Ant-Man and the Wasp: Quantumania, recensione: Lost in Multiverse

Scott Lang contro Kang, sarà sufficiente questo scontro a risollevare un franchise in sofferenza? La nostra recensione di Ant-Man and the Wasp: Quantumania vuole scoprirlo

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a cura di Manuel Enrico

Dopo una dolorosa (soprattutto per i fan) Fase Quattro conclusasi con il primo vero e proprio film legacy del Marvel Cinematic Universe, Black Panther: Wakanda Forever, gli appassionati del Marvel Cinematic Universe erano in attesa di un ritorno a una dimensione più epica e avventurosa dei supereroi della Casa delle Idee. Da tempo si vocifera delle immense potenzialità narrative del multiverso, ma nonostante la sua presenza (o sarebbe meglio dire assenza) in Spider-Man: No Way Home e Doctor Strange nel Multiverso della Follia, questa millantata pietra angolare della nuova fase del Marvel Cinematic Universe avrebbe dovuto finalmente imporsi come elemento centrale in Ant-Man and the Wasp: Quantumania. Nuova Fase nuova vitalità, ci si aspettava, soprattutto se il protagonista è il più umano dei Vendicatori, Scott Lang, ma come scopriremo nella nostra recensione di Ant-Man and the Wasp: Quantumania forse il peso del franchise non poteva poggiarsi interamente sulle spalle della famiglia Lang.

Dopo due film in cui è stato valorizzata l’approccio ironico di Scott Lang, grazie a un impareggiabile Paul Rudd e un parterre di spalle di tutto rispetto (non ultimo Michael Douglas, alias Hank Pym), il pubblico ha imparato a vedere nel piccolo Vendicatore un personaggio atipico. Eroe ma non per vocazione, umano e fallibile nella sua fragilità emotiva, ma comunque sempre guidato da una sorta di curiosa bussola morale che lo ha portato a essere una delle risorse più importanti dei Vendicatori. In mezzo a dèi, supersoldati e cavalieri hi-tech, Scott è rimasto il nostro tramite emotivo, la battuta che smorza l’epica, il sorriso divertito che risolleva la situazione drammatica.

Scott Lang contro Kang, sarà sufficiente questo scontro a risollevare un franchise in sofferenza? La nostra recensione di Ant-Man and the Wasp: Quantumania vuole scoprirlo

Dare nuova linfa al franchise affidandosi a un personaggio simile è una dimostrazione di coraggio, da parte dei Marvel Studios. I trailer ci hanno fatto prima sorridere con lui, poi improvvisamente hanno lasciato sottendere un clima più greve e foriero di grandi sventure future (ricordate un certo Avengers: Kang Dinasty?).  Reduci da una Fase Quattro che definire altalenante, con pochi alti (WandaVision, Loki, The Falcon & The Winter Soldier, Lycantropus, Guardians of the Galaxy Holiday Special, She-Hulk: Attorney at Law) e numerosi bassi (in breve, tutto il resto, film compresi), il fandom aveva bisogno di tornare ad avere fiducia nelle promesse della banda Feige, soprattutto ora che si sta presentando un lungo arco narrativo che proprio da Ant-Man and the Wasp: Quantumania. Premesse e promesse, che sono divenute una sorta di sottile filo di Arianna con cui i fan stanno cercando di sfuggire da una labirintica serie di delusioni e di prodotti deludenti soprattutto sul piano narrativo, segno di un’apparente stanchezza del franchise.

Non servono i fan service come Spider-Man: No Way Home, gli esperimenti autoriali come Eternals (comunque gradevole) o Doctor Strange nel Multiverso della Follia (operazione più paracula che efficace), sullo schermo deve arrivare un prodotto che ricordi al pubblico che gli eroi sono comunque uomini fallibili e umani, una sensazione ricercata in Black Panther: Wakanda Forever, ma che proprio in Scott Lang poteva trovare la sua migliore incarnazione. Emotività pura e storia concreta, ecco quali sono gli ingredienti che mancavano da troppo tempo nel Marvel Cinematic Universe, ma alla fine di questa recensione di Ant-Man and the Wasp: Quantumania troveremo la conferma che Peyton Reed ha ritrovato la giusta rotta?

Apparentemente, finire nel Regno Quantico avrebbe dovuto rivelarsi un allegorico ritorno alla sicurezza del Marvel Cinematic Universe, a quella garanzia di grande avventura oltre lo spettacolo visivo che ci ha emozionati con capitoli come Captain America: Winters Soldier o Avengers: Endgame. Aspettative dunque non alte, ma altissime per Ant-Man and the Wasp: Quantumania, eppure ancora una volta si esce dalla sala con lodi per l’innegabile spettacolarità per il Regno Quantico, ma con la sensazione che questa avventura di Scott Lang non ha espresso pienamente le sue potenzialità.

Nuovamente, la maggior indiziata è una sceneggiatura che proprio nei passaggi fondamentali della sua trama si rivela troppo sicura della comprensione dei fan per prendersi cura di creare una solidità concreta, credibile. La sensazione è che Peyton Reed e Jeff Loveness abbiano avuto qualche buono slancio creativo, ma siano stati anche spaventati di dover esser i portatori di una nuova vitalità del franchise, al punto da cercare un conforto creativo nel riproporre dinamiche sin troppo stereotipate del Marvel Cinematic Universe, preferendo realizzare non un episodio di grande crescita per un eroe che meriterebbe maggior considerazione (Scott Lang) ma affidandosi a un più confortevole capitolo introduttivo per il villain del futuro, Kang il Conquistatore, interpretato da un sempre più iconico Jonathan Majors.

