Abbiamo cominciato a conoscerli tramite la figura di Alessandro Valbonesi, intervistato qualche tempo fa sulla sua esperienza personale, e ora abbiamo deciso di conoscere da vicino chi sono i ragazzi che fanno parte di Toast Film, il collettivo che ha dato vita a diversi corti vincitori di non pochi riconoscimenti, tra cui l'ultimo a dicembre 2020 con il 100 ore di Torino. Conosciamo più da vicino la loro esperienza nella nostra intervista all'intero gruppo in questo nuovo appuntamento con la rubrica 24 fotogrammi al secondo.
Come, quando, dove, perché, da chi è partita l'idea di Toast Film? Perché questo nome?
Toast Film è un collettivo di sei amici che condividono la passione per il cinema. Da cinque anni Toast Film produce contenuti audiovisivi, perlopiù nell'ambito di concorsi cinematografici a tempo, ossia gare in cui in un tempo stabilito (tipicamente 48, 50 o 100 ore) è chiesto di ideare, girare e montare un cortometraggio. A inizio gara sono forniti i parametri vincolanti da rispettare, pena l'esclusione, in modo che nessuno arrivi con un'idea pre-confezionata. Il nome arriva da una teoria elaborata da Edoardo, presente nel gruppo come attore: nel secondo concorso a cui abbiamo partecipato, sembrava necessario aggiungere in post-produzione un elemento alla scena. Tuttavia, abbiamo convenuto che la storia avesse già una sua forza genuina che non richiedeva arricchimenti. Da lì, la teoria del toast: servito con la sola forchetta, si noterebbe subito l'assenza del coltello, ma servito in un semplice incarto, pronto per essere morso, il toast verrebbe gustato per quello che è.
Vi piace sperimentare esplorando generi diversi o c'è una sorta di fil rouge nella vostra produzione, con qualche tratto distintivo?
Ci siamo misurati con generi diversi, dall'horror alla commedia, dal drammatico al grottesco. Molto spesso parliamo del rapporto tra individuo e tecnologia, e di come essa stia trasformando il modo di comunicare, il modo in cui percepiamo noi stessi e definiamo la realtà. Stilisticamente, invece, tendiamo a essere leggeri, indipendentemente dal tema trattato.
Temi particolari? Come li scegliete di volta in volta?
Le storie che raccontiamo emergono a cena, non appena finisce il briefing. È un vero e proprio brainstorming: ci confrontiamo, proponiamo idee che possano avere una rilevanza anche al di fuori del festival e scegliamo la più seducente. La forza è nel gruppo, grazie al quale diverse suggestioni trovano un filo conduttore.
I top e i flop di produzione: il corto che vi è piaciuto di più e quello meno coinvolgente, al netto dei riconoscimenti ottenuti.
Siamo molto legati a La Procedura perché ha segnato l'inizio di Toast Film; ha alla base un'idea semplice ma esplosiva e si conclude in un’atmosfera di inquietudine. Un altro corto rappresentativo è Quasi Attori, lavoro quasi del tutto improvvisato che ha tirato fuori il meglio di ognuno di noi. Per i flop, sicuramente Area 51, dal finale troppo sbrigativo e la cui riuscita è stata minata da un furto importante durante le riprese.
Come è cambiato il gruppo nel tempo, in termini di partecipanti e di preparazione: cosa rappresentava all'inizio Toast Film e cosa rappresenta adesso.
Toast Film è l’unione di sei persone che, lasciati alle spalle corsi di teatro e web tv universitarie, provano a dare forma alla propria passione, parallelamente agli impegni lavorativi. Il gruppo è nato con grande naturalezza: Alessandro e Bianca hanno coinvolto inizialmente Roberto e Aurora per un primo concorso 100 ore, e da lì il gruppo ha preso il via, coinvolgendo subito dopo Edoardo e da ultimo Laura. Il gruppo nasce con spirito di puro divertimento: c'è chi durante il weekend si organizza per fare una gita in montagna, chi invece per girare un corto. Oggi non abbiamo perso quello spirito, ma vorremmo affrontare progetti più audaci. Mettersi alla prova è comunque una forma di divertimento.
