Il 7 luglio del 2006 usciva nelle sale cinematografiche statunitensi un film che di lì a poco sarebbe diventato un vero e proprio cult per gli amanti della fantascienza: A Scanner Darkly. Diretto da un dei cineasti statunitensi più imprevedibili e poliedrici, Richard Linklater (lo stesso autore di un altro piccolo cult quale School of Rock, con uno scatenato Jack Black), il film annovera un cast di grande richiamo vantando la presenza di Keanu Reeves, Winona Rider, Robert Downey Jr. e Woody Harrelson. Tratto dall’omonimo romanzo di Philip K. Dick, A Scanner Darkly è una trasposizione molto fedele di quello che in molti definiscono uno dei capolavori del romanziere statunitense: un film capace di sopravvivere alla prova del tempo e risultare perfettamente contemporaneo ancora oggi.
Un oscuro scrutare
Iniziamo dalle fondamenta. A Scanner Darkly (il testo, e di riflesso anche il film) è da sempre considerato una delle opere più riuscite e calzanti per raccontare la tossicodipendenza. Ovviamente, avendo a che fare con il genio di Philip K. Dick, la cornice narrativa è ambientata in un futuro prossimo imprecisato. Qui, una droga potentissima nota come “sostanza M” si sta diffondendo in maniera molto rapida, mietendo numerose vittime. Bob Arctor è un tossico che vive alla giornata con un gruppo di amici dipendenti dalla sostanza. Ben presto però scopriremo che l’uomo in realtà è una spia al servizio della narcotici. Per nascondere la sua identità ai poliziotti, Bob veste una tuta mimetica futuristica in grado di nasconderlo a qualsivoglia riconoscimento visivo, e quindi renderlo completamente anonimo.
Ovviamente, poco alla volta le cose precipiteranno e Bob non saprà più distinguere la realtà dalle allucinazioni dovute dalla sostanza, così come non potrà più fidarsi di nessuno, nemmeno di se stesso. Proprio su questo ultimo concetto, ovvero l’attendibilità delle immagini e l’autenticità che queste sono in grado di fornire a ciò che rappresentano, si basa il testo di Philip K. Dick. Lo scanner presente nel titolo è quindi uno strumento che dovrebbe tornare utile ai personaggi per fare chiarezza.
Tuttavia, A Scanner Darkly sposa, per l’appunto, l’oscurità, non la luce. Quindi sarà difficile per tutti, personaggi e spettatori, trovare la verità. A cominciare dal protagonista (interpretato da un intenso Keanu Reeves), un uomo il cui cognome è Arctor, una parola molto simile ad actor, ovvero attore. In effetti, Bob dovrà recitare più parti e si troverà spesso nei panni di una pedina alle dipendenze di un regista che dall’alto dirige le fila. Ecco allora che l’assonanza a cui allude il suo cognome non pare più così casuale e le molteplici maschere che l’uomo dovrà indossare (simboleggiate dal lavoro sul suo volto permeato dalla tuta mimetica) sono associate a qualcuno che, in maniera inconscia, già possiede una simile caratteristica.
Uno, nessuno, centomila
Questa intuizione dello smarrimento identitario, non è solamente legata a una questione utile da un punto di vista narrativo per affrontare un racconto che ruota attorno al concetto della maschera in maniera lontanamente pirandelliana (si vedano i molteplici volti che la tuta mimetica permette di sviluppare sul viso di chi la indossa). A Scanner Darkly infatti è un film che ha fatto della sua forma il contenuto principale per tematizzare questo concetto.
Reduce da un’esperienza simile in un lungometraggio del 2001 intitolato Waking Life, Richard Linklater torna a usare la tecnica della rotoscopia per girare il suo nuovo lavoro. Con questo termine, si intende una tecnica cinematografica che mescola sapientemente il cinema in live action con quello animato. Inizialmente infatti il film viene girato nella maniera classica, con attori in carne e ossa e un set praticamente identico a quelli allestiti per realizzare un film canonico. Una volta ultima le riprese però, in postproduzione prende piede una lunga fase di lavoro per trasformare quelle immagini in immagini animate, come se si trattasse di un cartoon. Gli animatori ricalcano con matite e colori la fisionomia degli attori e i loro movimenti, creando quindi un disegno in scala 1:1 dei vari protagonisti.
