Nota del curatore: per molti anni per me la parola blockbuster era solo il nome di una catena mondiale di negozi dove si andavano a noleggiare i film. Ricordo di aver pensato che avessero trovato un nome intelligente, una cosa del tipo quel negozio che arriva e tutti accorrono.
Poi, qualche anno dopo, scroprii che in verità un blockbuster è un film di grande successo, uno che appunto quando esce tutti accorrono in sala per vederlo. La catena di videonoleggio, dunque, riprendeva una parola già esistente e la faceva propria. In certo senso diceva vieni qui a prendere il tuo blockbuster, ma diceva anche noi siamo un blockbuster e tutti accorrono.
Il che è per molti versi più di quanto disse e dice il blockbuster di cui ci occupiamo oggi su Retrocult. Avatar aveva parecchio da dire una decina d'anni fa, e tutti accorsero per vederlo. Del fatto che fu un blockbuster non si può certo dubitare, ma è anche la prova provata che il successo commerciale non è necessariamente indicatore di altre qualità. Oggi l’idea di farne un sequel, anzi più di uno, fa sollevare almeno mezzo sopracciglio.
Il che rende la scommessa sui sequel particolarmente insidiosa, ma se c’è qualcuno che può affrontarla quello è probabilmente James “re Mida” Cameron.
Buona lettura e alla settimana prossima
Valerio Porcu
Blockbuster, o quant’è difficile parlare di un film quando ha successo
Complesso ma non complicato; ecco come potrebbe essere descritto in maniera sufficientemente riassuntiva un blockbuster americano. In media (casi eccezionali a parte) questi prodotti richiedono uno sforzo di comprensione moderato. Il loro obiettivo dichiarato è quello di essere fruiti dalla più ampia fetta di pubblico possibile, aumentando così automaticamente la possibilità di ritorno economico per la copertura dei costi di produzione necessari al completamento del loro sviluppo.
Definendoli quindi come prodotti non eccessivamente complicati non ci si può esimere dal notare come invece lo sforzo che sta dietro la creazione di questi veri e propri colossi sia un processo terribilmente complesso, che deve riuscire a mantenere alta la qualità della pellicola pur limandone tutti i possibili spigoli.
Complesso è anche il ruolo di pubblico e critica cinematografica, che molte volte si trovano a dover giudicare questi prodotti (che spesso diventano veri e propri eventi) nel bel mezzo di un vero e proprio stormo di influenze in grado di far vacillare l’obiettività di chiunque.
Esempio recentissimo del fenomeno? Avengers: Endgame. Titolo che riesce addirittura ad andare oltre i confini del semplice blockbuster, piazzandosi direttamente tra i campioni di incassi più grandi della storia del cinema mondiale.
In questi particolari casi, più che complesso, giudicare un film in maniera distaccata diventa quasi impossibile. Per arrivare a certi risultati un film deve infatti per forza essere sospinto dalla forza dell’evento mediatico che esso genera, e l’evento diventa parte stessa del film, che diventa quindi un film-evento.
Un tipo di critica eccessivamente analitica può quindi rivelarsi addirittura controproducente, e può portare a prendere un abbaglio se si cerca di analizzare esclusivamente la pellicola senza considerare il contesto di riferimento. Ciò detto, l’evento non può diventare un pretesto per accogliere con accondiscendenza qualunque tipo di scelta o decisione venga presa intorno al prodotto filmico.
L’analisi da effettuarsi attorno ad un fenomeno deve essere sempre e comunque ben ponderata, considerando il contesto quanto le qualità artistiche del prodotto per evitare, ad esempio, di finire nel vortice di affermazioni generaliste come: “se incassa è comunque giusto farne un seguito” (un pensiero doveroso per un produttore, certo, ma solo per lui, NdC).
Avatar
Scorrendo la lista dei campioni di incasso hollywoodiani (o più che scorrendola, fermandosi alla prima posizione) ci si imbatte in Avatar. Film di cui abbiamo già parlato in questa rubrica, riassumendone ampliamente la forza dirompente che ebbe su tutto il mondo cinema.
Avatar, edizione in Blu-Ray standard
Ecco, tornando al discorso sulla difficoltà di costruire un discorso intorno a un blockbuster, Avatar casca a pennello, insieme ai suoi sequel. Ben cinque già annunciati, ma più volte posticipati. E allora tra le tante domande ce n’è una che risalta:
Abbiamo davvero bisogno di questi sequel di Avatar? E se la risposta è sì, chi li sta aspettando di preciso?
