Black Panther Wakanda Forever, recensione: il silenzio del dolore

Siamo tornati nel regno del Wakanda: ecco la nostra recensione di Black Panther Wakanda Forever, in uscita il 9 novembre 2022.

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a cura di Giulia Serena

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Il mondo è cambiato, e non tornerà più come prima. Questo è il concetto che fin dall'inizio è ben chiaro in Black Panther: Wakanda Forever, il nuovo film Marvel disponibile dal 1° Febbraio su Disney Plus per gli abbonati alla piattaforma streaming. Il passato deve rimanere tale ed è impossibile da recuperare, lasciando una ferita aperta che difficilmente, se non mai, si rimarginerà; tutto quello che resta da fare è dunque raccogliere i pezzi e andare avanti, non dimenticando da dove siamo partiti e guardando avanti verso il futuro. In Black Panther: Wakanda Forever la passione è palpabile, non solo per il regno del Wakanda, per le sue tradizioni e per la sua cultura, ma anche per il cinema e per la sua capacità di creare universi paralleli a quello reale, dove le persone possono avere due vite. E così il funerale di T'Challa che apre la pellicola non può che darci la sensazione di un addio reale, concreto, impossibile da giustificare e che quindi viene rappresentato per quello che è: improvviso, lacerante, amaro. Ma la vita deve proseguire, e così, senza dimenticare chi non c'è più, si prova ad andare avanti con quello che rimane.

Ryan Coogler fa esattamente questo, raccoglie i frammenti lasciati dalla scomparsa improvvisa di Chadwick Boseman e ci basa un film che non vuole semplicemente essere un memoriale all'attore, ma che stabilisce le basi per una nuova era per il Wakanda, un'era all'insegna della tenacia e del rispetto per il passato. Chi rimane è infatti profondamente segnato da ciò che è successo, ma deve comunque rimanere integro, perché anche il più lieve segnale di debolezza può significare l'occasione giusta per il resto del mondo per approfittarsi e attaccare. Questa eredità spetta a Ramonda, ora regina del Wakanda, che nonostante il dolore per la perdita del figlio deve mostrarsi forte non solo per il suo popolo, ma anche e soprattutto per gli stati esterni. Tutto il mondo desidera infatti appropriarsi del potentissimo e preziosissimo vibranio, e per le altre nazioni la scomparsa di Black Panther rappresenta solamente un'occasione per stabilire il proprio dominio sul piccolo regno; lei però mette sin da subito le cose in chiaro: non ha intenzione di inginocchiarsi dinanzi a nessuno, ed è pronta a mostrare a tutti la forza del suo popolo.

Prede o predatori?

Se però la situazione sembrava già angusta, un ulteriore problema rischia di compromettere il precario equilibrio del regno. Un nuovo popolo emerge — letteralmente —  in superficie, presentandosi come una potenziale minaccia per tutto il mondo e non mostrandosi intenzionato a trattare con nessuno; il Wakanda deve scegliere da che parte stare, e qui inizia il binomio che scorre lungo tutta la pellicola: essere impetuosi e senza pietà, o compassionevoli e clementi?

Questa decisione non sta nelle mani solamente di Ramonda, bensì in quelle di Shuri, che in Black Panther: Wakanda Forever ruba la scena e diventa protagonista assoluta, dimostrando come il cervello possa essere l'arma migliore. La principessa è colei che sta soffrendo più di tutti per la scomparsa di T'Challa, e pur di rimanere all'apparenza integra costruisce una corazza, allontanando tutti coloro che le stanno vicino, in particolare la madre. C'è però in lei anche una grande voglia di redimersi, di dimostrare il suo valore e di mettersi in gioco; alla prima occasione infatti decide di uscire dalla sua comfort-zone, lanciandosi nel "mondo esterno" e cercando di salvare la situazione.

Shuri vuole rimpiazzare T'Challa? Assolutamente no, anzi, la principessa mette in chiaro di non voler essere come il fratello, e seppure lo ricerchi in ogni sua decisione, si dimostra una donna forte e indipendente, che non ha bisogno di un eroe che la salvi. È proprio lei infatti a interfacciarsi con il popolo di Talokan, e con il loro sovrano, Namor, un essere a metà tra un uomo e una divinità, con dei poteri che superano quelli di qualsiasi wakandiano e che sfruttano proprio il vibranio. Nel corso del film ci viene raccontata la storia di questa singolare nazione sottomarina, facendoci empatizzare con il loro re (o meglio, padre) e aggiungendo un pezzo nuovo al MCU.

