Andor, recensione: la scintilla della ribellione

Su Disney Plus, Andor, il prequel di Rogue One: A Star Wars Story, svela le origini oscure della ribellione.

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a cura di Manuel Enrico

E tu cosa sacrifichi? Nel momento in cui Luthen lascia emergere tutta la propria sofferenza in un monologo magistralmente interpretato da Bill Skarsgard, il fulcro emotivo di Andor diventa palese, esplode nel petto dei fan di Star Wars, che finalmente hanno modo di comprendere come dietro le gesta eroiche viste sul grande schermo con la Trilogia Originale (Una Nuova Speranza, L’Impero Colpisce Ancora e Il Ritorno dello Jedi) ci siano una realtà più spietata e cinica, fatta non solo di sacrifici ma anche di atti estremi, lontani dalla poesia del ribelle eroico. Non dovrebbe stupirci, considerato che la serie di Disney+ è un prequel del miglior prodotto cinematografico di Star Wars dell’era Disney, Rogue One, in cui veniva mostrato come gli eroi possono esser tali solo perché nell’ombra opera uomini e donne che non cercano la gloria, ma compiono azioni all’occorrenza meschine pur di raggiungere lo scopo. Dal war movie di Gareth Edwards l’ultima serie di Star Wars non eredita solamente un magnifico protagonista, Cassian Andor (Diego Luna), ma un’anima magneticamente sofferente che consacra questa prima stagione della serie come il miglior prodotto seriale di Star Wars uscito sinora.

Affermazione che potrebbe far sollevare qualche sopracciglio, considerato che se si parla di serialità in casa Star Wars il primo paragone è sempre con The Mandalorian, apripista per questa diversa modalità di racconto della galassia lontana, lontana. Senza nulla togliere alle pur appassionanti avventure di Din Djarin, di cui vedremo presto la terza stagione, Andor si discosta dall’opera essenzialmente fanservice che vede protagonista il Mandaloriano per cercare di raccontare Star Wars in un modo nuovo, più umano e privo dei classici elementi da space opera tipici della saga.

Andor, le origini oscure della ribellione su Disney+

Non aveva mentito Tony Gilroy, showrunner di Andor, quando ci aveva promesso una serie in cui non avremmo dovuto cercare easter eggs e citazioni come accaduto con altri titoli, come The Mandalorian o Obi-Wan Kenobi, bensì un racconto intenso che tramite il passato di Cassian Andor ci avrebbe svelato uno dei capitoli più cupi e oscuri della continuity della saga, l’Ascesa dell’Impero. Dalle ceneri della vecchia Repubblica sorge una società oppressiva, guidata da Palpatine, che non può che dare adito a moti di ribellione da parte di mondi che si ritrovano improvvisamente a dover subire le angherie del nuovo ordine imperiale.

Se dal punto di vista cronologico questo periodo di Star Wars ci è stato ben delineato da Leia e compagni, ci è sempre mancato un inquadramento emotivo, una visione umana di come siano stati questi anni di profondo cambiamento. Uno scorcio di questa epoca violenta aveva preso la forma di Rogue One, ma si trattava di un finale, a voler esser onesti, che culminava proprio con l’inizio della tradizione dell’avventura di Star Wars. Mancava ancora una radice autentica della ribellione, che, anzi, proprio in Rogue One mostrava un fascino graffiante, rivelando una natura tutt’altro che nobile e, proprio per questo, ancora più appassionante.

Andor rappresenta la risposta a tutte le curiosità lasciate ai fan della saga da Rogue One. Reduci dalla delusione di Obi-Wan Kenobi, era lecito avere timori di assistere all’ennesima debacle del franchise, ma la scelta di abbandonare le classiche ambientazioni eroiche della saga si è mostrata nuovamente una scelta vincente. Non ci sono poteri magici, niente spade laser, Andor è una storia tremendamente, appassionatamente umana in un contesto in cui spesso i semplici cittadini sono considerate figure di sfondo. Gilroy ribalta questa prospettiva, guida lo spettatore in una galassia meno luminosa e affascinante, spingendolo in ambientazioni opache e grevi, in cui si muovono persone concrete, spaventate e oppresse, ma che attendono la scintilla per sollevarsi contro un potere lontano ma spaventosamente presente.