Magnificenza tecnica e poco più
L’intento di questo articolo non è quello di mettere in dubbio le qualità del film di James Cameron. Come già accennato nell’articolo di Marco Violi, che Avatar sia stato un prodotto tecnicamente dirompente, è infatti sotto gli occhi di tutti.
Come sotto gli occhi di tutti sono stati i suoi difetti, specificatamente quelli rilevati sul fronte narrativo, i quali all’epoca dell’uscita (e a buona ragione) vennero considerati come fattori puramente marginali nel complesso globale. Di Avatar non si può dire che si avvalga di una narrativa originale, speciale o almeno differenziante.
Il suo racconto non inventa nulla, cosa non problematica di per sé. Diciamo che calca un po’ troppo la mano nell’emulare il poco celebre Ferngully (film di animazione poco conosciuto del 1992) ma si può arrivare anche a non considerare “l’eccessivo citazionismo” come un problema di peso.
Il problema della narrativa di Avatar è che, nonostante la lunghezza della pellicola (ben 2h e 42m), la storia si sviluppa in maniera troppo semplicistica e non presenta personaggi approfonditi a dovere, né in grado di coinvolgere lo spettatore (se non per la loro curatissima estetica). Elementi che possono ben figurare in un film di animazione per ragazzi come Ferngully, ma stonano in un kolossal da cui ci si aspetta un impatto decisamente differente.
L’intento dell’articolo è comunque quello di sottolineare come queste debolezze abbiano creato un film tanto efficiente al momento dell’uscita, quanto incapace di insinuarsi nel contesto culturale con il suo colossale immaginario, tanto da giustificarne, ora più che mai, la produzione di una lunga serie di seguiti a cui Cameron si sta dedicando da circa un decennio. Un tempo abbastanza lungo da mettere a dura prova le storie più iconiche; assolutamente impietoso con prodotti meno che perfetti.
Il bellissimo mondo creato dal regista canadese ha avuto lo stesso effetto di un trucco illusionistico. Tanto bello da vedere quanto assolutamente impalpabile negli effetti. Quanto di buono messo in scena non è stato in grado di sopravvivere al tempo.
Il rigoglioso immaginario su cui si è spesa tanta attenzione è riuscito a creare quel “sense of wonder” tanto desiderato in sala, per poi lasciarsi mettere da parte dal suo pubblico, e dal mondo mediatico, poco dopo.
Chi ha subito l’influenza di quel mondo e di quei personaggi? Dove possiamo notarne una traccia, se non nella tecnologia a cui hanno dato praticamente vita (e a ben guardare oggi il cinema 3D non gode di ottima salute, NdC)? Il film si è in pochi anni trovato insomma solo con sé stesso. Per capirlo basterebbe chiederci quante volte ci è tornata in mente Pandora rispetto a quante volte ci è tornato in mente uno qualsiasi degli eventi del racconto. E soprattutto, quante volte in questi dieci anni ci siamo domandati “ma quando esce il sequel di Avatar?”.
Visioni consigliate, di James Cameron
- James Cameron's Deep Sea Challenge
- True Lies
- Terminator Limited Edition
- Terminator 2, Ed. speciale 4K Ultra Hd
- The Abyss Special Edition
Avatar insomma è stato un esempio stupefacente di estetica, ma un tremendo riferimento per quanto riguardo la capacità di creare un brand, un mondo, dei personaggi, capaci di rimanere nel cuore degli spettatori. La sua magnificenza tecnica è riuscita a pubblicizzarlo tanto da farlo arrivare a milioni di spettatori, senza però andare oltre. Il ricordo entusiastico e un po’ freddo di un bellissimo giro in giostra.
Cinema 3D, un’arma spuntata
Scorrendo la lista dei maggiori campioni di incassi cinematografici l’evidenza di questo fenomeno è ancora più lampante. Se pensiamo a Titanic, Star Wars, Avengers etc, è facile notare come ognuno di essi, grazie al proprio evento (dovuto al film stesso o alla saga di cui fa parte) sia riuscito a trapiantarsi nell’immaginario collettivo con qualcosa di più della sua tecnica.
Vedere Avatar in quella lista crea infatti una sorta di smarrimento. Si può arrivare a chiedersi cosa ci faccia lì in un primo momento, salvo poi ricordarsi del vero motivo per cui milioni di spettatori si sono riversati nei cinema imparando ad indossare quegli occhialini che ora finiscono sempre più nei ripostigli dei cinema: il 3D. Lo stesso 3D che vive una fase di crisi in continuo aggravamento, con un crollo del 20% degli incassi tra 2017 e 2018.
