Quanto conosciamo del panorama cinematografico italiano? Parliamo di quello più "piccolo", di nicchia, dei nuovi e giovani nomi che si stanno affacciando a questo mondo nel tentativo di dare luce al proprio talento ed esporlo a un pubblico sempre più ampio. Questo è l'intento della nostra nuova rubrica, 24 fotogrammi al secondo, che si propone di andare a scoprire le produzioni italiane meno famose e dare voce ai protagonisti principali di tante storie di regia, e non solo, oltre a interessanti corti, documentari e altre tipologie di produzioni. Chi si nasconde dietro l'obiettivo delle telecamere? Scopriamolo insieme aprendo dunque la nostra rubrica con l'intervista a Alessandro Valbonesi, giovane talento italiano che dall'Emilia-Romagna è stato trapiantato a Milano per studio e lavoro. Abbiamo scoperto come è nata la sua passione e alcune sue produzioni interessanti attraverso le nostre domande.
Presentati: chi sei, cosa hai fatto finora in campo registico e come sei arrivato a questo punto.
Tuttavia, dopo una laurea e 5 anni di lavoro come account in aziende mediatiche e sportive, ho buttato il cuore oltre l’ostacolo e ho deciso di assecondare la mia passione, iniziando a lavorare a tempo pieno come regista e editor in una casa di produzione televisiva milanese. Mentre coltivavo questa passione, nel tempo libero ho realizzato diversi cortometraggi, videoclip e documentari, anche su commissione. Da quando faccio questo mestiere come professionista ho curato la regia di alcuni spot pubblicitari, una webseries e un programma televisivo a tema food.
Come ti sei accorto di avere questa passione? Hai tratto ispirazione da qualche modello particolare, hai avuto una improvvisa "fulminazione" o semplicemente dono innato?
Un giorno presi la videocamera, la appoggiai a terra e filmai qualche cubo e piramide dentro un piccolo contenitore. Fermai la registrazione e tolsi un cubetto colorato, per poi premere nuovamente “rec”. Fu come se avessi intuito quello che poi si confermò andando a riguardare la registrazione: il cubetto colorato era scomparso, come per magia. Questa "magia" provocò in me il seguente sillogismo: “questa cosa è stupenda, voglio fare un film!”.
Quali sono stati i tuoi primissimi esperimenti e come sono andati? Sei stato sostenuto e seguito da qualcuno o completamente autodidatta?
Il montaggio però presupponeva un altro tipo di mezzo: una videocamera digitale. Per me quello fu il regalo della vita. Così con la mia nuova videocamera digitale e delle riviste che allora trovavo in edicola, cominciai a "gattonare" nel mondo del montaggio, grazie al supporto dell’unico PC che avevamo in casa, che ogni volta che tentavo di esportare qualsiasi filmato mi implorava di smetterla. Un anno esatto dopo la prima (fallimentare) giornata di riprese ricominciai a girare il primo cortometraggio che riuscii, dopo tre mesi di lavoro, a proiettare in classe durante un’ora “buca”. Da quel momento, non ho mai smesso di scrivere e girare piccoli film, con il solo obiettivo di organizzare proiezioni nei piccoli cinema locali aperti al pubblico.
Autodidatta sì, con in archivio una montagna di errori ed esperienze che mi hanno insegnato più di qualunque altra cosa. Ci fu un libro che mi accompagnò mentre tentavo i primi esperimenti, il cui titolo era abbastanza esplicativo: Come girare un film.
Hai sempre avuto lo stesso team di riferimento per le tue produzioni o è cambiato nel tempo?
Negli anni delle medie e del liceo, tutti corti e lunghi che ho girato hanno avuto tra i protagonisti gli amici di una vita, i compagni di scuola, quei pazzi che a volte sono stati più pazzi di me ad assecondarmi. Poi durante l’università, ho conosciuto alcune persone che condividevano la stessa passione nel mettere in scena qualcosa di unico, raccontare una bella storia, costruendo le fondamenta per quello che ora si chiama Toast Film: un gruppo di amici che condividono lo stesso entusiasmo e sensibilità artistica nel realizzare cortometraggi.