È impossibile non pensare a un mix tra Pandora e Atlantis nel vedere Talokan, e nonostante la nazione sottomarina sia stata creata visivamente in modo eccellente, le spiegazioni sulla sua origine non convincono pienamente, risultando una forzatura voluta da Marvel pur di inserire una tribù che avesse un'identità forte, alla pari di quella di Wakanda. Namor è un sovrano determinato e astuto, ma non disposto a provare pietà per le superpotenze che vogliono appropriarsi del vibranio e usarlo per i propri scopi; le altre nazioni infatti all'interno del film hanno il mero ruolo di "cattivi" che vogliono sfruttare i popoli considerati inferiori e retrogradi, e le uniche scene in cui le vediamo sono durante riunioni di capi di stato.

L'identità da non perdere

Black Panther: Wakanda Forever pone particolare attenzione a rappresentare diverse etnie, sia reali che non, portandoci in paesi come Haiti e il Messico e dandoci uno scorcio di quelle comunità che vengono rappresentate ancora troppo poco nell'industria cinematografica. La pellicola però è anche un forte inno al potere femminile: le guerriere del Wakanda non hanno bisogno di uomini per governare e proteggersi, e anzi, le uniche volte che vediamo M'Baku, leader dei Jabari, in scena, egli viene contestato e ignorato. L'unico uomo che ha un peso nel film è proprio Namor... che però è un mutante, quindi è un caso a parte.

Ciò che accomuna Wakanda e Talokan, oltre al vibranio, è il desiderio di vendetta che scorre nelle vene dei loro sovrani e che rischia di consumarli completamente, facendogli perdere di vista cosa è veramente importante. Il dolore infatti è il vero motore di Black Panther: Wakanda Forever e viene affrontato da svariati punti di vista — anzi, da qualsiasi punto di vista disponibile —; nonostante sia palpabile lungo tutti i 161 minuti di durata, Ryan Coogler decide di accentuarlo ancora di più, sfruttando il silenzio, accompagnato dal rumore di un dolce vento che soffia, per proporre dei momenti dedicati interamente al ricordo di chi non c'è più.

Il silenzio si oppone però alle grida di battaglia che riempiono le scene d'azione, le quali si svolgono in location a dir poco singolari ma che non risultano efficaci come avrebbero dovuto. Una delle pecche più grandi di Black Panther: Wakanda Forever sono infatti le spiegazioni, che ci vengono fornite per ogni cosa, ma che non riescono mai a soddisfarci; ovviamente non entreremo in terreno spoiler per non rovinarvi la visione in alcun modo, ma vi assicuriamo che più di una volta vi domanderete se una scelta di scrittura sia stata la più intelligente.

La storia però scorre in modo piacevole, e nonostante la CGI in alcuni momenti sia traballante, non possiamo dire di non aver avuto un'esperienza positiva in sala. Le due ore e mezza di durata ci sono infatti passate velocemente — al contrario di altri film Marvel recenti , rappresentando dunque un prodotto riuscito per la Fase 4 del MCU che diciamolo, per ora non è andata benissimo.

In conclusione

Black Panther: Wakanda Forever è un film memorabile? No. È il miglior titolo Marvel mai uscito? No, ma decisamente non il peggiore. Insomma, il progetto di Ryan Coogler riesce nel suo intento principale, ovvero creare un sequel che riuscisse al contempo portare tributo a Chadwick Boseman e continuare la storia del Wakanda; nel corso della narrazione non ci vengono date giustificazioni, bensì spiegazioni, che però risultano inevitabilmente forzate. Gli ingranaggi c'erano, ma sono stati inseriti in modo sbagliato, generando così un lungometraggio piacevole, ma che avrebbe potuto essere decisamente migliore. Nonostante ciò, noi ve ne consigliamo la visione, che dovrebbe essere fatta con la volontà di vedere una pellicola ricca di emozioni e di rispetto.

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