Come nelle storie d’amore più intense e feroci anche in Babylon ritroviamo l’amore primordiale e fisico verso il cinema, e una particolare sofferenza ad ammantare ogni sviluppo e prospettiva che non sia quella della sala cinematografica. Amare significa anche odiare, in un certo qual senso, o comunque affliggersi per qualcosa senza comprenderne a fondo le ragioni, ed è proprio questo che sembra fare Damien Chazelle con il suo ultimo film. Lo vediamo muoversi in un marasma di volti, luoghi (anche iconici), suoni, battute, citazioni e momenti fondamentali della storia, anche se con un passo diverso dal passato, più disilluso, meno rapito ma comunque ancora romantico.
Il suo rapporto con il cinema (come mezzo e forma d’espressione artistica) ha raggiunto un altro livello qui, seguendo una maturazione che mette da parte il gusto precedentemente sviluppato nei confronti di una Hollywood irraggiungibile, per lanciarsi fin dall’inizio, fin dalla primissima sequenza, nel magico torbido di un contesto fatto di maschere e persone apparentemente senz’anima, esseri umani che hanno fatto della fama una delle loro principali ragioni di vita senza neanche rendersi conto dell’immortalità e del peso dei loro gesti sul set.
Cinema e artisti, produzione e jet-set, sono solamente alcuni dei contrasti più palesi di un viaggio che parte dalle “origini” del cinema americano, anche se ad essere precisi la storia del mezzo parte qualche anno prima, per poi seguire un percorso preciso e sbaragliante che si trascina dietro qualsiasi cosa senza mai guardarsi alle spalle. Dagli spumeggianti anni 20 fino ai più formali anni 50 non assistiamo solamente all’evolversi di un mezzo che diventa sempre più popolare in tutto il mondo, scoprendo mano a mano le sue potenzialità espressive e soprattutto commerciali, ma all’impatto su quelle persone che ci hanno lavorato, scavando negli anfratti più “oscuri” e intimi di un contesto che con Babylon prende vita, forma e una tangibilità estremamente fluida.
Babylon: cercare la fama a tutti i costi?
Babylon è, almeno nel modo più basilare possibile, un film corale. Questo significa che la sua narrazione si muove seguendo più strade contemporaneamente e delineando il percorso di più personaggi facendo anche incrociare le loro vite. Al centro di tutto, però, troviamo il mezzo cinematografico e il suo influsso su Los Angeles e su quella che in seguito diverrà la Hollywood che tutti conosciamo. Ogni storia rappresentata da Damien Chazelle ha un suo ritmo specifico, momenti chiave e sfumature caratteristiche, al punto di muoversi in modo distinto con tutti i personaggi, anche dal punto di vista formale.
Nellie LaRoy (una strepitosa e folle Margot Robbie come non l'abbiamo mai vista neanche in Birds of Prey) è il ritratto della classica star in ascesa proveniente dallo sporco indefinito della strada. Il suo talento nella recitazione non ha nulla a che fare con l’arte, ponendosi fin dai primissimi secondi in scena come un talento naturale e profondamente connesso con la sua stessa anima. Non conosciamo mai, almeno in modo chiaro ed esplicito, la storia del suo passato, nascosto dal carattere esuberante e fuori controllo, palese riflesso di una storia legata alla povertà e a un certo tipo d’ignoranza abbastanza indefinita. l'obiettivo, per lei, è quello di diventare famosa, “è una star”, a suo dire, fin dall’inizio che cerca di risplendere in un mare pieno di luci che nessuno nota. Fin dove sarà disposta a spingersi per realizzare il proprio sogno?
Poi Babylon ci presenta il personaggio di Manuel “Manny” Torres (Diego Calva). Un messicano “tutto fare” introdotto nell’ambiente “bene” di L.A. per via della sua capacità nel “risolvere le situazioni”. Anche lui vorrebbe diventare qualcuno attraverso il cinema, realizzando qualcosa che lasci un segno perenne nel mondo attraverso la magia e l’immortalità che solamente il grande schermo può delineare. La sua è una storia simile a quella di Nellie anche se opposta, in un certo qual modo, alimentando una visione in cui luci ed ombre danzano insieme, forse inconsapevolmente. Damien Chazelle gioca nuovamente con due sognatori che sembrano simili, anche se i loro percorsi parlano due lingue differenti dal punto di vista sia morale che espressivo.
