Verso l’infinito… ci saluta così Buzz Lightyear nel trailer della nuova serie animata dedicata al popolare personaggio di Toy Story, recentemente annunciata da Disney, con la perfetta colonna sonora di Starman di David Bowie. Nato come metà di uno dei duetti più amati della storia del cinema, Buzz e Woody, questo giocattolo smette ora i suoi panni tradizionali per calarsi in una delle tematiche più care alla narrativa sci-fi: l’ultima frontiera. E se adesso state ripensando a una certa astronave che solca il cosmo alla ricerca di nuovi, strani mondi e nuove civiltà, sappiate che è normale. Che si tratti di Lightyear - La vera storia di Buzz o di Star Trek, la suggestione dell’ignoto che ci attende tra le stelle, oltre i limiti della nostra conoscenza è una delle ispirazioni più corteggiate dai grandi narratori.
Una suggestione che, con il passare del tempo, ha trovato nella realtà una spalla affidabile, con cui rinnovarsi e rimanere sempre presente all’interno del panorama fantascientifico. Se ripensiamo a quando Jules Verne stupì il mondo suo contemporaneo con Dalla Terra alla Luna, l’umanità ha fatto passi da gigante nel suo percorso verso la conquista del cosmo e la scoperta dei suoi più reconditi segreti. A ogni nuovo mistero svelato, la frontiera si sposta leggermente più in là, inesorabilmente attira la curiosità umana e ci guida ancora più nelle profondità dello spazio.
Ma da dove nasce questo mito dell’ultima frontiera?
Ai confini della conoscenza
Prima ancora che tra le stelle, questo confine della conoscenza inizialmente era decisamente terreno. Specie nella cultura americana, la frontiera era vista come la fine della civiltà, l’inizio di una landa inesplorata dove misteri e ricchezze infinte attendevano i coraggiosi, i pionieri. Il West americano dell’800 è stato per decenni la frontiera per antonomasia, insinuando nel DNA degli States questo mito intramontabile. Una concezione che è divenuta parte integrante della cultura mondiale, vuoi perché lo spirito dell’avventura è patrimonio umano vuoi perché il diffondersi della narrativa americana, specialmente cinematografica, ha dato vita a una definizione del fantastico che da sempre guarda oltreoceano per nuovi stimoli.
È l’arrivo della narrativa d’anticipazione a dare all’ultima frontiera una nuova direzione. Man mano che la Terra ci rivela sempre più segreti, i nuovi limiti diventano gli insondabili oceani e il cosmo. Non è un caso che il capostipite della letteratura di fantascienza, Verne, ci abbiamo guidato alla scoperta delle profondità marine con 20.000 leghe sotto i mari e Dalla Terra alla Luna, indicando una rotta su cui si sarebbero poi inseriti altri nomi celebri della sci-fi letteraria. Se l’affinità con gli abissi terrestri si affievolì rapidamente, la vastità dello spazio e la lenta scoperta dei suoi misteri divennero invece l’origine di una curiosità che affondava le sue origini nell’antichità, quando gli astri erano dei e gli eventi celesti, allora inspiegabili, erano manifestazioni di poteri divini.
Non è un caso che tutte le grandi civiltà antiche, dai greci ai babilonesi passando per gli inca, abbiano sviluppato una propria visione del cosmo come regno di un pantheon divino, che hanno cercato di sondare, rivelandone i segreti. Una sana, insanabile ossessione che ha guidato l’immaginario umano, arrivando nella seconda metà del ‘900 al primo assaggio di spazio, con il primo cosmonauta a compiere un volo orbitale, il russo Yuri Gagarin nel 1961, e culminato con l’impronta degli astronauti americani sul suolo lunare nel luglio 1969. L’avventura umana nel cosmo è figlia di questa attrazione, la ricerca perpetua di una nuova frontiera da conquistare, un'immaginaria linea di confine tra civiltà e ignoto da spostare sempre più in avanti. E se questa pulsione vale per la scienza, come non renderla un’emozione collettiva lasciandola emergere nel racconto?
Non c’era dunque miglior direzione a cui volgere lo sguardo per trovare la nuova ultima frontiera. La fascinazione di questo immaginario confine al nostro scibile divenne una leva narrativa che conquistò ogni genere di narratore, dalla letteratura al nascente cinema. A partire dai suoi albori, se pensiamo che Fritz Lang, universalmente noto per Metropolis, aveva visto in questa suggestione una potenzialità incredibile, al punto di dare vita nel 1929 a Una donna sulla Luna, dove la nuova frontiera è il nostro satellite, ritratto secondo le fallaci conoscenze dell’epoca, ma reso teatro di un’avventura spaziale che nei decenni seguenti si sarebbe sempre più radicato nell’immaginario collettivo.