L’esito è decisamente straniante e insolito. Sembra a tutti gli effetti di essere dinanzi a un film di animazione ma la sua adesione al reale è impressionante, tanto da lasciarci dubitare sull’origine delle immagini. Esattamente come accade al protagonista, che non potrà mai dare nulla per scontato sulla realtà che lo circonda. Così, A Scanner Darkly riesce a catapultare lo spettatore accanto al suo protagonista, facendogli vivere le stesse angosce e le stesse incertezze. Inoltre, proprio come la realtà di Bob è distorta dalle sostanze stupefacenti che questi è solito assumere, anche agli occhi del pubblico la forma del film permetterà di vivere un vero e proprio trip allucinogeno in grado di destabilizzare qualsiasi nostra certezza.
Un film più attuale oggi di quindici anni fa
Tuttavia, l’aspetto ancor più interessante di questo discorso è ravvisabile proprio oggi, ovvero quindici anni dopo l’uscita in sala del film. Il cinema a noi più contemporaneo, infatti, negli ultimi anni sembra voler indagare proprio la caducità delle immagini. Social network, fake news e filtri fotografici tanto cari soprattutto agli adolescenti hanno ormai preso il controllo sulla nostra percezione della realtà. Non riusciamo più a farci un’idea precisa di ciò che ci circonda, tendiamo sempre a dubitare delle fonti e non riusciamo più a interagire in maniera sincera con le immagini che ci accompagnano giorno dopo giorno. Tutta questa confusione mediatica, questo inquinamento visivo e visuale, ha dato vita a una crisi identitaria che il cinema degli anni più recenti non ha rinunciato a mettere in scena.
Quando A Scanner Darkly fece il suo debutto nel 2006, questi temi e queste forme estetiche non erano sicuramente uniche o innovative, eppure non trovarono un largo consenso di critica e pubblico forse perché proiettate in una realtà che ancora avrebbe dovuto fare i conti con tutto quanto descritto poco fa. Insomma, per dirla in breve e senza troppi fronzoli: A Scanner Darkly era proiettato troppo avanti nei tempi. Riguardare il film oggi permette una maggiore immedesimazione nella realtà distopica (?) descritta dalla pellicola e, di conseguenza, una maggiore empatia nei confronti dei personaggi.
Lo stretto legame con Philip K. Dick
A detta degli amanti della fantascienza e dei più appassionati all’opera letteraria di Philip K. Dick, A Scanner Darkly è uno dei migliori romanzi dell'autore statunitense. Richard Linklater, responsabile anche della sceneggiatura del film, si è rapportato in maniera molto umile nei confronti del testo di partenza, adattandolo secondo traiettorie il più fedeli possibile alla base originale. Non deve quindi sorprenderci che, come detto all’inizio di questo approfondimento, abbiamo a che fare con uno dei film più interessanti e pertinenti nel trattare il tema della tossicodipendenza. Lo scrittore statunitense, per un cupo periodo della sua vita, fu schiavo della droga e dovette rifugiarsi in una comunità terapeutica per combattere i suoi vizi. Da questa esperienza nascerà A Scanner Darkly.
Così, per sottolineare ulteriormente il legame tra il romanziere e il racconto, e per restituire sullo schermo un’aura ancora più umana e veritiera alla narrazione che potrebbe risultare abbondantemente fittizia (soprattutto per via dell’ambientazione fantascientifica), il film di Linklater si chiude con dei titoli di coda che non si dimenticano. Prima del lungo elenco delle maestranze che hanno partecipato alla lavorazione della pellicola infatti, appare un gruppo di nomi tanto cari al romanziere. Si tratta di amici o persone strette conosciute da Dick e che, come lui, hanno dovuto fare i conti con la dipendenza lungo la loro esistenza. Tra questi, vi è anche un certo Phil che altri non è che l’autore stesso.