American Horror Story - Double Feature: Death Valley, la recensione

La decima stagione di American Horror Story si è conclusa: qui la nostra recensione di American Horror Story - Double Feature: Death Valley.

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a cura di Rossana Barbagallo

La decima stagione di American Horror Story - Double Feature su Disney Plus è giunta alla conclusione, con l’ultimo episodio andato in onda mercoledì 22 dicembre. La seconda parte della serie horror antologica creata da Ryan Murphy e Brad Falchuk, intitolata Death Valley, ha condotto il pubblico tra l’America degli anni ’50 e quella dei giorni nostri: una trama che si intreccia nel tempo per raccontare una storia di rapimenti ed esperimenti alieni, perpetrati per decenni con la complicità del governo statunitense. Death Valley ha preso lo spazio di 4 episodi su 10, raccontando in breve tempo una storia raccapricciante e dissacrante, attingendo alle più radicate teorie del complotto che gravitano attorno alla famigerata Area 51. Vediamo insieme qual è stata la conclusione di American Horror Story - Double Feature: Death Valley e come si colloca complessivamente questa stagione nel panorama seriale odierno.

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American Horror Story - Double Feature: Death Valley, o un deserto affollato

È il 1954, alla presidenza degli Stati Uniti c’è Dwight D. Eisenhower, il nemico “rosso” sembra possa essere sempre in agguato e nel deserto del New Mexico due figure fanno la loro comparsa: l’aviatrice Amelia Earhart, scomparsa da quasi vent'anni e adesso improvvisamente incinta, e una strana creatura umanoide, apparentemente morta. Come scopre di lì a poco lo stesso presidente, quest’ultima non è altro che un essere alieno, giunto sulla Terra insieme ad altri suoi simili per incontrare i vertici del pianeta e stringere un accordo.

Oggi, quattro giovani amici si incontrano di nuovo dopo un lungo periodo e decidono di celebrare trascorrendo del tempo insieme in campeggio, nel deserto, lontano da tutti e senza cellulari. La vacanza, tuttavia, prende una piega spaventosa quando scoprono, nelle vicinanze del campeggio, un intero bestiame mutilato. Nella fuga per fare ritorno a casa, la loro auto viene circondata da strane luci e i quattro perdono i sensi. Al loro risveglio, l’intero gruppo presenta i segni di un’improvvisa gravidanza. Inclusi gli uomini.

I (don’t) want to believe

Death Valley è la seconda parte che chiude American Horror Story - Double Feature, preceduta dai 6 episodi di Red Tide (di cui trovate qui la nostra recensione). Essa è composta da 4 puntate della durata di circa 40 minuti ciascuna, con un cast che comprende alcuni volti noti della serie antologica (Lily Rabe, Sarah Paulson, Leslie Grossman) e “new entries” celebri (Neal McDonough, Craig Sheffer, Kaia Gerber). Uno spazio ridotto, che tuttavia Death Valley non teme di utilizzare intrecciando in esso una doppia narrazione che si sviluppa in un arco cronologico di circa 60 anni. Da una parte vengono quindi esposti i fatti che hanno dato origine all'incontro tra la razza umana e quella extraterrestre negli anni ’50; dall'altra viene fatto un lungo salto fino al 2021 che mostra la spaventosa evoluzione nel tempo (e l’epilogo) di tale incontro.

Si tratta di una struttura narrativa resa visivamente dall'utilizzo di alcuni escamotage. Ad esempio, il bianco e nero per ciò che concerne la prima metà di ogni episodio, dedicata agli eventi del passato, con una propensione a un approccio filmico che ricorda i b movies anni ’50. La tendenza è anche quella a un certo citazionismo horror che richiama ad esempio Il Villaggio dei Dannati o Scanners. Il salto ai giorni nostri è quindi piuttosto netto, con un forte contrasto di colori e di immagini che risalta lo scorrere del tempo. È una strategia, quella utilizzata in American Horror Story - Double Feature: Death Valley, che potrebbe anche funzionare, se non fosse che sono la struttura stessa della sceneggiatura e i linguaggi con cui viene esposta a vacillare rovinosamente per tutto il tempo.