Kang, va detto, è l’aspetto migliore di questo capitolo del Marvel Cinematic Universe. Majors nuovamente la sua ascesa a Hollywood, portando su schermo un villain che, nella sua apparente mancanza di empatia, riesce a concedersi rari momenti di puro maelstrom emotivo che danno un’inattesa ma spettacolare dimensione interiore a Kang. Difficile immaginare che lo stesso attore abbia portato sul piccolo schermo Colui che Rimane in Loki, ma le due differenti versione del personaggio riescono a esser differenti e simili al contempo, dando colore e spessore a un villain poliedrico, il vero cardine del futuro del Marvel Cinematic Universe.

Un traguardo raggiunto a scapito dei protagonisti, che pur mostrando una blanda vivacità, sembrano muoversi più per inerzia che per volontà. Considerato come l’excursus di Scott Lang all’interno del franchise sia sempre legato alla sua famiglia, la possibilità di dare spessore al suo rapporto con Cassie, tra amore e rimpianto del tempo perduto avrebbe meritato maggior definizione, anziché dare vita a un tono sin troppo leggero dei dialoghi, che sfocia spesso in momenti di stridente incoerenza. Ennesima potenzialità malamente utilizzata, abusata per creare un primo atto in cui viene frettolosamente ridotto al ruolo di deus ex machina per spiegare l’ingresso nel Regno Quantico e dare allo spettatore un’impalpabile sensazione di famiglia.

La vera pecca di Ant-Man and the Wasp: Quantumania sembra essere il voler impressionare solo visivamente gli spettatori, con un mondo che da inospitale come ci è sempre stato detto improvvisamente è una terra viva e affollata patria di creature stupende.  Si passa dal contesto marveliano a quello da space opera fumettistica, al punto che la società del Regno Quantico sembra modellata sull’immaginario di una tradizione fumettistica che da Flash Gordon arriva a Valerian et Laureline. Una suggestione che Reed fa sin troppo propria, al punto di appellarsi anche stilisticamente a prodotti derivativi del bande desinée di Christin e Mèziéres, Star Wars in primis, che viene evidentemente citato in alcune, inconfondibili scene.

Non bastano, tuttavia, le roboanti e non sempre perfette scene d’azione, i rari picchi emotivi e la dimostrazione che almeno sul comparto CGI i Marvel Studios hanno fatto tesoro delle critiche dei recenti prodotti. PEr questa recensione di Ant-Man and the Wasp: Quantumania, il nuovo capitolo del Marvel Cinematic Universe rimane nella migliore delle ipotesi un buon starting point per la Fase Cinque, se si accetta che quanto mostrato su schermo sia propedeutico alla valorizzazione del nuovo villain, il vero protagonista di questo film. Con buona pace di Scott Lang, che nonostante un ottimo Paul Rudd diviene l’ennesima vittima di un franchise che sembra sempre più in balia di una continuity forzata e non coesa, rischiando di deludere chi cerca in questi film una linearità narrativa da sempre considerata parte del DNA della saga, e ora ridotta a meccanica da accettare come verità dogmatica.

Una complicata partenza per la Fase Cinque del Marvel Cinematic Universe

C’è un dettaglio che spesso viene trascurato, un’ulteriore aggravante specialmente negli ultimi: i trailer. I fan delusi ma speranzosi cercano di tenere a bada la curiosità sui film futuri, ma le aspettative tendono a formarsi, specie dopo le dichiarazioni  di mea culpa di sceneggiatori e vertici dei Marvel Studios, o scene ironicamente metanarrative come il finale di She-Hulk: Attonery at Law. Il fan, per quanto deluso, continua a fidarsi e a sperare (c’è una galassia lontana, lontana piena di gente simile), ma il pericolo di questo masochistico meccanismo è che si arrivi a un momento in cui nemmeno il miglior trailer del mondo possa più generare un hype tale da dare speranza. Non bastano momenti di rara suggestione diluiti in una storia che mostra al fianco a una pochezza strutturale, si perdono all’interno di uno spettacolo visivamente strepitoso, ma che tolta la fascinazione del momento non rimane nel cuore dello spettatore, non spinge a rivivere quella storia per assaporarne ogni sfumatura.

Nella nostra recensione di Ant-Man and the Wasp: Quantumania non possiamo che rilevare come questo capitolo del franchise rivendichi la sua appartenenza al Marvel Cinematic Universe con rassegnazione, mostrando nuovamente le criticità che hanno contraddistinto il franchise nelle sue precedenti incarnazioni. La mancanza di vere figure di riferimento e di sceneggiatori capaci di farsi tramite di una maggior concretezza narrativa inizia ad essere un problema evidente per il franchise. Se in Black Panther: Wakanda Forever queste criticità venivano ammansite da una forte connotazione emotiva narrativa, tramite l’alternanza tra T’Challa e Shuri, in Ant-Man and the Wasp: Quantuamania viene meno anche quest’ancora emotiva. Il risultato è una pellicola a tratti divertente, che cerca di trovare nelle due scene post credit una propria valenza almeno sul piano della continuity della Multiverse Saga, ma che più che il grande schermo merita un passaggio su Disney Plus, al pari di una Special Presentation da godersi sul divano. Questo ennesimo prodotto privo di una vera identità manca di onorare le recenti promesse di Feige, che assieme ai Marvel Studios deve ora trovare una matrice narrativa che valorizzi questa avventura all’interno dei futuri capitoli, ma la sensazione è che su quel fiume in cui è stato posto il cuore di Tony Stark sia stato abbandonato anche il cuore del Marvel Cinematic Universe.

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