Il 10 luglio 1981 nei cinema americani usciva 1997: Fuga da New York. Chiamatemi Jena. Due parole che sono divenute il biglietto da visita di uno dei personaggi più iconici degli action movie degli anni ’80, Jena Plissken, protagonista di 1997: Fuga da New York, ennesimo cult girato dal maestro John Carpenter, nome caro agli appassionati di cinema per film divenuti pietre miliari come The Fog o Essi Vivono. Uscito nelle sale americane nel 1981, 1997: Fuga da New York ha segnato più profondamente di quanto si immagini l’immaginario collettivo, rivelandosi un laboratorio formativo per futuri cineasti e ribandendo come la narrativa sci-fi in sala potesse presentarsi come un’ottima lente con cui analizzare la quotidianità americana.
Nella narrativa di Carpenter, infatti, la cinica analisi dei mali della società statunitense del periodo, sezionata e scrutinata in ogni minimo particolare, è una costanza che non è mai venuta meno, consentendo al regista americana di consegnare al pubblico una satira pungente e impietosa del malcostume americano del periodo. Se in Essi Vivono l’attenzione era portata su una dimensione fortemente contemporanea, con 1997: Fuga da New York la visione di Carpenter si sposta oltre, immaginando quello che sarebbero divenuti gli Stati Uniti in una manciata di anni. E la sua previsione era tutt’altro che rosea.
Il lato oscuro dell'American Dream
D’altronde, un attento osservatore come Carpenter non poteva certo rimanere insensibile ai segnali di allarme che stavano lampeggiando sulla Grande Mela. Capitale non politica ma ideale del paese: New York sul finire degli anni ’70 e i primi anni ’80 era lo specchio delle tensioni che dilaniavano il tessuto sociale americano. Diversi media, come i comics Marvel di Daredevil firmati da Frank Miller, mostravano il degrado di una metropoli in cui la corruzione della polizia e una gestione politica scellerata avevano portato a un contesto urbano violento e insicuro, basti pensare che l’oasi luminosa di Times Square, oggi una delle mete più fotografate di New York, all’epoca era il centro dello spaccio e della prostituzione della Grande Mela. Condizioni precarie, insomma, a cui si aggiunsero eventi straordinari come la stagione degli omicidi del Figlio di Sam, al secolo David Richard Falco Berkowitz, che tra il 1976 e il 1978 terrorizzò NYC con una serie di omicidi e ferimenti apparentemente casuali.
Una condizione sociale, evidentemente, che non lasciò indifferente Carpenter. Il regista sembra identificare nella Grande Mela la sublimazione dell’oscurità americana. Suggestionato da questa empatia con la società statunitense del periodo, Carpenter si ritrova a elaborare una storia che lo aiuti a far emergere questa sua visione distopica cinica e apparentemente priva di speranza, che viene ulteriormente alimentata dalla visione de Il Giustiziere della Notte, film del 1974 con Charles Bronson, e dalla lettura del romanzo di fantascienza Planet of The Damned, di Harry Harrison.
Della pellicola di Michael Winner, Carpenter fece proprio il senso di apparente impotenza del cittadino comune di fronte al dilagare della violenza urbane, con particolare attenzione alla tematica della giustizia privata, rappresentata dai timori delle forze dell’ordine ritratte da Winner. Planet of the Damned, invece, ispirò a Carpenter l’idea di un individuo solitario che affronta una realtà ferina e in cui deve affrontare una sorta di viaggio nell’incubo per raggiungere il suo scopo.
Tutte queste suggestioni spinsero Carpenter a iniziare la stesura di 1997: Fuga da New York intorno al 1976. Questa sua visione abbastanza cinica lo portò a scrivere la sceneggiatura di un film d’azione cupo e violento a cui, per stessa ammissione del regista, mancava quel tocco sarcastico che a suo avviso lo allontanava dallo spirito dei newyorkesi del periodo. Motivo per cui chiese a una vecchia conoscenza, Nick Castle, di aiutarlo a inserire della comicità, una decisione che portò alla nascita di uno dei personaggi centrali della storia, il Tassista.