Death Valley propone infatti il tema dell’invasione aliena, operata in maniera subdola attraverso esperimenti segreti, senza tuttavia svilupparla in maniera realmente spaventosa o originale. A partire dal complottismo classico, che vede protagonisti l’Area 51, la compiacenza governativa, l’assassinio di Marilyn Monroe e J.F. Kennedy, la seconda parte di questa serie TV mostra teorie arcinote, non trasmette sui nostri schermi nulla di nuovo. Ci sono gli alieni cattivoni, il governo statunitense connivente e bugiardo e perfino le sonde anali se non fai il bravo! Tutto ciò si mescola a immagini che, oltre a un alto grado di sanguinolento voyeurismo, non trasmettono un reale terrore e si ripetono con una tale facilità da diventare presto ridondanti e banali (vedi: teste che esplodono). La parte orrorifica è perciò poco presente, malamente accantonata in favore di un approccio che sembra dirigersi più verso la satira politica, il linguaggio dissacrante, il gusto un po’ kitsch che rende la serie horror di Ryan Murphy e Brad Falchuk, ancora una volta, una sorta di lunga parodia.

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Oops, I did it again

Ancora una volta, perché la serie horror antologica divenuta tanto celebre nell'ultimo decennio non è nuova nella messa in scena di stagioni che avrebbero potuto dare di più e non lo hanno fatto. Ne avevamo parlato già in occasione dell’uscita di American Horror Stories, poco tempo fa; succede di nuovo con American Horror Story - Double Feature: Death Valley. In Red Tide qualche sprazzo di horror qua e là, soprattutto nella suspense e nella tematica metanarrativa dedicata alla produzione creativa (inclusa quella seriale), ha rappresentato un barlume di speranza verso un possibile climax horror che avrebbe potuto concretizzarsi con Death Valley e il finale di stagione.

Vorremmo dire che l’impegno c’è, ma in realtà la volontà di creare una vera serie TV horror, sembra non esserci affatto. A spaventare davvero sono gli intenti subdoli e meschini dei protagonisti, incarnazione di un’umanità gretta ed egoista, questo è vero. Ma questa "incarnazione" si perde tra le righe di una retorica fiacca e mal sviluppata che suona molto come "la tecnologia è cattiva e fa smarrire la nostra umanità". Con Death Valley abbiamo la conferma che American Horror Story: Double Feature non vuole realmente spingersi nel campo dell’horror, quell'horror che ti fa provare ansia tenendoti col fiato corto; quello che ti fa sobbalzare improvvisamente o voltare dall'altra parte; quello che ti fa temere il mondo reale una volta ultimata la visione dell’opera di fantasia. La decima stagione di AHS lo fa di nuovo, ci ricasca e propone invece un pezzo di serialità televisiva incapace di osare, spesso trash, facilmente dimenticabile. Ciò che avrebbe potuto essere horror diventa un prodotto che imita in maniera parodistica l’horror, anche a causa dei personaggi presenti in scena.

Tra tutti, il Richard Nixon interpretato da Craig Sheffer, la Calico di Leslie Grossman e la Mamie Eisenhower di Sarah Paulson: personaggi interpretati da attori talentuosi che appaiono tuttavia come delle vere caricature. Il vero protagonista di Death Valley è Neal McDonough, nel ruolo del presidente Eisenhower, in grado di colmare la mancanza di spessore degli altri. Mancanza che viene sentita soprattutto, forte e chiara, nei quattro giovani protagonisti dei giorni nostri, vittime della gravidanza a sorpresa: Kendall (Kaia Gerber), Jamie (Rachel Hilson), Cal (Nico Greetham) e Troy (Isaac Cole Powell). A questo proposito, American Horror Story: Double Feature (come già avvenuto in passato, tuttavia) ha un grosso merito che ci sentiamo di premiare: la capacità di mettere in scena, con naturalezza, le tematiche LGBTQ+.

La coppia Troy – Cal è infatti composta da due ragazzi gay e grazie ad essa vengono proposti determinati spunti riguardanti il coming out o la creazione di una famiglia, comprendente anche dei figli. È un punto a favore di American Horror Story - Double Feature: Death Valley, che non teme quindi di parlarne, anche a costo di essere tacciata di falso perbenismo da chi potrebbe nutrire dei pregiudizi. Ciò che ci fa storcere il naso, tuttavia, è la mancanza di una reale profondità psicologica dei personaggi messi in scena in quest'ambito, che risultano ancora una volta come sorta di macchiette cui è stato affidato il gravoso compito di parlare di argomenti seri.

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