L’uscita di Prometheus aveva radicalmente rivoluzionato la saga di Alien. Il ritorno al timone della serie di Ridley Scott, creatore dell’universo degli xenomorfi, si era rivelato un intrigante punto di svolta all’interno della cronologia di Alien, una nuova linea narrativa che prometteva sia dare finalmente risposta agli interrogativi lasciati in sospeso dal primo capitolo della saga, che di arricchire la saga con una serie di tematiche care al regista e che avrebbero dato una maggior definizione al mito dello xenomorfo. Una dichiarazione di intenti che, dopo una non proprio entusiasmante accoglienza per Prometheus, cercava riscatto nel secondo capitolo di questa annunciata trilogia, Alien: Covenant.
Che Prometheus non fosse un progetto stand alone era chiaro non solo dopo la visione del film, ma anche dalle intenzioni di Scott, che, supportato da Damon Lindelof, aveva in mente di creare un complesso arco narrativo che si ricollegasse a quanto raccontato in Alien. Contrariamente a quanto fatto a suo tempo nel 1978, dove si era partiti da un complesso lavoro di world building per poi compiere un sofferto lavoro di sottrazione arrivando alla creazione di un horror movie spaziale, con Prometheus si era finalmente dato all’universo di Alien una connotazione più definita, si stava presentando al pubblico la vera origine della lotta tra umani e xenomorfi.
L’avventura umana dopo Prometheus
Si potrebbe anche rilevare come all’interno della saga avevamo goduto di una maggior concretezza dell’ambiente sociale di questo futuro in Aliens – Scontro Finale, dove Cameron e Walter Hill avevano inserito nella sceneggiatura le colonne portanti di questo mosaico futuro, ma erano ancora assenti le fondamenta della saga. E Scott intendeva rimediare a questa apparente mancanza, conscio di come il primo Alien avesse un potenziale altamente inespresso sul piano narrativo:
“Sostanzialmente era un film con sette persone intrappolate in una lattina, con una scommessa su chi sarebbe sopravvissuto e chi no. In una divertente prospettiva, era un film di genere, se ti piacciono i B-movie realizzati come un titolo di spessore, con un grande cast e una creatura magnifica. Avevamo alzato l’asticella”
In realtà la saga aveva già tutte le componenti essenziali per essere sviluppata e non mostrare fragilità, grazie al lavoro di Cameron. Al netto delle leggende di una rivalità tra Scott e Cameron, nata dallo scarso apprezzamento di Scott per il lavoro di Cameron, Aliens – Scontro Finale è stato considerato per anni il punto di svolta della saga, il momento in cui abbiamo calato l’epopea di Ellen Ripley in una realtà con punti di riferimento precisi, con la presenza dei ‘canoni’ della serie. Il ruolo svolto spesso dai secondi capitoli delle grandi saghe del cinema, un destino che era previsto anche per Alien: Covenant.
Durante lo sviluppo di Prometheus, Scott aveva confermato la sua intenzione di arrivare a un punto di contatto con Alien. Alien: Covenant avrebbe dovuto svolgere questo ruolo, ma il finale decisamente, e volutamente, aperto di Prometheus aveva radicalmente cambiato questo approccio, tanto che lo stesso Scott nel 2015 cominciò a parlare di più di un sequel di Prometheus, arrivando a precisare quale era l’eredità di questo nuovo capitolo della saga, all’interno della serie:
“Considerato che si tratta di un punto zero da cui sta ripartendo tutto, con Prometheus mi sono reso conto che la gente ha ancora interesse nell’alieno, ciò che rappresenta e la sua evoluzione. Quelli che chiamiamo uova, facehugger e chestburster. La gente vuole ancora vederli, quindi ho decido di mostrarli nuovamente, ma non del tutto, ci sono ancora molte cose nuove da scoprire. Prometheus era costruito su ‘chi’ e ‘perché’ ha creato gli alieni, ora è tempo di spiegare chi li perfezionati e per quale ragione”
Le intenzioni di Scott erano quindi ben precise, ma ancora una volta il suo ritorno al timone della saga rischiava di essere messa in difficoltà da un progetto parallelo. Prometheus era stato rimandato a lungo per colpa del primo crossover tra Alien e Predator, ma Alien: Covenant rischiava di seguire la stessa sorte per via di un altro progetto legato agli xenomorfi, affidato all’allora emergente Neill Blomkamp, apprezzato per il suo District 9. Idealmente seguito di Aliens – Scontro Finale, avrebbe dovuto coinvolgere anche Scott, ma considerata l’intenzione di Scott di continuare il suo nuovo arco narrativo, il progetto di Blomkamp venne sospeso, finendo infine per divenire uno dei tanti film mai realizzati. L’attenzione dei fan della saga doveva essere completamente focalizzata sull’opera di Scott, che stava riscrivendo le basi della sua saga.