Una radice emotiva che non viene presentata solo tramite dialoghi che veicolano le intense emozioni dei protagonisti, ma che viene portato su schermo con una scelta cromatica impeccabile. Pur preservando una chiara identità visiva, Andor riesce a presentare ambientazioni differenti che, tramite una fotografia che valorizza i diversi contesti, mantiene una linearità, quasi un sottofondo appena percettibile, in cui anche la luminosità della capitale galattica, Coruscant, sembra una voragine oscura. Un ossimoro, a ben vedere, se pensiamo che proprio nelle ambientazioni più luminose, le asettiche strutture dell’Impero, si annida un’oscurità latente, fatta di macchinazioni e di machiavellici inganni finalizzati alla sconfitta delle cellule ribelli non per il bene dell’Impero, quanto per una propria gloria personale.

Meccaniche narrative complesse, che si prendono i giusti tempi per evolversi. L’azione in Andor non manca, anzi ha momenti di grande spettacolarità, ma viene sempre utilizzata con una maniacale attenzione al rispetto di un’evoluzione naturale della trama. Per Gilroy, la spettacolarità non sono le esplosioni accecanti e le grandi battaglie, quanto piuttosto un crescendo emotivo che dia coerenza alla storia di Cassian, toccando dei picchi emotivi che colpiscono duramente lo spettatore per la loro spiazzante umanità. Difficile non provare compassione per lo straziante epilogo della fuga dalla prigione di Narkina 4 e per il povero Kino Loy (Andy Serkis monumentale), o rimanere ammirati dalle scelte di Mon Mothma, capace di mettere in palio tutto ciò che ha di più caro pur di garantire un futuro alla ribellione.

Le ribellioni si fondano sulla speranza

Siamo lontani dalla grammatica avventurosa e leggera di Star Wars, che anche nei suoi momenti più intensi ha sempre trovato modo di inserire un alleggerimento comico, che fossero le batture di un maestro Jedi o l’inattesa umanità di una coppia di droidi. Ancor più che in Rogue One, dove Edwards aveva rivestito K-2SO del ruolo di comic relief, in Andor non c’è spazio per serenità e leggerezza, la continua pressione esercitata dalla storia di Cassian diventa una costante, ogni occasione è sfruttata al meglio per enfatizzare quanto la nuova società imperiale sia stata foriera di rinunce e perdite per i cittadini comuni. Andor, come ben rappresentato dai due monologhi di Kine Loy e Luthen Rael, è una storia drammatica, concreta e umana, che scava nell’anima dello spettatore spingendolo ad empatizzare con dei protagonisti che risultano lontani dai più amati volti della saga, e forse proprio per questo ancor più emozionanti e avvincenti.

Andor non è solamente il primo passo per la nascita della ribellione, nonostante sia questo il fulcro della storia. la contrapposizione tra Cassian e la rigida Deedra Meero (Denise Gough), adamantina agente dell’ISB, consente di mostrare dall’interno le dinamiche della macchina imperiale, svelando la spietata lucidità degli ufficiali imperiali, non mancando di evidenziare sprazzi di fragilità anche in queste figure così deprecabili. Il valore emotivo di Andor risiede in questa attenta valorizzazione emotiva dei personaggi, capace di dare a una saga storicamente sin troppo focalizzata su una puerile contrapposizione di bene e male una serie di intriganti sfumature, che da un lato erodono l’aura di immacolata purezza dei Ribelli conosciuti in Una Nuova Speranza, ma dall’altro riescono a dare maggior realismo all’intera saga. Un risultato encomiabile che non può che lasciarci in trepidante attesa della già annunciata seconda stagione.

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