Il migliore momento vissuto e quello da dimenticare nel corso della vostra esperienza.
Le premiazioni e i complimenti riempiono di gioia, ma i momenti più significativi avvengono spesso sul set, tra avventure, incontri improbabili e problemi da risolvere all’ultimo secondo (un consiglio: se usate un lenzuolo come green screen, ricordatevi di stirarlo!). Ma il momento che dà più soddisfazione è quello in cui ci riuniamo davanti allo schermo e vediamo il prodotto finito. Un momento da dimenticare, è la realizzazione di non aver registrato una scena fondamentale. Quando ci troviamo per la prima volta a vedere un pre-montato del corto, può capitare che ci rendiamo conto dell'assenza di una scena che avrebbe reso la trama ancora più fluida e comprensibile. Sappiamo che non c'è più tempo per girarla, ma che avrebbe dato valore aggiunto al prodotto.
Corti e concorsi: Cosa si prova a partecipare a un concorso? A quanti avete partecipato, quanti e quali premi avete vinto, e tra questi il premio più significativo, quello ottenuto con maggiore sforzo, e la delusione più cocente?
Un concorso cinematografico a tempo è adrenalina pura, abbiamo una grande chimica di squadra, perché, a parte Alessandro che si occupa praticamente da solo di regia e montaggio, tutti fanno tutto: scrittura, organizzazione di scene e riprese, recitazione, audio, luci, trucco, musiche... Abbiamo vinto, tra gli altri, il premio speciale RAI Alto Adige, un premio per il miglior attore al Torino Glocal Film Festival, due premi per miglior attrice e miglior sceneggiatura al Viff festival di Varese, un secondo premio assoluto al festival Meet di Plymouth e il premio del pubblico nella sezione Cortinloco del Sedicicorto Film Festival di Forlì.Significativo il premio del pubblico a Sedicicorto per Cortinloco, con La Procedura. Era il nostro secondo cortometraggio, c'erano in gara corti molto validi, tra questi il vincitore del David di Donatello di quell'anno. Eppure il pubblico ha votato in modo quasi unanime per il nostro. Il momento da dimenticare è sicuramente la recente esclusione dalla finale del 48 ore di Bolzano. Nonostante la delusione, è un episodio che ci ha fatto riflettere in modo ancora più critico sul nostro modo di fare cinema.
Toast Film e la recitazione: cosa significa per voi (attori) recitare e fare corti? Come avete deciso di intraprendere tale percorso e come vi siete formati per arrivare a questo punto?
Ognuno di noi ha una storia diversa. Nessuno ha un percorso accademico alle spalle ma fin dall’inizio ci è risultato naturale stare davanti a una camera. Lavoriamo insieme per trovare il giusto ritmo per le dinamiche della scena. Chi non è in scena ha la funzione di occhio esterno che aiuta gli attori a rafforzare l’identità del personaggio e delinearne le intenzioni, soprattutto quando improvvisiamo. L’ultima parola è quella di Alessandro (regista, ndr), sempre dotato di uno sguardo rigoroso e lucido. Nel caso dei concorsi, non si ha il tempo di approfondire l'animo dei personaggi, li si immerge in una storia e li si fa agire. In vista di progetti più seri, la sfida sarà ancora più impegnativa anche sul piano recitativo.
Quanto lavoro c'è dietro le telecamere? Il lavoro più complesso e quello più facile e veloce da realizzare?
