Captain Marvel è un film godibile ma imperfetto. Lo diciamo così, in apertura, per dare a questa recensione uno slancio in media res, che è poi lo stesso escamotage narrativo del film. Quello, cioè, di partire da una situazione di mezzo, lasciando che l'eroina del film cominci poi un lungo e periglioso viaggio all'interno della propria memoria, nel tentativo di riedificare sé stessa.
Oltre, onestamente, non possiamo dire, onde evitare qualunque forma di spoiler. Vi basti sapere che il film è ambientato nel 1996, e che al centro delle sue vicende c'è il personaggio di Vers (Brie Larson), soldato d'elite della razza aliena Kree, che nel tentativo di fermare l'invasione degli alieni Skrull ai danni dell'universo, finirà suo malgrado sul pianeta Terra, dove gli Skrull sono alla ricerca di qualcosa che possa fermare la guerra.
Impossibile dire altro, a patto di spoilerare gran parte degli eventi, almeno un graditissimo colpo di scena e, soprattutto, avviare una lunga discussione sulla continuity del MCU, che Captain Marvel ovviamente non ignora, ma che almeno per un motivo mette lo spettatore in condizione di dover scavare nella propria memoria alla ricerca di una risposta. Che non è un male, intendiamoci, ma dopo 11 anni di film è evidente che le informazioni cominciano ad essere tante, e non sempre si può far ordine facilmente. Detto ciò:
Un viaggio nella memoria, si è detto, perché a differenza delle origini Marvel raccontate sino ad oggi, in cui l'eroe deve in qualche modo “guadagnarsi” il proprio potere, dimostrando comunque di esserne all'altezza, in Captain Marvel l'eroina interpretata da Brie Larson ha già dentro di sé quel potere eccezionale che la renderà fondamentale per la battaglia contro Thanos. È lì, dentro di lei, limitato però nell'uso da un certo impeto, da una certa emotività, il cui controllo è poi al centro di buona parte delle vicende.
Vicende il cui fulcro è la guerra tra Kree e Skrull, due razze aliene ben note al fandom dei fumetti Marvel, e solo marginalmente note, quanto meno nella figura dei primi, a chi di Marvel non mastica altro che l'universo cinematografico.
Ricapitolando, quindi, c'è Vers, il personaggio di Brie Larson, il cui vuoto di memoria le impedisce di fare i conti con sé stessa e il proprio passato. Ci sono Kree e Skrull che si fanno la guerra nel costante tentativo di un reciproco genocidio, e ci siamo poi noi, gli esseri umani, qui rappresentati da Samuel L. Jackson/Nick Fury, ringiovanito per l'occasione grazie ad un eccezionale lavoro di computer grafica, che non riesce proprio a raccapezzarsi del fatto che la minaccia alla Terra possa provenire dallo spazio e non dai nemici di sempre.
Siete confusi? Bene, allora il nostro scopo è raggiunto. Il principale problema di Captain Marvel è infatti l'esposizione. La proposizione di quelle che sono le vicende che sorreggono il racconto in tutte le sue parti o, per la precisione, in quelli che sono tre atti ben distinti, all'interno di cui si evolve e sviluppa il personaggio di Captain Marvel. Il sistema scelto da Marvel, ovvero quello di utilizzare gli stessi personaggi per spiegare dettagli del passato, del presente e della complessa situazione politica che sussiste tra Kree e Skrull non è certo una novità in questo genere di film, ma le informazioni sono tante e Captain Marvel ha dalla sua anche lo “svantaggio” di essere un film sulle origini di un supereroe che deve cedere talvolta il passo ad un pesante lavoro di continuity.
Perché Captain Marvel è così importante? Come fa ad essere così potente? Qual è il rapporto che la lega con Nick Fury? Che cosa c'è stato prima? Sono tutte domande a cui il film deve rispondere, in primis per dare contesto al personaggio di Brie Larson, e in seconda istanza per ricollegare quei “vuoti” che si sono ideologicamente creati nell'Universo Marvel al momento della sua supposta esistenza, leggasi alla fine di Infinity War.
Il risultato è che ci sono almeno un paio di passaggi che lasceranno lo spettatore un po' stordito. Difficile parlare adesso nel dettaglio, pena una gravosa serie di spoiler su di una trama che, per altro, ad un certo punto sovverte le carte in tavola in modo molto apprezzabile. Ma la risultante è che la continuity Marvel, ovvero 10 anni di narrativa al cinema in un numero ormai esagerato di film, comincia, se non a mostrare il fianco, a richiedere comunque uno sforzo da parte dello spettatore. E non è detto che sia uno sforzo gradevole.
Al netto di ciò c'è comunque un buon film, forse una delle migliori origini sui supereroi quanto meno per ritmo narrativo, complice anche la capacità dello script di fronteggiare un problema che è spesso gravoso all'interno dei cinecomic: quello degli eroi troppo potenti, apparentemente senza limiti, il cui sviluppo non può essere cercato che all'interno dei sentimenti, più che dell'azione. Azione che non manca, ma che in fin dei conti non è proprio così memorabile.
Molto meglio la parte più ideologica, o se vogliamo più psicologica, che per altro ha anche il pregio di mettere in scena (finalmente) un Nick Fury più stratificato e rotondo, più in linea con le capacità di Samuel L. Jackson, ad oggi limitate da una presenza scenica quanto mai blanda e sottotono.