Nelle tue produzioni cerchi di lasciare una tua "firma", un tratto distintivo? C'è una sorta di fil rouge tra un corto e l'altro?
Personalmente, amo inserire in una storia qualcosa di imprevisto e inaspettato, un plot twist che non deve essere necessariamente un modo per chiudere la storia, ma un modo per arricchire il contenuto. Cerco di farlo quando posso nelle produzioni personali, così come amo creare atmosfere più cupe che solari, per una piccola passione che ho per il genere thriller e alcune sfumature dell’horror. Il film che avrei voluto scrivere e dirigere? The Others.
Parliamo dei temi messi in scena di volta in volta: quanto sono influenzati dai concorsi a cui hai partecipato, e quanto invece sono dettati da un'esigenza creativa ed espressiva personale?
C'è stato un momento in cui hai sentito dentro di te una crescita, un cambiamento, nelle tue produzioni, o le consideri figlie di singoli momenti nel tempo senza necessariamente individuarvi un percorso in ascesa?
Non ero più io da solo con la mia videocamera, a spostare una luce, ad alzare il treppiede o a mettere a fuoco l’inquadratura, ma c’erano persone con ciascuna il proprio ruolo in questa orchestra senza strumenti musicali. Io dovevo far sì che tutto funzionasse in armonia e lì ho sentito di aver fatto un passo in avanti importante, senza trascurare però la dimensione di gioco da dove tutto ciò nasce per me.
Il momento migliore e quello peggiore nella tua carriera: quali sono e che insegnamento hai tratto da entrambi?
Il momento peggiore è abbastanza recente: all’ultimo contest a tempo a cui abbiamo partecipato come Toast Film abbiamo realizzato un cortometraggio dal titolo Ridens. Ero ed eravamo convinti del valore del prodotto, ma la notizia di non essere stati ammessi alla selezione finale ci ha dato uno schiaffo abbastanza forte al morale. Non voglio peccare di presunzione nel pensare che il nostro prodotto meritasse la finale, ma questo risultato è stato per tutti una grande delusione. L’insegnamento qui è abbastanza banale, ovvero che ciò che piace a te non è detto che piaccia ad altri. Questo ci servirà sicuramente come stimolo per tentare di percorrere strade diverse, nuove e inesplorate per quanto riguarda le tematiche affrontate nei corti e i modi di raccontarle.
Invece qualche retroscena divertente del tuo percorso?
Oppure durante le riprese di Onlife abbiamo rischiato l’ipossia causata dalla necessità di oscurare tutte le finestre della casa in cui eravamo, solo che l’unico modo per farlo era usare sacchi di plastica neri (quelli per la spazzatura), che oltre alla luce non facevano entrare nemmeno l’aria. È successo qualcosa anche di spiacevole: durante le riprese di Area Cinquantuno sono stato derubato di parte dell’attrezzatura.
A quanti concorsi hai partecipato finora e quali i premi ottenuti? Hai sempre e solo lavorato e partecipato a concorsi italiani o anche internazionali?
Ho partecipato a numerose edizioni del 50e100 ore Torino ottenendo qualche riconoscimento come due secondi posti (2016, 2017), Miglior Regia (2016, 2019), Miglior Produzione (2017), e Miglior Montaggio (2017) e due volte al BZ48H di Bolzano, vincendo il Premio Rai Alto Adige (2019).
Hai qualche progetto in corso al momento, o il cantiere è fermo?
Cosa consiglieresti a chi vorrebbe intraprendere il tuo stesso percorso?
Se abbiamo aperto chiedendoti come sei arrivato fin qui, concludiamo chiudendo il cerchio: dove vorresti arrivare?
Se siete interessati a scoprire di più su come si gira un corto, vi consigliamo la lettura del libro Fare un corto. Ovvero l'arte di arraggiarsi nello scrivere, trovare i soldi, produrre e girare.