C'è tanto lavoro. Alessandro è davvero bravo nel girare e montare scene; il suo è decisamente il compito più complesso. Lavoriamo in modo molto fluido ma non sapremmo individuare un lavoro facile. Come gruppo lavoriamo in modo strategicamente efficiente, abbiamo sviluppato competenze cruciali per la buona riuscita dei progetti. Come dicevamo, ognuno svolge più mansioni che si sono delineate nel tempo e con l’esperienza. Essendo una troupe ridotta all'osso, chi non recita e non gira deve improvvisarsi una maestranza. Allora c'è chi diventa scenografo, chi fonico, chi stylist etc. All'inizio ci si consultava tutti insieme su ogni aspetto della produzione, con l'esperienza del gruppo si è arrivati ad una consapevolezza di un gusto che ci accomuna per cui si sono distribuite molto le responsabilità. Anche per quanto riguarda la fase creativa di preproduzione abbiamo maturato una coesione, per cui se un'idea ci piace lo capiamo subito, ma anche se non ci piace abbastanza.
Dietro le quinte di Toast Film: il retroscena più divertente e quello da dimenticare.
La risposta a questa domanda sta in un unico momento: la via indicataci per girare una scena notturna per un corto si rivela essere frequentata da prostitute e strani individui. La scena che dobbiamo girare è proprio quella di una macchina che accosta, invitando una ragazza a salire. Freddo, timore e tangibile imbarazzo hanno reso quell’ora di lavoro estremamente complessa. Improvvisamente, alla partenza dell’auto, sentiamo un tonfo. Si rivela essere il cartone della pizza (contenente la nostra cena) ingenuamente appoggiato poco prima sul tettuccio che spicca il volo atterrando rumorosamente sull’asfalto. Eppure… pizza intatta!
Un'esperienza da rifare e una da dimenticare.
Un'esperienza da rifare: un corto! Un episodio ‘da dimenticare’, ma che in realtà ci ha uniti ancora di più è il ritorno dal festival Meet di Plymouth. Abbiamo squarciato una gomma in mezzo al nulla, in Cornovaglia, nel parco Dartmoor, e la macchina che avevamo noleggiato non aveva la ruota di scorta. Abbiamo perso l'aereo del ritorno, speso una giornata nella disperata ricerca di un carro attrezzi. Abbiamo passato una notte in giro per Londra e preso un aereo all'alba del giorno dopo. Aurora si è addormentata in piedi al check-in. Eravamo distrutti, ma oggi ci raccontiamo quella disavventura ridendo di gusto.
Qual è il vostro obiettivo, se ne avete uno preciso?
Il nostro obiettivo è sfidarci con un progetto più ambizioso. Il lockdown è stata una palestra per i nostri esercizi creativi. In due/tre giorni di lavoro intenso sappiamo che diamo il meglio, ma dobbiamo maturare ed essere più programmatici.
In un team di questo tipo, qual è l'ingrediente determinante per una buona riuscita?
Coesione, determinazione e voglia di fare.
I prossimi eventuali progetti e i buoni propositi per questo nuovo anno.
Al momento, progredire con questa esperienza, metterci alla prova con un lungometraggio, un pilota per una serie. E’ una sfida che ci sentiamo pronti ad affrontare.
Un consiglio da dare a chi come voi vorrebbe creare una squadra come la vostra e intraprendere questo percorso.
Ci è capitato spesso di vedere cortometraggi esteticamente molto belli in cui la storia era però traballante o quasi assente, cineasti molto preparati tecnicamente che hanno speso molte risorse per raccontare una storia che si rivela debole. È vero che il cinema è immagine, ma è un racconto per immagini. Se il racconto non è all'altezza delle immagini, non ce ne si innamora. Il consiglio dunque è innanzi tutto quello di fare un film. Con qualsiasi mezzo a disposizione. Se non si fa, non si sbaglia e se non si sbaglia, non si impara. La storia più vecchia del mondo, ma funziona così. Al giorno d'oggi c'è anche una tendenza diffusa a privilegiare l'estetica di un film, spesso trascurando la narrazione, la trama. Quindi, un altro consiglio è quello di raccontare storie semplici, lineari, comprensibili, ma soprattutto delle belle storie, anche se meno "patinate" rispetto allo standard imposto dal mercato.
Se siete interessati a scoprire di più su come si gira un corto, vi consigliamo la lettura del libro Fare un corto. Ovvero l’arte di arraggiarsi nello scrivere, trovare i soldi, produrre e girare.