Battlestar Galactica (2004): Ronald D. Moore riscrive la fantascienza

Battlestar Galactica (2004), quando Ronald D. Moore diede una nuova vita ad una delle serie più complesse affascinante della fantascienza televisiva

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a cura di Manuel Enrico

Il mondo delle serie televisive, in questi ultimi anni, sembra avere accolto di buon grado l’utilizzo di remake e reboot, espedienti narrativi che consentono, anche furbamente, di ripescare vecchie glorie del mondo dell’entertainment riproponendole sotto una nuova chiave. Sono numerose le serie TV e i film che hanno beneficiato di questa pratica, non ultima una produzione fantascientifica dalla vita piuttosto travagliata: Battlestar Galactica. Una serie, per l'appunto, che ha avuto più di un'esistenza televisiva, ma che è divenuta universalmente conosciuta principalmente per il reboot del 2004.

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La prima vita di Battlestar Galatica risale al periodo in cui la fantascienza sembrò diventare il motore trainante dell’industria dell’intrattenimento cinematografico. Merito dell’impatto di Star Wars, che con il suo primo capitolo aveva convinto le major a riportare in auge la fantascienza, dando nuova linfa anche all’altra grande saga fantascientifica, Star Trek. In mezzo a questi due titani si era infilata l’idea di Glen A. Larson, che ispirandosi non poco alla creazione di George Lucas aveva deciso di rispolverare un suo vecchio progetto, come vi abbiamo raccontato qui.

Le mille vite di Battlestar Galactica

La sorte di Battlestar Galactica, nonostante una promettente partenza, fu tutt’altro che gloriosa. Dopo un iniziale successo, la serie di Larson, infatti, non ebbe il successo sperato, incappando anche in problematiche legali con la produzione di Star Wars, ma a sancirne il fallimento fu soprattutto l’incredibile budget necessario, che non trovava ragion d’essere in termini di ascolti.

Dopo una prima chiusura, Battlestar Galactica ebbe una seconda occasione con una seconda stagione, frutto della tenacia con cui i fan chiesero di mantenere viva l’idea di Larson. ABC pensò quindi di accontentare gli appassionati realizzando Battlestar Galactica 80, ma questa seconda stagione fu un flop devastante, al punto che per diversi anni il nome Battlestar Galactica rimase un ricordo dei nostalgici della serie fantascientifiche.

Nonostante questo fallimento, non mancarono dei tentativi di riportare in vita il franchise di Battlestar Galactica. A dare linfa a questi tentativi, era anzitutto la presenza di un fandom nostalgico che sembrava non arrendersi alla morte della serie. Nata nel periodo in cui anche un’altra grande serie fantascientifica, Star Trek, aveva trovato nuova vita, il Galactica aveva fatto breccia nel cuore degli appassionati che cercavano una fantascienza di grande spessore all’interno del medium televisivo.

I primi entusiasmi...

Forte di questa convinzione, uno degli attori del cast originale, Richard Hatch, fece di tutto per riportare in auge la serie. Interprete di Apollo, Hatch aveva rifiutato di tornare in Battlestar Galactica 80, ma aveva mantenuto un rapporto affettivo intenso con la serie che gli aveva dato il successo. Motivo per cui diede vita a Battlestar Galactica: The Second Coming.

L’idea di Hatch era quella di realizzare un film che potesse convincere la Universal, detentrice dei diritti, a riprendere la storia del Galactica, partendo dal finale della prima stagione e cancellando gli eventi di Battlestar Galactica 80 (in cui Hatch non era presente). A sorpresa, non venne riproposto uno dei personaggi più amati della serie originale, Starbuck (in italiano Scorpion), interpretato da Dirk Benedict, divenuto nel frattempo celebre come Templeton ‘Sberla’ Peck dell’A-Team.