Ritorno ad Alien
Tenendo presente lo spirito di narrativa semplicità del primo Alien, è facile comprendere come alcuni elementi già presenti in questo primo capitolo sia parte fondamentale del DNA della serie. L’essenza stessa degli xenomorfi è un letale intreccio di ferina feroica e incarnazione dell’orrore atavico, che non può essere tolta dall’equazione Alien. In Prometheus queste componenti erano state lievemente sfiorate solamente nelle scene finali, ma se l’intenzione era quella di ricollegarsi ad Alien era giunto il momento di riportare in scena queste componenti basilari della saga. Dettaglio che non sfuggì a John Logan, che affiancò Scott nella scrittura della sceneggiatura:
“Con Alien: Covenant, voglio scrivere una storia che abbia davvero quella sensazione di orrore dell’Alien originale, perché quando da ragazzo vidi quel film fu uno dei miei momenti più rivelatori. Era così travolgente per ciò che mi trasmetteva e le sue implicazioni, che quando iniziai a parlare con Ridley di come avrebbe dovuto essere Alien: Covenant, cercammo di assimilare lo spirito orrorifico originale nel film, al contempo mantenendo vive le atmosfere filosofiche di Prometheus.”
Questo riavvicinamento allo spirito originario della saga si riscontra anche nella scelta di riportare il nome del franchise nel titolo del film. Pur essendo un seguito diretto di Prometheus, il nuovo capitolo della saga non è semplicemente Covenant, ma diventa Alien: Covenant. Le linee narrative iniziate da Prometheus sono comunque preservate ed evolute, una continuità che era emersa già in fase di scrittura della sceneggiatura, con il titolo provvisorio di Paradise Lost. Nuovamente Scott sembrava rivolgersi alla visione filosofica di Milton con il suo Il Paradiso Perduto, già sfiorata ai tempi di Prometheus, che assume un tono di maggior attinenza con Alien: Covenant, soprattutto se consideriamo chi è il vero protagonista del film: David.
Nel finale di Prometheus, l’androide interpretato da Michael Fassbender partiva con Elisabeth Shaw (Noomi Rapace) alla ricerca del pianeta originario degli Ingegneri. Sono passati dieci anni dal finale di Prometheus, quando una nave di coloni, in seguito a un brillamento solare, viene risvegliata dal criosonno per affrontare la crisi. Superata questa empasse, aiutati dal loro sintetico Walter (interpretato nuovamente da Fassbender), l’equipaggio riceve un segnale da un pianeta vicino, lontano dalla loro rotta, che decidono di seguire per scoprirne l’origine. E questa scelta sarà l’inizio del loro calvario.
Sul piano concettuale, Alien: Covenant mostra di voler proseguire il viaggio cosmico alla ricerca della conoscenza intrapreso dalla Shaw, ma rapidamente ci troviamo davanti a un repentino cambio di punto di vista. Dal precedente capitolo, sembra che i concetti fondanti, ossia il rapporto con la fede e la ricerca di risponde fondamentali, siano stati accantonati, blandamente diluiti all’interno di una narrazione che si focalizza maggiormente sulla creazione di un’aderenza alla continuity della saga, appellandosi a un altro tema caro a Scott: l’intelligenza artificiale.
In Prometheus il complesso rapporto tra David e l’equipaggio aveva fatto riemergere quella sensazione di profonda sfiducia che la saga ha sempre lasciato trapelare nei confronti dei sintetici, apertamente ostili, come Ash, o dall’atteggiamento ambiguo, come Bishop. Nel caso di David, la sua missione di protezione del creatore era fallita, con la morte di Weyland, ma si era percepito come il sintetico avesse un proprio scopo, legato a uno dei temi fondamentali del nuovo arco narrativo di Scott, ossia la creazione. David mette infatti un percorso di procreazione che conduce alle prime ibridazioni tra il black goo, il composto genetico degli Ingegneri, e l’umanità, avviando una circolarità che al termine di Prometheus si completa coinvolgendo anche uno dei titani alieni. L’ambivalenza di David trova però una propria caratura all’interno di Alien: Covenant.