Ma la vera sfida fu scegliere a chi affidare il ruolo di protagonista, con gli studios che volevano affidarsi a nomi riconosciuti come eroi urbani violenti, da Charles Bronson a Clint Eastwood, ma che dovettero infine accontentare l’incredibile scelta di Carpenter di affidarsi a un giovane attore noto principalmente per i film Disney: Kurt Russell.
Anti-eroi e criminali
Per quanto oggi possa sembrare incredibile, prima di 1997: Fuga da New York, Tango & Cash e Grosso Guaio a China Town, Russell era conosciuto dagli adolescenti per esser stato protagonista di alcuni film Disney e per una piuttosto breve carriera come giocatore di baseball. Nonostante la reticenza della produzione, alla fine Russell ebbe la parte, complice il rifiuto di Tommy Lee Jones, l’attore fortemente corteggiato dai produttori del film di Carpenter.
Fortunatamente, bisogna ammetterlo. Gran parte della caratterizzazione di Snake Plissken, infatti, è frutto della fantasia di Russell. L’idea di base del protagonista era che si trattasse di un veterano di una guerra che aveva sconvolto il mondo, caratterizzato da un vistoso tatuaggio di un serpente sul braccio, spostato poi sul ventre, che gli avrebbe fruttato il soprannome di Snake (con buon pace dell’adattamento italiano, che lo ribattezzò Jena). L’approccio generale della pellicola prevedeva che Plissken fosse un personaggio disincantato e cinico, un elemento sacrificabile per compiere una missione impossibile.
Su questo canovaccio, Kurt Russel modellò il suo alter ego, facendosi ispirare da uno dei simboli del western cinematografico: John Wayne. Del celebre attore, Russel imitò alcune movenze (oltre a quelle "rubate" a Clint Eastwood) che mostrassero il tono cinico del suo personaggio, che impreziosì introducendo l’elemento della benda sull’occhio, omaggio al burbero pistolero interpretato da Wayne, in Il Grinta. Una decisione che Russell presto rimpianse, considerato che recitando per molte ore senza levare la benda gli causava un’alterazione della visione di profondità, che lo portava a muoversi sul set con una camminata poco aggraziata, che in parte è visibile anche nel film. Non paghi di avere degnamente reso onore a Wayne, Russell e Carpenter decisero di introdurre nei dialoghi un piccolo divertissement che legasse Snake al personaggio di Wayne in Big Jake (1971), dove tutti erano soliti rimanere sorpresi dalla sua apparizione, credendolo morto. In realtà, per Carpenter questa fu anche l’occasione di utilizzare un ricordo della sua giovinezza, periodo in cui aveva avuto a che fare con un bulletto di nome Plissken, noto con il soprannome di Snake, e che era stato dato per morto dopo una bravata.
Al fianco di Russell, recitarono due altri attori di grande spessore: Lee Van Cleef e Donald Pleasance.
Van Cleef era un volto arcigno amato dal pubblico, che lo aveva apprezzato nei western di Leone e che associava al suo spigoloso profilo ruoli melliflui e ingannatori. Carpenter lo volle subito, ma per potergli fare indossare i panni di Bob Hauk fu costretto a fare accettare alla produzione la scelta dell’attore di non togliersi l’orecchino a cui era particolarmente affezionato, che divenne un tratto essenziale del personaggio. Figura appassionante, quella di Hauk, che venne interpretata magnificamente da Van Cleef, capace di soffocare il dolore conseguenza di una brutta caduta da cavallo, da cui era uscito con una brutta lesione al ginocchio, che lo costrinse a stringere i denti per girare la scena in cui percorre un corridoio al fianco di Russell.
Donald Pleasence, vecchia conoscenza di Carpenter dai tempi di Halloween e divenuto poi uno dei volti ricorrenti nei film del regista, venne identificato come il Presidente rapito, facendo sorgere un piccolo dilemma: come nascondere il suo forte accento britannico? Per legge, in America si può essere Presidente solamente se nati negli USA, e Pleasance era tentato di rifiutare la parte proprio per questo motivo. Carpenter faticò non poco a convincerlo, arrivando a esaltare l’aspetto satirico della sua visione, ma che divenne per Pleasence una sfida a creare un background convincente per il suo personaggio. Cogliendo l’imprinting dato da Carpenter al 1997: Fuga da New York, Pleasence immaginò che sotto il Governo Tatcher gli Stati Uniti fossero stati riannessi alla Corona, consentendo di mettere un britannico nella Casa Bianca. Idea interessante ma forse troppo assurda anche per Carpenter, che glissò su questo aspetto.