A brillare sicuramente sono i personaggi di Jude Law (Yon-Rogg) e Ben Mendelsohn (Talos), due attori di straordinario talento, al servizio della pellicola per mezzo di due personaggi che riescono, ognuno a modo suo, a superare il confine ideologico nel quale sono incastrati, ovvero la succitata guerra Kree Skrull in cui, come immaginerete, i due sono contrapposti. Una guerra che si presta, per altro, anche ad momento in cui si spreca uno spunto politico abbastanza evidente, lasciato però in sospeso ed appannaggio di chi, tra gli spettatori, vorrà o saprà coglierlo. In tal senso, forse, Black Panther, con tutti i suoi difetti era riuscito a dire e fare di più, e questo è un peccato.
Un peccato perché Marvel segna invece un punto notevole in quello che era il suo obiettivo principale: recuperare il gap con il resto del mondo del cinema e presentare al proprio pubblico il suo primo personaggio femminile forte. Dispiace che nel farlo si sia messo da parte per anni la Vedova Nera della Johansson, ma forse la spiegazione è più semplice del previsto.
La Vedova, nel suo essere uno spia, in passato anche doppiogiochista, non è forse quella figura positiva di cui la Marvel sente di aver un disperato bisogno per recuperare il terreno perso sulla marcia del cinema al femminile. In altri contesti, probabilmente, sarebbe stata la Vedova a ricevere e meritare più spazio. Ma qui non è così. Serve una donna sì forte e tremendamente “badass”, ma che sia positiva in tutto e per tutto, che sia sorridente “come una principessa” (e che magari ne abbia anche vagamente l'aspetto), ma che non sia vittima di alcun risvolto in negativo che ne possa macchiare la carriera.
La Vers di Brie Larson è esattamente così. È un'eroina che vuole essere un'eroina, e lo è in tutto e per tutto. Dalla volontà di non arrendersi in quello che è un mondo squisitamente maschile (non dimentichiamolo: è sostanzialmente un soldato), sino al proverbiale momento di sacrificio, in cui l'eroe mette da parte sé stesso per un bene più grande, se non addirittura interplanetario. Captain Marvel non ha paura, non ha macchie, è un personaggio – se possibile – persino meno controverso di Captain America, che si è notevolmente adombrato nel corso degli anni, in favore di una certa complessità.
Alla Larson il pregio di essere sempre ottima per il ruolo. Sempre tosta, determinata, e con una buona presenza scenica. Certo, manca a volte una certa “epica”, che il film si sforza talvolta di inseguire, ma c'è sbruffoneria, c'è grande carisma, e una buona alchimia con il personaggio di Nick Fury, vero e proprio co-protagonista della vicenda.
Per quanto riguarda la messa in scena, Captain Marvel è un film Marvel che si assume un rischio notevole: quello di tornare ad uno sviluppo che sì abbonda di computer grafica, ma che cerca dove può di sostituire il green screen con trucco e parrucco. Il risultato sono dei buoni effetti speciali, che però a volte lasciano il fianco a qualche passo falso. Se il colpo d'occhio generale è molto buono, è impossibile a volte non soffermarsi su dettagli un po' fuori posto: i costumi dei Kree e di Vers che a volte sembrano estrapolati da una serie televisiva, o le orecchie in gomma degli Skrull, che in certi primi piani “oscillano” a causa della loro elasticità, laddove invece ci aspetteremmo una più naturale rigidità. Come detto sono dettagli, forse neanche li noterete in quello che è spesso un tripudio di luci, colori e combattimenti che sembrano richiamare un po' a quel Matrix che ha dettato scuola nel nuovo modo di concepire il combattimento marziale al cinema.
Un caso? Decisamente no. Il film è permeato da un gusto squisitamente anni '90, che cerca di piazzare dove può, e quando può, i riferimenti più ovvi al decennio di Mtv. E così tra una citazione di “Willy il principe di Bel Air”, ed una ad “Happy Days”, il film cerca di fare quello che Gunn ha fatto con i suoi Guardiani per gli anni '80. Ma, in tutta onestà, gli manca la stessa caratura, e soprattutto la stessa grazia.
Copiando lo stesso Gunn, Captain Marvel cerca, ad esempio, di fondere la musica anni '90 alle scene di combattimento, ma il risultato è molto meno epico di quanto non sia stato per Star Lord e compagni e, in almeno un paio di casi, quasi straniante. Come se qualcuno avesse sbagliato il momento in cui andava premuto il tasto play. Anche qui un dettaglio.
Dettagli che non spezzano il film, che non lo piegano. Ma che in qualche modo fanno comunque una certa differenza. Per il resto, Captain Marvel è un film davvero godibile, e riesce ad essere quel trampolino di lancio per Avengers Endgame che, di fatto, è anche solo per la sua tempistica d'uscita. Nonostante qualche inciampo e qualche spiegone di troppo, il film riesce nel suo obiettivo di proporre un'eroina potente e divertente, sovrumana ma anche sentimentale, idealmente perfetta per raccogliere l'eredità di Iron Man e Cap che, al di la del loro destino, saranno ben presto un ricordo del MCU. Captain Marvel nel suo connubio tra la spacconeria del primo, e la solida morale del secondo, vuole essere un nuovo inizio, un nuovo punto di riferimento, e seppur con tutto il ritardo di questo mondo rispetto a qualunque altro universo cinematografico, il personaggio porta a compimento il suo lavoro con buona pace di qualunque detrattore.