Vita artificiale e xenomorfi
Nelle scene iniziali di Alien: Covenant, Scott ritrae, tramite un flashback, un dialogo tra David e Weyland, in cui trapela come l’uomo veda il sintetico come un oggetto, non comprendendo la presenza di una scintilla di individualità nella mente dell’androide. Un momento centrale per comprendere il percorso successivo di David, che dopo aver assistito alla morte del suo creatore e in seguito a quella decisamente sbrigativa della Shaw, matura una propria concezione sul suo ruolo: non più di oggetto, ma di essere senziente. David diviene il figlio ribelle dell’umanità, libero da vincoli morali (o di programmazione, se vogliamo), che lo portano a volersi imporre come nuova specie dominante, un essere al di sopra di ogni altra creatura. Non è un caso che in Alien: Covenant tocchi proprio a David la citazione a Ozymandias di Shelley, esaltazione della sua ascesa a un ruolo semidivino di preminenza. Aspetto che ci ricollega a un’altra delle ispirazioni di Scott per questo suo nuovo ciclo, il citato Il Paradiso Perduto, che consente di ravvedere nel ruolo di David l’erede spirituale del Lucifero miltoniano:
“Meglio regnare all’Inferno, che servire in Paradiso”
Le azioni di David, compreso lo sterminio del pianeta degli Ingegneri e la sua mira a creare una forma di vita, sono parte integrante di questa sua ascesa. A ben vedere, la creazione è il traid d’union tra Prometheus e Alien: Covenant, un legame che vede sempre David come deus ex machina: Shaw, sterile, concepisce un ‘figlio’ tramite l’intervento subdolo del sintetico, ed è sempre l’androide a elaborare la complessa dinamica riproduttiva della proto-specie che diventerà un giorno il letale xenomorfo. David diventa quindi un portatore di vita, per quanto in modo travisato, sostituendosi al suo stesso creatore, l’uomo, e mirando a realizzare piani ancora più grandiosi, nuovamente incarnando il fulcro emotivo del sonetto di Percy:
“Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re./ Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!/Null’altro rimane. Intorno alle rovine/Di quel rudere colossale, spoglie e sterminate,/Le piatte sabbie solitarie si estendono oltre il confine”
David costruisce la sua nuove genia sulle rovine della precedente cultura, quella degli Ingegneri. Una civiltà che ancora manca di definizione all’interno della saga, a cui Scott deve ancora ricollegare il famoso space jockey, ma che il sintetico ha sterminato mosso da un’emotività estremamente umana. Un’apparente dissonanza con il concetto di androide tradizionale, rappresentato da Walter in Alien: Covenant, ma consente a questo semidio artificiale di dare vita a una spirale di eventi che ci condurrà agli eventi di Alien, ma almeno è già stata data una risposta: gli xenomorfi sono i figli dell’hubris divina di David.
Concettualmente, Alien: Covenant sposta quindi il focus della narrazione rispetto al suo predecessore. Se Prometheus era un eco del mito greco delle insidie e dei pericoli della conoscenza, oltre che del suo potere, Alien: Covenant sembra volere abbandonare l’aspetto metafisico e filosofica dei grandi enigmi dell’umanità (chi siamo? Da dove veniamo? Esiste un Dio?), distaccandosi dal lato empaticamente umano della vicenda per avvicinarsi a una narrazione sci-fi più tradizionale. Il ruolo preminente di David e del suo piano di creazione avvicina il sintetico ai grandi villain artificiali della fantascienza, da Terminator ai Replicanti di Blade Runner. Proprio a questi ultimi Scott richiama stilisticamente, con una scena iniziale in cui l’occhio di David guarda direttamente in camera, memore della scena cult iniziale di Blade Runner, o facendo citare all’androide il ferino incitamento di Roy Batty durante lo scontro con Deckard, proprio mentre David lotta con la protagonista del film, Daniels.
La scelta di focalizzarsi su David, da un certo punto di vista, affascina per l’apertura a una certa tradizione della narrativa sci-fi, ma dall’altro coincide con un netto taglio alle promettenti suggestioni lasciate aperte nel finale di Prometheus. Interrogativi affascinanti che sono rimasti in parte ancora privi di risposta, ma nella maggior parte dei casi sbrigativamente risolti facendo convergere il tutto sulla figura di oscuro messia di David. Scelta comprensibile nell’ottica di avvicinarsi sempre più agli eventi del primo Alien, ma che, a conti fatti, ha portato alla creazione di un capitolo della saga piagato da alcune ingenuità e scelte assai poco felici.