Un altro volto importante di Babylon è quello di Jack Conrad (Brad Pitt). Con lui ci spostiamo in una dimensione del tutto diversa rispetto a quella degli altri due protagonisti. Conrad è un famosissimo attore del cinema muto di origini italiane, e quando lo conosciamo la sua celebrità ha raggiunto un apice considerevolmente importante sia dal punto di vista economico, che sociale, che culturale. Il passare del tempo però, e l’evolversi del mezzo cinematografico stesso impatteranno sulla sua esistenza (già particolarmente altalenante dal punto di vista privato e umano), costruendo una storia di riflessione personale e sul proprio “ambiente di appartenenza” in cui Pitt si muove alla perfezione, scolpendo il volto non soltanto di un personaggio iconico, ma di una vera e propria generazione che ha fatto la storia stessa del cinema come oggi non lo conosciamo più
Con tutti loro troviamo, in Babylon, non solamente un contesto che offre una serie di maschere altrettanto importanti ed estremamente potenti quando in scena, ma il cinema stesso. Quest’ultimo è senza dubbio il protagonista principale dell’intera storia, muovendosi di pari passo con i personaggi e con il “mondo” loro intorno. Partendo dagli anni ’20 Chazelle non ci mostra solamente la dissolutezza di un quadro sociale specifico, ma i primi passi di un mezzo che si apprestava a crescere a dismisura, gettando non soltanto nuovi criteri artistici a una velocità inaudita, ma anche norme economiche e sociali inedite, delineando alcuni modelli che si sarebbero immediatamente e successivamente affermati anche nel resto del pianeta. Il mezzo cinematografico come personaggio che cresce e si evolve, quindi, proseguendo lungo un percorso che non tiene conto di nessuno, elargendo una gloria effimera fino al midollo, e sottraendo l’anima a coloro disposti a tutto pur di “diventare famosi”.
Un Odi et Amo cinematografico
Dal punto di vista formale Babylon è maestoso. Ogni singola inquadratura costruita dal suo regista è una vera e propria gioia per gli occhi studiata fino al midollo. I dettagli e la composizione di tutte loro rappresenta una delle doti maggiori di Chazelle stesso che non si limita mai a lavorare solamente sui personaggi al centro della scena, costruendo intorno a loro sempre qualcosa che distrae e al tempo stesso impreziosisce la situazione. In questo il suo operato dietro e davanti la macchina da presa è estremamente immersivo, modellando, anche in modo maniacale, tutto quello che riprende e confermando un’attenzione formale difficilmente reiteratile.
Il suo è un cinema che riflette sul cinema mentre questo cerca di trovare la propria strada. Questo specifico approccio gli consente di riempire Babylon di citazioni di ogni genere dalla storia stessa del mezzo, ricalcando momenti fondamentali e finanche trasponendoli nel modo più diretto possibile. Come in passato (La La Land ne è un esempio palese, ricordandovi che potete acquistarlo nella sua versione migliore su Amazon) anche in questa pellicola tutto l’amore di Chazelle nei confronti del suo lavoro diventa immediatamente tangibile, forse fin troppo in certi casi, anche se con un piglio palesemente più disilluso rispetto al passato, maturato nei metodi e cresciuto nella scrittura.
Da ciò fuoriesce questa sorta di “odi et amo” che, come nell’85° Carme del Liber di Catullo, palesa un amore forte e insindacabile verso tutto quello che vediamo, anche se delineato da una certa sofferenza tutta umana, da un dolore di fondo che va oltre la dimensione artistica offerta dal cinema, fino ad approdare nelle sue dinamiche più economiche, ipocrite e dissolute. Un’amarezza che verso la fine della storia diventa parte integrante degli spettatori stessi rompendo i limiti del grande schermo e naufragando in uno sguardo che continua ad osservare qualcosa pur conoscendone tutti i limiti, problemi e ipocrisie.
E quindi?
Babylon non è un film facilissimo da raccontare, anche se le sue dinamiche narrative sembrano piuttosto classiche nel loro insieme. Da qualcosa che può sembrare estremamente familiare però, si sviluppa una storia che tocca tantissime corde diverse, mantenendosi costantemente legata al mezzo cinematografico inteso sia in modo romantico che diretto. Quasi il “resoconto” di un periodo storico preciso, continuamente romanzato dal tocco di un regista con una preparazione indiscutibile. Tutto si muove continuamente in questo film, a una velocità sconvolgente che getta ferocemente roba addosso ai suoi spettatori prendendoli per mano, senza mai mollare la presa.
Ne fuoriesce un’esperienza viscerale e profondamente umana, pazza e sregolata, fisica e concreta, in cui la maestosità formale si muove di pari passo con una colonna sonora incalzante e dalle proprietà iconiche, delineando un viaggio che osa continuamente: scherza sul male, corre prendendo una china pericolosa, e racconta di un passato che forse non è neanche troppo diverso dal nostro presente.