Battlestar Galactica: The Second Coming, una volta completato, avrebbe avuto una durata di mezz’ora, e un trailer di circa cinque minuti venne presentato in occasione del DragonCon di Atlanta nel luglio 1999. I presenti furono entusiasti, convincendo Hatch a presentare il film finito in diverse convention, cercando di sollevare anche l’interesse di Universal.

Pensiero che aveva avuto anche Glen A. Larson, creatore della serie, che aveva avvicinato Todd Moyer, produttore con una passione per i film di fantascienza reduce dalla produzione di Wing Commander. Larson voleva raccontare gli eventi di Battlestar Galactica in un film, che avrebbe avuto come ambientazione un’altra astronave da guerra coloniale sopravvissuta, la Battlestar Pegasus.

...stroncati da una tragedia mondiale

Tutte queste idee stavano faticosamente prendendo forma, senza che nessuno fosse a conoscenza che la Universal stesse già lavorando per una nuova serie di Battlestar Galactica. Nel 1999 si era identificato Bryan Singer come la figura ideale per riportare al successo la serie, con una storia ambientata venticinque anni dopo gli eventi della prima serie, con la presenza di volti noti e nuovi personaggi.

Tutto sembrava pronto per una data di uscita fissata per la prima 2002, con inizio delle riprese a novembre 2001, al completamento dei set. A interrompere il progetto sopraggiunse una delle grandi ferite dell’America contemporanea: la strage dell’11 settembre 2001. Questa tragedia stravolse la società americana in ogni aspetto, compreso il mondo dell’entertainment: i ritardi inevitabili costringendo Singer a lasciare il progetto per impegni precedenti (ovvero X-Men 2) e Fox perse interesse nel progetto, causandone la cancellazione.

Alla fine del 2001, i tre potenziali progetti per la rinascita di Battlestar Galactica nemmeno uno aveva preso vita. Ma non era ancora detta l’ultima parola, e il salvatore delle Dodici Colonie avrebbe presto avuto un nome: Ronald D. Moore.

La rinascita di Battlestar Galactica

Il destino di Battlestar Galactica, in realtà, fu segnato da una congiunzione particolarmente felice, che riguardava anche una degli emittenti che avevano portato la fantascienza televisiva nuovamente in auge: Sy-Fy.

Sy-Fy (oggi noto come SciFi) era un canale televisivo che basava, come lascia presagire il nome, la propria esistenza sulla fantascienza. E non poteva esser diversamente, considerato che all’origine di questa emittente c’erano nomi forti della fantascienza, da Gene Roddenberry, creatore di Star Trek, a Isaac Asimov, scrittore celebre per il suo ciclo sui robot.

Nel 2003, Sy-Fy sta cercando una nuova serie di fantascienza per il proprio palinsesto, che mantenessero inalterato la sua fama. Coincidenza vuole che in quello stesso anno uno degli sceneggiatori di punta di un colosso della fantascienza televisiva, Star Trek, si stia avviando alla fine della sua collaborazione: dopo avere dato spessore alle trame di The Next Generation, Deep Space Nine e Voyager, Ronal D. Moore è libero da obblighi verso la saga di Roddenberry.

A questo si aggiunge un terzo elemento: sta cambiando la percezione della serialità. Le serie stanno diventando sempre più apprezzate, ampliando la loro presenza con tematiche di spessore e capaci di rivaleggiare con le grandi produzioni cinematografiche. Aumentano gli investimenti, le major sono pronte a sperimentare e investire, ma al contempo sono altrettanto spietate nel cancellare e tagliare serie non remunerative. Il tutto primo che arrivasse la vera fautrice del cambio di percezione della serialità televisiva, Lost.

In questa congiuntura, dunque, si trovano a convergere, questi elementi, essenziali a riportare in vita Battlestar Galactica. Che, a tutti gli effetti, è stata ampiamente ricompensata della lunga attesa per tornare sul piccolo schermo, visto che è stata plasmata da Moore.