Perfidi androidi e umani ingenui
Per quanto complessa e con punti poco lineari, la sceneggiatura di Prometheus, opera di Scott e Lindelof, era comunque figlia di una visione precisa, con in mente un primo capitolo ricco di sfumature e suggestioni filosofiche che dovevano emergere all’interno di una continuity parte integrante della pop culture. Era quindi più che comprensibile che il finale di Prometheus fosse un lancio verso l’ignoto, la promessa che l’avventura era solo all’inizio e che le risposte ci attendevano tra le stelle. Pur con tutti i dubbi e le perplessità del caso, i fan della saga erano quindi disposti a dare fiducia a Scott per Alien: Covenant, stimolati anche dalla presenza del nome del franchise nel titolo.
Il citato cambio di prospettiva e l’abbandono dell’intelaiatura filosofica di Prometheus sono divenuti i punti critici di Alien: Covenant. A penalizzare questo secondo capitolo non è stato il piano tecnico, impeccabile sia nella resa delle scene d’azione che nel design, ma nelle scelte narrative, che proprio nei punti di maggior pathos della pellicola sembrano peccare di una fastidiosa ingenuità. Difficile non vedere nel capitano Oram di Billy Cudrup una figura tutt’altro che credibile, protagonista di una delle scene più deboli e concettualmente errate del film. Quasi che Scott abbia integrato nella matrice narrativa della sua saga una componente tipica di alcune variazioni dell’horror cinematografico, ossia la tendenza di alcuni personaggi a compiere azioni apertamente incaute e incomprensibili, ma funzionali al proseguimento della storia. Se in uno slasher questi passaggi sono parte integrante della grammatica narrativa, in una storia come Alien: Covenant questi momenti sono segno di una mancanza di percezione del pathos della trama. Vedere Oram seguire tranquillamente David dopo avere appena ucciso una letale creatura aliena palesemente cara all’androide, ascoltare la sua spiegazione sul suo progetto e infine avvicinare come suggerito dall’androide il volto a una delle misteriose ‘uova’ sono azioni che stonano con lo spirito del personaggio, oltre che frutto di una scrittura poco equilibrata.
Nonostante le ottime premesse ereditata da Prometheus, Alien: Covenant sembra afflitto dalla spasmodica ricerca di un modo per riconnettere quando presentato nel precedente capitolo ai capisaldi della saga. Le incaute scelte degli umani, apparentemente privi di spirito di conservazione e animati da un’ingenuità al limite del paradossale, sono l’elemento critico di questo film, che si può spiegare come mezzo narrativo per far emergere l’invece affilata e machiavellica mente di David.
Che fosse l’androide a dover apparire come il vero fulcro del nuovo arco narrativo di Alien, non è un mistero, considerato che lo stesso Scott ha espresso chiaramente il suo pensiero sull’evolversi di questo arco narrativo per i prossimi capitoli:
“Credo che l’evoluzione dell’Alieno sia praticamente finita, quello che stavo cercando di fare è di andare oltre e raccontare una nuova storia, che avrebbe coinvolgo le intelligenze artificiali. Un mondo che un’intelligenza artificiale potrebbe creare se ne fosse al comando, se si trovasse su un nuovo pianeta.”
L’attenzione è quindi ulteriormente portata su David, che al termine di Alien: Covenant è a bordo della nave colonizzatrice, con una riserva di embrioni umani e alieni. Nonostante la debacle di questo film, la Fox non ha mai apertamente abbandonato l’idea di concludere questo percorso della saga, tanto che nel novembre del 2018 era trapelata l’indiscrezione che il nuovo film avrebbe visto David affrontare la vendetta degli Ingegneri sopravvissuti in uno scontro su LV-426, il mondo visitato dalla Nostromo in Alien.
Ancora una volta, a rendere più complessi i piani per questo nuovo capitolo è la presenza di altri progetti legati all’universo di Alien. Con l’acquisizione da parte di Disney di 20th Century Fox, detentrice dei diritti, i paini per lo sviluppo ulteriore della saga sono stati rivisti, portando all’annuncio di un’attesa serie che dovrebbe andare ad arricchire il palinsesto ‘adulto’ di Disney+. Notizia che è stata seguita da una serie di contradditori annunci relativi al capitolo finale dell’epopea di David, che dopo una prima conferma di un progetto in lavorazione nel 2020 hanno portato a una più cauto comunicato nello scorso agosto, in cui si precisava di non aver ancora certezze su un potenziale seguito di Alien: Covenant.