Il punto di forza di Avatar non è certo la trama che, pur non risultando banale, ha l'aspetto di qualcosa di già visto, soprattutto leggendone un riassunto senza guardare il film. Ciò che colpisce di più è la realizzazione finale del prodotto.
James Cameron, come il migliore degli illusionisti, riempie il palcoscenico di diversivi mentre esegue il più difficile dei trucchi: dare al pubblico ciò che si aspetta e lasciarlo a bocca aperta.
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Si può rinfacciare ad Avatar di avere una trama scontata, ma non si può certo dire che lo siano anche i dialoghi. Così come possiamo affermare che, visto in 2D (o peggio, sul PC a 720p) il film perda molta della sua bellezza, in quanto concepito per essere visto in tre dimensioni.
E in questo l'opera di Cameron è stato il primo campione d'incassi in assoluto, tant'è che ancora adesso assistiamo ad un'inflazione di film in 3D, nessuno dei quali è tuttavia riuscito a ricreare il sense of wonder di Avatar.
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Questo film di James Cameron resta l'unico, nel corso degli anni, il cui impatto sul cinema è stato forse paragonabile a quello che ebbe Guerre Stellari nel 1977: grazie a vere e proprie rivoluzioni nel tridimensionale (con l'invenzione del Reality Camera System ad opera dello stesso James Cameron), nel cinema digitale e nella motion capture.
Le riprese si svolsero interamente in un teatro vuoto, nel quale gli attori si muovevano indossando caschi con telecamere frontali, con i volti tinti di speciali pitture in corrispondenza dei muscoli facciali al fine di consentire ai tecnici degli effetti speciali di catturare ogni loro movimento, in modo da rendere gli Avatar più realistici possibile.
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L'aggiunta delle pitture fu voluta dallo stesso Cameron, che era scontento dell'espressività dei Na'vi. Probabilmente il regista aveva già capito che il film non avrebbe mai avuto successo se gli alieni non avessero avuto un'espressività soddisfacente, per cui elaborò questo sistema. Il risultato è sorprendentemente realistico e, nonostante si tratti di alieni blu alti tre metri e dalle cornee gialle, i Na'vi sembrano incredibilmente veri.
La natura di questa ossessione per il realismo è da ricercarsi nelle prime esperienze del regista nel cinema. Non bisogna infatti dimenticare che Cameron esordì come scenografo, addetto alla fotografia e agli effetti speciali nel film "I magnifici sette nello spazio" (Jimmy T. Murakami, 1980), continuando in questo impiego per anni prima di sfondare come regista.
Proprio mentre lavorava come tecnico della fotografia ebbe inoltre modo di collaborare anche col maestro John Carpenter nel suo capolavoro "1997: fuga da New York" (1981).