Verrebbe da dire, prima di tutto, che ogni epoca è attraversata da paure differenti. Ma sarebbe da un lato una banalità, da un altro una semplificazione eccessiva. Nel senso che è ovvio che a condizioni – sociali, economiche, interiori, persino meteorologiche – differenti corrispondano reazioni differenti. Ma anche nel senso che a ciascun gruppo o micro-gruppo sociale, e in alcuni casi a ciascun individuo, corrispondono paure, timori e tremori specifici.
A queste e altre cose fa pensare Chapelwite, la nuova serie tv scritta da Peter e Jason Filardi, prodotta da Adrien Brody – che ne è anche il protagonista –, trasmessa negli USA da Epix e dal prossimo 26 ottobre in Italia da Tim Vision. Ma, soprattutto, tratta e adattata da un racconto di Stephen King. Anzi, dal primo racconto della prima raccolta di storie brevi dello Zio Stephen, cioè A volte ritornano. Il racconto in questione si intitola Jerusalem’s Lot, è lungo una quarantina di pagine ed è ambientato nel 1850 all’interno di una casa denominata appunto Chapelwaite, vicino al piccolissimo paese di Preacher’s Corner, che si trova a pochi chilometri da un immondo, sinistro e apparato paese che si chiama appunto Jerusalem’s Lot. Nome e titolo che nella testa dei lettori di King suona familiare anche per via di Le notti di Salem, in originale Salem’s Lot, il primo romanzo lungo dello Zio.
Chapelwaite: dai racconti di King all'entertainment streaming
Dunque, cosa c’entrano questi primi cenni con la nuova serie tv in arrivo? Tutto e niente. Tutto, nel senso che la serie, di cui ho avuto modo di vedere in anteprima i due episodi, è ambientata negli stessi luoghi, negli stessi anni e con lo stesso protagonista. Niente, nel senso che le due storie prendono direzioni molto diverse, con personaggi diversi, pur avendo un patrimonio narrativo in comune, ma intenzioni molto diverse. Almeno secondo me. È un male? Affatto, perché Chapelwaite, almeno dalle premesse, ha tutto ciò che occorre per essere un’ottima serie, inquietante, appassionante, ben scritta e ben recitata.
Jerusalem’s Lot, il racconto, è una rapida e classicheggiante incursione nell’universo di Lovecraft. Un omaggio di King al mondo di H.P. Lovecraft, richiamato esplicitamente grazie alla presenza dei caprimulghi – o succiacapre –, cioè gli uccelli notturni considerati spiriti in forma animale – detti psicompi – in grado di traghettare le anime nell’aldilà che compaiono in L’orrore di Dunwich; e grazie a Yogsoggoth e altri richiami alla mitologia lovecraftiana, come quella che appare appunto in Il caso di Charles Dexter Ward. Ma è anche, in filigrana, grazie al tema della casa infestata, un omaggio a un’altra grande auterice, amatissima da King, cioè Shirley Jackson, autrice di L’incubo di Hill House, che è diventata pochi anni fa una serie tv molto amata, prodotta da Netflix.
Il racconto di King ha per protagonista Charles Boone, uno scrittore, o almeno così pare, che eredita una grande casa, sinistra e rumorosa, da un cugino appartenente al ramo della famiglia con cui suo nonno aveva litigato. Le pareti della casa sono attraversate di continuo da rumori che fanno pensare a enormi topi al lavoro – ma non ci sono fori di ingresso o escrementi in giro –, diverse morti si sono succedute all’esterno e all’interno, specie in cantina, e chiunque vi prenda dimora viene considerato dagli abitanti di Preacher’s Corner pazzo, maledetto e pericoloso.
Charles Boone arriva nella casa con un suo servitore, nel racconto di King, e inizia a scrivere lettere a un fantomatico interlocutore per raccontargli cosa accade. In poco più di un mese tutto degnera e le cose finiscono male. La paura, nel racconto di King, è viscerale, ancestrale, affonda le radici nella provincia americana di metà ‘800 e mostra in filigrana timori puritani e abissi da horror gotico.
L'orrore in tutte le sue forme
E la serie tv? La serie tradisce e non rispetta – giustamente – questo spirito. Affida a Brody il ruolo di Charles Boone, ma si tratta di un ex capitano di nave, la cui moglie nativa americana è appena morta, lasciandolo solo con due figlie e un figlio, in balìa degli stessi pregiudizi, degli stessi rumori provenienti dalle pareti, degli stessi caprimulghi, ma con l’assistenza di una tutrice (in realtà una giornalista) interpretata da Emily Hampshire, che si occupa dei ragazzi e indaga sui misteri che riguardano Chapelwaite.
Così, nei primi due episodi, è chiaro che si parla sì di paure ancestrali e profonde, ma soprattutto di altre paure. Che riguardano il ruolo dei genitori veri e simbolici (un padre pazzo e violento), quello delle donne in una società retrograda, il pregiudizio etnico e sociale, la forma che ha preso e sta prendendo una nazione complessa come gli Stati Uniti, in cui l’esterno – il mare del capitano – e l’interno – il piccolo paese, la casa stessa, la cantina – sono in costante conflitto.
Dunque, guardate Chapelwaite, perché racconta una storia di terrore e mistero, promette di spaventare e inquietare, ma prendendo la strada irrispettosa, rispetto al racconto di King, di un racconto che dall’orrore profondo e cosmico di Lovecraft, passando per le infestazioni della Jackson, arriva forse fino all’horror indie di Jordan Peele, in cui le storture sociali sono spaventose quanto i demoni interiori. E vogliamo sapere come andrà a finire. Per Charles Boone, i suoi figli, Chapelwaite e il cuore profondo e forse oscuro di una nazione.