Ad avviare questa rinascita è la Universal stessa, che cancellando tutte le precedenti proposte prende una decisione: nessun sequel, serve un reboot. Le tematiche originali dell’idea di Larson, nel 1978, non erano state ben recepite e ne era uscita una caratterizzazione poco incisiva, rivolto ad un pubblico diverso rispetto a quello moderno, desideroso di avere più livelli di lettura delle storie.

Motivo per cui si pensò ad una miniserie di quattro ore, e il nome che tutti pensarono fu quello di Ronald D. Moore. Sin da questo primo passo, le idee erano chiare: in caso di successo, ne sarebbe scaturita una serie. Moore, quindi, lavorò già immaginando sviluppi futuri, gettando le basi per la creazione di una trama orizzontale profonda e appassionante. Superfluo dire che Moore scommise con intelligenza, considerato che la miniserie Battlestar Galactica del 2003 fu la più vista ed apprezzata dell’annata televisiva, garantendo quindi la nascita di una serie!

La nuova anima di Battlestar Galactica

Quando nel 1978 uscì la prima serie di Battlestar Galactica, Glen A. Larson aveva infuso, seppure in modo confusionario, diverse influenze religiose e mistiche all’interno della sua idea,guidato anche dalla sua fede mormone. All’epoca, queste filosofie religiose erano viste come una preziosa aggiunta all’ambientazione, soprattutto nella speranza di ricreare il successo della misteriosa Forza inventata da Lucas per il suo Star Wars.

In Battlestar Galactica, però, tutte le idee e le filosofie di Larson non trovarono piena realizzazione, rimanendo una promessa disattesa. In compenso, quando Moore prese in mano il progetto decise di rivedere anche questo aspetto, avendo anche una visione precisa di quello che non aveva funzionato anni prima nella serie

“Battlestar Galactica aveva grandi potenzialità, ma era una serie impossibile da realizzare nel 1978 sulla ABC. Ogni settimana erano obbligati a mandare in onda una combinazione di Star Trek e Star Wars. In più, iniziava cupamente, con un incipit inquietante e graffiante, narrativamente impossibile da sviluppare al tempo”

Parole forti, ma che erano anche frutto della sua esperienza con la regina della serialità televisiva di fantascienza, Star Trek. Dopo un decennio a scrivere storie ambientate dove nessun uomo è mai giunto prima, Moore aveva ben chiaro come sviluppare un’organizzazione sociale credibile e funzionale, imparando anche dagli errori dell’universo di Roddenberry: evitare morali comode e dare vita a personaggi moralmente imperfetti.

Per Moore, Star Trek è una serie troppo lineare, rigida su alcuni concetti. L’aver sempre voluto imporre un distacco con la religione, imposizione nata sin dalla serie originale, era vista come un torto all’umanità futura, che umanamente cercherà sempre una figura ‘superiore’ a cui rivolgersi. Secondo Moore, privare l’umanità futura di un rapporto con il divino, senza analizzarlo, e cancellare quell'affinità con il sovrannaturale era sbagliato. Era innaturale.

Solo una cosa, il buon Moore, vede di utile in Star Trek: le dinamiche narrative. Alla base dello Star Trek ‘tradizionale’, ossia serie originale e The Next Generation, la storia si svolge principalmente sul ponte di comando e poi in seguito si apre marginalmente in altre location. Moore fa tesoro di questa lezione, specialmente nella miniserie pilot, dove il ponte di battaglia del Galactica è il teatro principale della scena. E non potrebbe essere diversamente, considerato che in prima battuta Battlestar Galactica di Moore è una storia di guerra e disperazione.

Dopo anni nel silenzio, i Cyloni, esseri cibernetici creati dall’uomo e con cui questi si sono scontrati in una sanguinosa guerra, sono tornati e infliggono una dura batosta alle forze umana: un attacco simultaneo a tutte le Dodici Colonie, sterminando quasi totalmente la razza umana. A guidare i pochi sopravvissuti, l’ammiraglio Will Adamo (Edward James Olmos), prossimo alla pensione che trasforma la sua vecchia nave da battaglia, la Battlestar Galactica, pronta a diventare un museo, nell’ammiraglia della flotta dei sopravvissuti. Se Adamo è il leader militare, tocca a Laura Roslyn (Mary McDonnell), sotto segretario all’istruzione, diventare la guida politica delle Dodici Colonie, in quanto unica sopravvissuta del corpo politico coloniale.