A partire dalla letteratura, che specialmente nel periodo del pul vedeva nell’esplorazione spaziale e nei misteri del cosmo la nuova frontiera dell’avventura umana. Buck Rogers, Flash Gordon o Captain Future furono perfetti interpreti di questa visione, che era ancora figlia di una conoscenza del cosmo, specie presso le grandi masse, ancora puerile. Solo l’evolversi dell’indagine scientifica e le nuove scoperte nel campo dell’astronomia portarono anche la narrativa fantascientifica a seguire una diversa interpretazione della nuova frontiera, che nel frattempo lasciava spazio a storie più concrete e concentrate su spettacolari battaglie. Gli anni del Secondo Conflitto Mondiale, della Guerra Fredda e della corsa allo spazio tra il blocco sovietico e quello americano spinsero autori celebri, come Heinlein o Dick, a vedere nella sci-fi uno strumento di critica sociale forte, lasciando il mito della nuova frontiera in secondo piano, preferendo concentrarsi su elementi più quotidiani, come possiamo vedere in Ubik.
Ma era solo questione di tempo prima che qualcuno sussurrasse spazio, ultima frontiera.
Spazio, ultima frontiera
La prima serie di Star Trek, infatti, rimane ancora oggi una delle migliori interpretazioni sci-fi del mito della frontiera. Non a caso, il primo titolo pensato da Gene Roddenberry era Star Wagon, riferimento alle carovane con cui i pionieri affrontarono la conquista del West nell’800. Nella cultura televisiva americana l’epopea western era una presenza familiare tanto quanto lo era al cinema, e Roddenberry vedeva in questo spirito avventuroso un meccanismo narrativo avvincente, pronto a esser declinato in una nuova chiave, quella fantascientifica.
Kirk, Spock, Bones e l’equipaggio dell’Enterprise divennero quindi i nuovi pioneri, non solamente tra le stelle ma anche nella cultura contemporanea. Incredibile pensare che nel 1966 sul ponte di una nave stellare del futuro lavoravano fianco a fianco americani, giapponesi e russi, o che una donna di colore potesse avere un ruolo di comando. Se è vero che le crociere dell’Enterprise la portavano ai confini dello spazio conosciuto, per arrivare dove nessun uomo è mai giunto prima, va riconosciuto che questo slancio avventuroso si rifletteva anche sul modo in cui era ritratta la società della Federazione Unita dei Pianeti, in cui razzismo e misoginia venivano, seppur con l’ingenuità del periodo, trattati in modo da venir superati. In un certo senso, Star Trek riscrisse il mito dell’ultima frontiera, vedendo nello spazio il nuovo banco di prova dell’umanità.
Una visione che si perse nelle due serie successive, The Next Generation e Deep Space Nine, che ebbero invece un approccio più intimo alla vita della Federazione, non più forza politica in espansione ma organismo intento a consolidare e cercare una vita diplomatica, meno avventurosa, quando necessario. Specchio dei tempi, verrebbe da pensare, visto che la prima serie di Star Trek era nata durante gli anni della corsa allo spazio, mentre le successive serie erano figlie di un periodo in cui lo spazio non era più nel cuore della gente, dopo la fine delle grandi missioni spaziali. Si dovettero aspettare Voyager e Enterprise per sentire nuovamente un’affinità con quello spazio, ultima frontiera che ci aveva accompagnato nei precedenti viaggi di Kirk.
Se il concetto di ultima frontiera vale per Star Trek, cosa dire della sua celebre rivale, Star Wars? La saga di Lucas, a ben vedere, non ha un’attinenza a questo concept, animata da una diversa visione della sci-fi, in cui i personaggi si muovono all’interno di un mondo circoscritto e poco propenso all’espansione. Specialmente nella prima Trilogia (Una nuova speranza, L’Impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi) manca uno slancio oltre i confini dello spazio conosciuto, la lotta per detronizzare Palpatine e Dart Vader focalizza l’attenzione dei personaggi verso il cuore della galassia conosciuta. Una caratteristica che si ritrova anche nelle successive trilogie, lasciando che siano opere derivate, come romanzi e videogiochi, a mostrare una blanda interpretazione di frontiera, in cui però manca sempre la volontà di fare un passo in più per abbracciare l’ignoto, lasciando che venga invece percepita come confine ultimo dello spazio noto.