Lo stesso 3D che ha potuto incantare gli spettatori dell’epoca, ma non ha saputo fare niente per chi all’epoca ancora non c’era, e si ritrova ora a non poter tramandare un film spuntato della sua arma principale, che senza il 3D su grande schermo sembra così terribilmente vuoto.
Ed è proprio nel momento in cui giustifichiamo la presenza di Avatar in cima a quella lista di campioni di incasso, basandoci sull’avvento del 3D, che ha senso domandarsi se sia opportuno o necessario realizzare dei sequel.
Il cinema ha bisogno di Avatar
La domanda è legittima ma rispondere è difficile. Anche perché chi vi scrive, in realtà, tifa un sacco per Avatar, e difficilmente potrebbe essere obiettivo nel rispondere.
Scorrendo la lista dei blockbuster vien facile tifare per quelle spigolose facce blu. Avatar è Avatar. Una nuova “proprietà intellettuale”, e il cinema ha bisogno di produzioni native, create per sfruttarne al massimo le sue caratteristiche più peculiari, come la visività, l’immediatezza, e le proprietà di montaggio.
Come vien facile tifare per un regista, Cameron, capace di infilare in classifica ben due colossi: da una parte Titanic, e la sua vicenda capace di far piangere anche un peluche, dall’altra Avatar, in grado di rivoluzionare il concetto di visività nel cinema, lanciando nuovamente l’idea che il 3D cinematografico potesse davvero funzionare, dopo l’accantonamento di questa tecnologia avvenuta nelle decadi precedenti.
Si può amare tanto il successo di Avatar, quanto sentirsi a tratti infastiditi.
Si rimane contenti a metà, esaltati a metà. Come quando si ha a che fare con la demo di un videogame meraviglioso, di cui però si intuiscono già in partenza i limiti futuri. Avatar in larga parte è purtroppo uno sfoggio di meraviglie tecniche smisurato capace di penetrare gli occhi, ma non il cuore. Di incantare, senza coinvolgere.
Avatar, Sequel poco promettenti?
A fronte di questi virtuosismi tecnici, per coerenza, verrebbe quindi d’obbligo aspettarsi da Avatar 2 e seguiti proprio una missione di questo tipo. Una nuova rivoluzione visiva capace di evolvere le leggi estetiche della sala cinematografica, come già fece il suo predecessore nel 2009.
Eppure le notizie uscite finora non sembrano rassicuranti. Se si vuole davvero puntare ancora sul 3D, il pubblico ha già fatto capire di non essere disposto a farsi trascinare in sala (di nuovo) da questa tecnologia. Nemmeno, come sembrerebbe il caso, se si promette un 3D senza occhialini.
L’attenzione del mondo sta andando in altre direzioni. Il confronto che i seguiti di Avatar dovranno avere non sarà più col cinema 2D, ma con un pubblico che nel 2021 si sarà abituato ai sistemi di realtà virtuale immersiva, con cui il 3D gioca una sfida impari. Raccontando, per di più, il proseguo di una storia che forse in pochi sentono il bisogno di sentire.
La storia del cinema racconta anche di film che, grazie alle loro prodezze tecniche, sono riusciti a imbastire saghe capaci di durare nelle decadi successive. Ce l’aveva fatta il primo Star Wars nel ’77 Ma Una nuova speranza era solo una dimostrazione tecnica; certo, mostrava una maestria tecnica fino ad allora mai vista, ma c’erano anche una storia e dei personaggi che fecero innamorare il pubblico - così tanto che molti trepidavano in attesa del film successivo.
Non era solo tecnica, era anche storia. E questa, Avatar, sembra proprio non averla.
Avatar ha davvero bisogno di seguiti?
Forse sì, forse no. Sta di fatto che pare proprio li avrà, e a questo punto tanto vale sperare che Cameron in questi dieci anni di lavoro non si sia fossilizzato sul successo raccolto grazie alle meraviglie tecniche; dieci anni fa potevano valere da sole il prezzo del biglietto, e raccogliere il plebiscito di pubblico e critica.
Ora, con la prospettiva del 2021 davanti agli occhi, serve qualcosa in più; molto di più. C’è bisogno che queste creature digitali raccontino una storia capace di emozionare. Il mondo di Pandora deve trovare un’identità che riesca ad andare oltre la spettacolarità visiva. Un’identità che gli permetta di far inserire finalmente il suo immaginario nel sistema culturale del nuovo pubblico che si troverà di fronte. Perché il pubblico del 2021 è meno o per niente propenso a sbalordirsi per la stereoscopia. Ma anche sempre ben disposto ad ascoltare storie avvincenti e di emozionarsi insieme ai personaggi.
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