Lotta alla sopravvivenza

In tutto questo, si colloca una lotta per la sopravvivenza contro una razza aliena, ma non nel senso fantascientifico classico del termine. Anche perché uno dei membri essenziali del cast, Edward James Olmos, avevo imposto contrattualmente che nella serie non apparissero mostri o razze aliene. Un diktat che non sconvolse particolarmente la produzione, dato che Battlestar Galactica, infatti, non pone l’umanità a confronto con altre specie, ma idealmente con una propria creazione: i Cyloni.

Questi esseri meccanici sono frutto della mente umana, e hanno un rapporto innovativo con la specie creatrice. Solitamente, le intelligenze artificiali e i robot, nella fantascienza, cercano di imitare e integrarsi con l’umanità, da L’uomo bicentenario a Io, Robot. Moore, in un certo senso, si allontana dall’integrazione di Asimov per avvicinarsi alla concezione di Dick, resa celebre da Blade Runner: l’intelligenza artificiale si ritiene superiore all’umanità. E quindi la stermina, perché considerata inferiore.

È un elemento narrativo centrale in Battlestar Galactica, utilizzato spesso come contrapposizione ad un’umanità dipinta cinicamente e presentata in un’ottica non sempre lusinghiera. I sopravvissuti sono costretti ad angherie e difficoltà che ne fanno emergere gli aspetti più autentici, dando vita a narrazioni profonde anche dal punto di vista sociale, con tradimenti, amori e tensioni che rendono vivo l’interesse dello spettatore. Tendenzialmente, perché Moore non crea personaggi monolitici, ma li rende credibili, dotati di luci ed ombre, facendone emergere le debolezze. Li rende, insomma, umani.

Moore cerca un realismo narrativo che diventa il tratto distintivo di Battlestar Galactica. L’emotività dei personaggi non è il solo metro di paragone di realismo, Moore coinvolge tutti gli aspetti della narrazione televisiva.

In ogni aspetto, Moore cerca di cogliere sfumature di quella che è, fondamentalmente, una storia di umanità ferita e disperata. Non a caso, alcune scene si rifanno idealmente a momenti tragici della storia, come il giuramento della Roslyn, che viene modellato su quello di Johnson alla morte di Kennedy. In un certo senso, questi 50.000 sopravvissuti si trovano a fronteggiare uno shock come l’America all’assassinio di Kennedy, il doversi ricreare un’identità dopo che il mondo è finito.

Ricreare un'identità

In questo, Moore è stato abilissimo. A bordo del Galactica si cerca costantemente una nuova identità, uomini oramai distrutti ritrovano una ragione di vita e persone che erano convinte di dominare il mondo scoprono che ora tutto è cambiato. Battlestar Galactica è una storia di sopravvivenza, crea un sistema sociale in cui le regole si scrivono ad ogni episodio, mettendo in discussione morale e umanità, con il fine della sopravvivenza: ma a quale scopo?

In questo interrogativo si racchiude la differenza sostanziale tra il classico Battlestar Galactica e il suo reboot. Se la serie originale manteneva una certa leggerezza, con umorismo e un tono avventuroso da space opera tradizionale, la visione di Moore è più terrena, più concreta.

Pur mettendo in gioco forze divine, Moore analizza l’umanità di Battlestar Galactica con una diversa mentalità, approfondendo dinamiche complesse e animate da angoscianti dilemmi etici. Quello che a suo tempo non fece Larson, a Moore è stato consentito, dando vita ad una delle migliori serie di fantascienza della storia.

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