L'avventura tra le stelle
Ma non solo Star Trek ha saputo valorizzare questo spunto. Nel comparto televisivo basterebbe citare Spazio 1999, celebre produzione britannica in cui la Luna, dopo un’esplosione nucleare, veniva sbalzata dalla sua orbita, spingendo gli abitanti della base lunare Alfa nelle profondità del cosmo. Volendo cercare altre interpretazioni di questo concept, si potrebbe vedere nella trasposizione cinematografica di 2001: Odissea dello spazio (1969) la volontà di identificare nell’esplorazione spaziale un dualismo con la conoscenza dei misteri stessi della vita, sfiorando il metafisico. Strada seguita anche da Solaris (1972), considerata la risposta sovietica a 2001: Odissea nello spazio.
E’ interessante notare come il concetto stesso di frontiera spaziale sia stato profondamente legato all’evoluzione dell’esplorazione ‘reale’ del cosmo. Star Trek era figlia di una concezione a metà tra il fantastico e il futuribile, specchio di una ricerca scientifica decollata dopo la Seconda Guerra Mondiale e che dopo soli tre anni dalla messa in onda del primo episodio della serie avrebbe portato l’uomo a calpestare il suolo lunare. Viene da chiedersi se il concetto stesso di ultima frontiera cosmica, considerata la sua affinità con l’atavica sete d’avventura umana, non sia alimentato dalle nuove scoperte e invenzioni che, in un certo senso, ne avvicinino la fattibilità. Non è un caso che nel periodo in cui la NASA aveva ridotto drasticamente le sue missioni, la fantascienza cinematografica abbia visto il fiorire di diverse influenze, dall’orrorifico di Punto di non ritorno alla ricostruzione storica di Apollo 13. Specialmente il primo titolo citato consente di vedere come, dopo Alien (1979), lo spazio diventa una fonte di minacce, quasi che la nostra curiosità venga placata dal monito che tra gli astri possano nascondersi grandi pericoli. Idealmente, si può vedere in questo genere una personificazione di paure e ansie del quotidiano, che vengono esorcizzate in queste pellicole.
Eppure, dopo la conquista di nuovi traguardi scientifici, come l’atterraggio su Marte dei primi rover da esplorazione, il mito della frontiera spaziale prende nuovamente vigore. Il passaggio degli anni e una maggiore consapevolezza scientifica di autori e pubblico spinge, però, a dare una visione più realistica di questo tema, dipingendo con maggior attenzione i rischi concreti e le sfide umane di questa avventura cosmica. Esempio tipico è Sopravissuto (The Martian, 2011), dove un ingegnere di un progetto di terraforming su Marte, interpretato da Matt Damon, deve sopravvivere in un ambiente circoscritto, sfidando la natura impervia del pianeta rosso. Strada su cui pone anche Nolan con il suo Interstellar (2014), dove un’umanità disperata cerca tra le stelle una nuova casa. I temi contemporanei di penuria delle risorse e dell’inquinamento trasformano, in questo caso, la nuova frontiera non in un’avventura appassionante quanto in una disperata esigenza.
Sopravvissuto e Interstellar rappresentano due buoni esempi della nuova identità della frontiera spaziale, più scientifica e, per quanto ancora avventurosa, meno romanzata. Non mancano ovviamente concessioni alla narrativa adrenalinica, ma la sensazione è che la consapevolezza dello spazio e delle sue peculiarità siano divenuti elementi sufficienti a garantire grandi storie, mature e adulte come Ad Astra.
Verso l'infinito...
Ma il nostro spirito avventuroso ha ancora bisogno di eroi che ci ricordino quell’emozione priva di limitazioni scientifiche e pura, autentica sete di conoscenza e grandi avventure. Non poteva esserci migliore volte di quello di Buzz Lightyear, che in una sorta di contrappasso passa dall’esser l’incarnazione ludica di questo aspetto fanciullesco della sci-fi, visto nella saga di Toy Story, a protagonista di una serie animata che con il suo trailer ha ricordato i caposaldi della sci-fi avventurosa.
Alieni pericolosi, mondi da esplorare e astronavi dal look futuristico sono gli elementi perfetti per riportarci in una frontiera ricca di promesse e misteri, in attesa di vedere come la saga d’esplorazione spaziale per eccellenza, Star Trek, tornerà a questo suo tratto distintivo con un’altra serie animata, Prodigy. Siete pronti per lanciarvi verso l’infinito, per arrivare dove nessun uomo è mai giunto prima?