prima opera Cat's Eye recupera a piene mani dal genere hard boiled, che aveva avuto un picco di popolarità proprio fra la fine degli anni '70 e i primi anni '80, unendo idealmente la tradizione di Golgo 13 del compianto Tako Saito (recentemente scomparso) con quella più scherzosa ma intrigante del Lupin III di Monkey Punch.
L'intuizione è semplice e meravigliosamente efficace. City Hunter viaggia narrativamente fra episodio brevi e medio-brevi (3, 4 capitoli) offrendo al lettore una lieve, almeno nel primo volume, trama orizzontale optando invece per una verticalità che premia l'immediatezza e la fruibilità. La tensione è poi tutta giocata, come detto poco sopra, fra l'azione, che si rifà in maniera abbastanza lapalissiana a quella tipica della produzione cinematografica/televisiva americana e quindi con l'eroe infallibile, misterioso ma affabile, e l'umorismo dove invece gli stilemi tipici del fumetto (e delle cultura) nipponici vengono marcati maggiormente con gli espliciti riferimenti sessuali che non sono mai esagerati e risultano sempre ingenuamente divertenti o ancora, graficamente, la marcata espressività dei personaggi.
È facile quindi comprendere perché City Hunter sia diventato estremamente popolare in Italia ma anche in Francia (trasformandosi in Nicky Larson) e in Spagna. Sia dal punto di vista grafico che narrativo, la serie, pur essendo nata e sviluppata nel solco di una tradizione giapponese, ha in sé, forse non coscientemente, alcuni degli elementi che più Europa che negli Stati Uniti sono sinonimo di fumetto: il bel disegno, la fruibilità immediata lontana dall'intricato mondo della continuity dei comics e così via.
Ma non è tutto. C'è un aspetto che il sensei Hojo spinge al limite in City Hunter ed è calare la sua narrazione nel contemporaneo, un contemporaneo che è ovviamente quello degli anni '80 con la sua estetica, oggi tornata di modo per vie traverse nel movimento vapor/retrowave, che ha il merito non solo di rendere Tokyo, mai come prima di allora, una metropoli dai connotati "internazionali" ma anche di tirar fuori il lato sempre trendy dei personaggi. Che sia l'attenzione per la moda e per il panneggio degli abiti, per le anatomie flessuose o nelle splendide e vintage pin-up che aprono i capitoli, è qui che forse City Hunter mostra tutta la sua "occidentalità" unendo cioè l'edonismo di Miami Vice con la robustezza del Callaghan di Clint Eastwood, l'umorismo di Lupin III con l'hard boiled di Golgo 13.
In questo senso City Hunter XYZ 1 è una lettura ancora fresca e divertente o eventualmente una rilettura da rifare con maturata consapevolezza dell'influenza del tratto e dello stile narrativo profondamente sincretico di Tsukasa Hojo. Inoltre, pur esteticamente come detto poco sopra indubbiamente figlia degli anni '80, la serie offre ancora, soprattutto ai giovani disegnatori che vogliono cimentarsi con lo stile e le tecniche nipponiche, un passaggio imprescindibile per chiarezza e versatilità.
La nuova edizione XYZ
La nuova edizione dell'opera di Tsukasa Hojo approntata da approntata da Planet Manga e rinominata City Hunter XYZ è una nuova kanzenban che si differenzia dalla precedente Complete Edition del 2010 soprattutto per la corposità dei volumi. La serie infatti verrà raccolta in 12 volumi da 500/600 pagine l'uno a fronte dei 35 volumi proprio della Complete Edition (che ricalcava l'edizione originale) e della prima edizione italiana che invece contava 39 tankobon.
City Hunter XYZ presenta una sovraccoperta con grafica rinnovata e decisamente accattivante, pagine a colori per il primo capitolo, un indice sinottico a fine volume utile per rintracciare i vari episodi e le varie saghe che compongono la serie nelle sue diverse edizioni e la prima parte di una intervista allo stesso sensei Hojo sulla genesi dell'opera. Dal punto di vista editoriale non ci sono contenuti degli editor italiani tuttavia è da segnalare l'ottimo adattamento e la scorrevole traduzione.
Diverso il discorso dal punto di vista carto-tecnico. Se infatti è assolutamente apprezzabile la scelta di utilizzare una carta usomano bianca dalla grammatura importante che esalta il tratto del sensei, la brossura, pur impeccabile, mostra qualche "segno di cedimento" sulla costina che, anche a causa del color argento della copertina, mostra più di un segno di lettura soprattutto quando si supera la metà del volume.
Nulla che infici la lettura sia ben chiaro ma i collezionisti più esigenti sono avvisati.