American Gods S01, uno show assolutamente divino

Cala il sipario sulla prima stagione dello show tratto dall'omonimo romanzo dark fantasy e il risultato, a parte qualche scelta opinabile nella sceneggiatura, è davvero fenomenale. Salutate la migliore novità televisiva del 2017.

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a cura di Andrea Balena

"'Mi rifiuto di dimostrare che esisto' dice Dio 'perché la dimostrazione è una negazione della fede, e senza la fede io non sono niente' (Douglas Adams)

Questa frase appare nella descrizione del Pesce Babele contenuta nella Guida Galattica per gli autostoppisti, uno dei libri di fantascienza britannici più famosi e influenti degli ultimi cinquant'anni. Neil Gaiman, altro grande scrittore inglese contemporaneo, si può tranquillamente considerare un discepolo di Adams, in quanto il suo bestseller (e ora serie TV) American Gods si fonda sul principio riassunto in quella frase.

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Il romanzo originale del 2001 nacque dopo un viaggio on the road dell'autore sul suolo degli Stati Uniti, durante il quale entrò in contatto con il grande tratto distintivo di quella nazione: il gigantesco melting pot di popoli, culture e religioni che fa da intelaiatura della società americana. Si dice spesso che il paese a stelle e strisce non abbia una storia secolare paragonabile a quella dei paesi europei, ma questo è vero solo in parte.

Spesso ci si dimentica o si fa passare in secondo piano il fatto che gli Stati Uniti hanno l'eterogeneità nel proprio DNA. Con gli avvenimenti degli ultimi anni, fra manifestazioni, rivolte e le discutibili scelte politiche di Trump nel settore dell'immigrazione, American Gods è tornato sotto forma di show televisivo nel migliore dei momenti, con lo scopo - dichiarato dagli stessi autori - di offrire un interessante spunto di riflessione e di ricordare a tutti le variegate origini del paese alla guida del cosiddetto mondo libero.

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Gaiman utilizza un modo singolare per far "parlare" le culture, ovvero incanalarle attraverso le corrispettive divinità. Il piatto forte dello show sono infatti i cortometraggi che fungono da prologo di ogni puntata, ciascuno dei quali narra di quando una divinità, attraverso i propri fedeli, ha raggiunto le coste statunitensi. Sono passaggi che funzionano egregiamente perché ognuno è a suo modo unico, ad esempio l'arrivo del camaleontico Mr. Nancy durante la diaspora afroamericana oppure l'iconoclastico e provocatorio passaggio di alcuni immigrati messicani al confine col Texas e della "calorosa" accoglienza che li attende. Sono scene che caratterizzano egregiamente la rappresentazione e il funzionamento di una realtà a metà strada fra il quotidiano, l'onirico e il divino, sebbene non abbiano un preciso scopo per la trama orizzontale.

Questa frammentazione della sceneggiatura, per quanto funzionale, purtroppo va a minare la storyline principale, quella dove seguiamo Shadow e Wednesday in giro per il paese a reclutare le vecchie divinità. Il loro rapporto si evolve gradualmente mentre affrontano situazioni sempre più assurde, alle quali spesso la mente dell'ex galeotto non riesce a dare alcuna spiegazione logica, fino alla tanto attesa e spettacolare rivelazione dell'identità del suo capo. In appena otto episodi era difficile aspettarsi uno sviluppo concreto e soddisfacente, ma il lavoro di costruzione da parte della sceneggiatura permette di confezionare un primo atto perfetto. La già annunciata seconda stagione sicuramente partirà con l'acceleratore, dopo la dichiarazione di guerra aperta da parte di Wednesday a tutti i Nuovi Dei.

Inaspettata ma efficace è la storia parallela di Laura (Emily Browning), la rediviva moglie di Shadow e il suo improbabile rapporto con il leprecauno Mad Sweeney. Un'accoppiata apparentemente casuale e innaturale, ma che permette a queste due figure agli antipodi di rivelarsi pian piano e, nel caso della creatura irlandese, raccontare il proprio passato e i misteriosi motivi che lo legano alla donna morta. Una trama che non esisteva nel libro, nel quale i due personaggi si limitano a fugaci apparizioni e sono legati involontariamente dal susseguirsi degli eventi. Gaiman dimostra così di saper rimaneggiare il proprio lavoro, ampliandolo in maniera saggia dove ne aveva più bisogno.

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Una prova di tale abilità è l'adattamento delle vicende di Bilquis, la misteriosa dea predatrice. Anch'essa nel libro occupa un ruolo secondario, tanto da non incrociare mai la strada dei protagonisti, ma i cambiamenti effettuati nel finale fanno prevedere che prenderà direttamente parte al conflitto fra divinità. Oltretutto, nella sua backstory è emblematica la scena della distruzione del suo tempio ad opera delle forze militanti dell'ISIS: lei assiste alla scena da uno schermo televisivo, impotente e distrutta, non solo come divinità decaduta, ma anche e soprattutto come donna oppressa.

La vena artistica di Bryan Fuller, produttore e showrunner, si fa sentire per tutta la stagione. Probabilmente ancora segnato dal suo precedente lavoro (Hannibal), ha approfittato del setting fantasy dello show per imbastire uno spettacolo caratterizzato da una estetica senza precedenti, più poliedrica che mai: dal fantastico assalto a Shadow nel pilot, dove il sangue scarlatto si mischia con la pioggia battente, alla (letterale!) pioggia di proiettili del paesino di Vulcan, fino alla tanto discussa scena omosessuale fra due mussulmani. Qualcuno potrebbe trovare discutibili o di cattivo gusto alcuni passaggi, ma noi ne siamo rimasti assolutamente stregati. Sebbene in questo caso si sia creato un compromesso fra pura estetica e narrazione, l'estro artistico di Fuller ha trovato comunque il modo di manifestarsi, rimanendo uno degli autori più interessanti nel panorama televisivo di questi anni.

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American Gods si è rivelata essere la serie TV che tutti volevano vedere: un'orgia visiva senza precedenti, sorretta da un'impalcatura narrativa solida e profonda senza confronti, che tuttavia si mantiene fedele al materiale originario, seppure il ritmo non sia sempre incalzante. Insomma, il consiglio è di recuperarla il prima possibile su Amazon Prime Video, perché potrebbe rivelarsi uno degli show migliori del decennio.


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