Se negli anni ’80 gli action movie erano il territorio di caccia di uomini dai muscoli d’acciaio come Stallone o Schwarzengger, il nuovo millennio ha aperto questo genere anche al gentil sesso, grazie alla presenza di figure che quando si tratta di tirare cazzotti e sparare di gentil hanno ben poco. Tra i vari John Wick e Tyler Rake, infatti, si sono fatte ammirare anche la seducente Natasha Romanoff, ovvero la Black Widow del Marvel Cinematic Universe, e l’irresistibile Lorrain Brighton interpretata da Charlize Theron in Atomica Bionda. Donne forti, capaci di incassare e rispondere per le rime, che erano pronte ad accogliere nelle loro fila anche Ava, la killer interpretata da Jessica Chastain protagonista dell’omonima produzione originale Netflix arrivata sul canale steaming in questi giorni.
Fare paragoni tra diverse produzioni non è mai elegante, ogni progetto va vissuto in modo indipendente a prescindere dalla concorrenza, su questo non ci sono dubbi. Dietro ogni produzione si possono nascondere insidie capaci di trasformare un progetto promettente in un film che alla fine lascia la sensazione di avere goduto di un intrattenimento gradevole, ma che avrebbe potuto offrire di più, se si fossero curati maggiormente alcuni aspetti. Destino che è toccato, sfortunatamente, alla bellissima Ava di Jessica Chastain.
Ava, la nuova spia di Netflix
Un progetto tormentato, quello di Ava. Iniziato sotto la guida del regista Matthew Newton, quando quest’ultimo è stato travolto dalle accuse di molestie sessuale, Ava ha subito un brusco arresto, conclusosi quanto la lavorazione è passata in mano a Tate Taylor. Questi cambi di comando, solitamente, sono ferite che segnano profondamente le produzioni cinematografiche, e purtroppo Ava non si pone come l’eccezione che conferma regola, ma anzi ribadisce questa regola, non riuscendo a cogliere quel dettaglio, quel tocco di personalità che avrebbe potuto trasformare un buon film in un’ottima pellicola action.
Ava è una killer impiegata da una misteriosa agenzia, guidata da due loschi individui interpretati da Colin Farrell e John Malkovich, che si avvale dei suoi servigi in quanto considerata la migliore nell’inscenare morti apparentemente casuali. Il suo modus operandi ottiene i risultati sperati, anche se ai suoi superiori non garba molto la sua tendenza a chiedere alle vittime se sono consce del motivo per cui stanno morire.
Questa sua "piccola" mania porta i suoi superiori a domandarsi se Ava sia ancora in grado di esercitare la sua professione in modo proficuo. La donna, in passato, ha avuto problemi di dipendenze, che la hanno spinta ad allontanarsi dalla famiglia, che vede e sente raramente, e da cui è uscita dedicandosi interamente al lavoro. Ma cosa accade a una killer spietata e lucida, se inizia a farsi domande, se i rimorsi di quanto lasciato nel passato arrivassero a farsi pressanti? Ava, dopo una missione andata in modo tutt’altro che professionale per motivi non meglio chiariti, prende un attimo di pausa per tornare dalla famiglia, cercando di riallacciare complessi rapporti e al contempo sopravvivere alla sua vita lavorativa che viene a presentare un conto decisamente gravoso.
Dal punto di vista narrativo, le premesse di Ava erano decisamente interessanti. Contrariamente ad altre pellicole action in cui la parte dinamica era preponderante, in Ava si sceglie di dare maggior risalto al lato umano della protagonista, mostrando una donna che nonostante una vita violenta presenta fragilità e sofferenze interiori palpabili. Rimorsi per una vita sprecata, la disperata voglia di recuperare una parvenza di normalità e l’attaccamento struggente a figure centrali di questa sua vita segreta sono elementi ottimi per imbastire una trama completa, ma il risultato finale non riesce a cogliere pienamente queste potenzialità.
La sensazione è che Ava non abbia una propria identità, in bilico tra la volontà di mettersi in lizza per il titolo di action movie femminile e il coraggioso tentativo di andare oltre al semplice valorizzare le scene d’azione, dando una connotazione emotiva alla sua protagonista. Jessica Chastain, nel ruolo di Ava, cerca di fare del suo meglio, alternando uno sguardo adamantino e una fisicità seducente nel ruolo assassina all’atteggiamento più dimesso e affranto della donna dietro la pistola. Ma non tutto può poggiarsi sulle sue spalle, e sarebbe servita una maggior definizione dell’impianto emotivo della storia, che specialmente nella seconda parte sembra vacillare.
La presenza di altri due nomi importanti, come Colin Farrell e John Malkovich, avrebbe dovuto essere un sostegno efficace alla dinamica narrativa di Ava, invece i due attori non riescono ad esprimersi al meglio. Un minutaggio condensato, che rimane invischiato nella classica dinamica mentore-allievo che sin dall’inizio lascia intendere come si arriverà a uno scontro finale tra queste tre anime violente. Nuovamente, sulla carta anche i personaggi di Farrell e Malkovich avevano uno spessore tale da fornire ottimi elementi su cui lavorare, ma la percezione è che si sia sprecato questo potenziale in una storia sin troppo rodata e che ha mostrato una mancanza di coraggio nel seguire nuove strade.
Un cast di livello per una storia senza identità
Il risultato è che la seconda parte di Ava perde di consistenza, la volontà di mettere troppa carne al fuoco lascia lo spettatore con la sensazione che alcuni passaggi siano troppo nebulosi, forzati nel loro inserimento all’interno di una storia che avrebbe potuto fare meglio con meno. La ricerca di un nuovo equilibrio per Ava, ben caratterizzato dall’espressività della Chastain, capace di passare dalla freddezza granitica della killer alla fragilità di una donna affranta e sola, si perde in questo action movie in certa di un’identità.
Se il contesto emotivo non trova una piena realizzazione, altrettanto penalizzato è il comparto delle scene d’azione. Siamo lontani da uno scontro agile e dinamico, gli attori si impegnano al meglio, specialmente la Chastain, ma la scelta è di privilegiare una lotta poco spettacolare e molto fisica, misurata, che potrebbe rispecchiare un approccio da killer interessato al risultato finale, ma che manca di trasmettere l’adrenalina necessaria a fare scuotere lo spettatore da una storia che manca di mordente. Taylor non cerca guizzi emotivi, non costruisce scene madri che emozionino, ma si limita a svolgere il suo compito con diligenza e professionalità, ma senza prendersi rischi che potevano portare a grandi emozioni.
Peccato, perché Jessica Chastain offre un’anti-eroina intrigante, che avrebbe meritato maggior rispetto e una definizione più curata. Difficile non immaginarsi l’attrice nel ruolo della Vedova Nera marvelliana, dopo averla ammirata nelle mosse con cui stende gli avversari, ma Ava non rende giustizia al suo impegno, culminando in uno scontro finale che, pur mirando a trasmettere una forte empatia tra spettatore e protagonista, manca di pathos e si risolve in modo poco appagante, scontato.
Jessica Chastain, John Malkovich e Colin Farrell sono sprecati in quella che, a conti fatti, è una produzione direct to video. Non certo per colpa della situazione dei cinema, ancora bloccati dalla pandemia, perché un film come Ava, se proiettato in sala, sarebbe stato potenzialmente un disastro. Se preso come una produzione senza pretese, impreziosita da un cast importante, Ava è un intrattenimento godibile, a patto di non ricordarsi che siamo sopravvissuti a una letale missione berlinese con Lorrain Brighton.
Potete vedere Ava sottoscrivendo un abbonamento a Netflix