La recitazione di Pleasence fu un elemento importante di 1997: Fuga da New York, specialmente durante le scene in cui lo vedevano prigioniero e soggetto alle angherie dei suoi aguzzini. Un’empatia tra attore e personaggio che affondava nel passato dell’interprete britannico, che durante la Seconda Guerra Mondiale era stato un prigioniero di guerra, dopo che il bombardiere su cui prestava servizio venne abbattuto in territorio tedesco.
Un cast, quello di 1997: Fuga da New York, che comprendeva nomi di prim’ordine, come Ernest Borgnine, Harry Dean Staton e la star musicale Isaac Hayes, che stupì tutti con la sua interpretazione del Duca, reso magnificamente e di cui Hayes studiò ogni minuzia, al punto da creare il tic all’occhio, immaginandolo come una conseguenza delle ferite che avevano deturpato il suo volto.
1997: Fuga da New York... senza New York
1997: Fuga da New York, come lascia intendere il titolo, è ambientato nella Grande Mela, eppure furono assai poche le scene girate nella metropoli americana. Sotto questo aspetto, il film di Carpenter è tutt’altro che attendibile, visto che per sua stessa ammissione, il regista conosceva pochissimo New York. Al punto che spostò l’Ed Kock Queensboro Bridge, che si trova sulla 59esima strada, sulla 69esima, un errore che ha però portato alla celebre scena del ponte minato.
Gran parte del film venne girato a East Saint Louis, città dell’Illinois, separata dalla sua più celebre "gemella" del Mississippi dal fiume omonimo. Scelta raggiunta dopo avere cercato per tutti gli States metropoli con zone devastate e di degrado che potesse rispecchiare la New York immaginata da Carpenter. East Saint Louis vinse questo poco invidiabile privilegio in quanto era stata da poco vittima di un devastante incendio, che aveva segnato profondamente la città.
Alcune scene, però, dovevano esser obbligatoriamente girate a New York, come l’arrivo a Liberty Island. Il giro di elicottero attorno a Miss Liberty visto all’inizio di 1997: Fuga da New York è un primato storico, visto che per la prima volta venne concesso a una troupe di girare in prossimità della celebre statua. Rimaneva però il problema di mostrare elementi tipici dello skyline newyorkese, come le Torri Gemelle o i palazzi che circondano Central Park, un’esigenza che venne risolta da un giovane scenografo che pensò di dipingere questi caratteristici elementi della Grande Mela su lastre di vetro per poi usarle come sfondo di alcune riprese, seguendo un trucco utilizzato in passato da altri celebri film, come Metropolis. Intuizione a dir poco felice, ma d’altronde non ci poteva aspettare niente di meno da un giovane alle prima armi che avrebbe poi sfondato nel mondo del cinema dirigendo kolossal come Aliens – Scontro Finale, Terminator e Avatar.
Esatto, stiamo parlando di James Cameron, che ebbe anche la geniale idea di realizzare dei modellini in scala della città, dipingendoli di nero e applicando sui bordi delle sagome dei palazzi dei nastri adesivi colorati, in modo da poter ricreare l’illusione di una scena ricostruita al computer per girare la scena dell’arrivo aereo di Plissken, senza ricorrere a costosi effetti digitali. Scelta vincente non solo per 1997: Fuga da New York, ma anche per un altro film di fantascienza uscito l’anno seguente, che avrebbe utilizzato questi modelli per ricreare la Los Angeles futura teatro della caccia al replicante di Rick Deckard: Blade Runner.
L'eredità di 1997: Fuga da New York
Rivisto oggi, grazie al bluray, 1997: Fuga da New York perde parte della sua carica emotiva, soprattutto in termini di impatto visivo. L’assenza delle Torri Gemelle si fa inevitabilmente sentire, così come alcuni eventi citati nel film e parte integrante del background dei personaggi, come la Battaglia di Leningrado o la presenza dell'Unione Sovietica, perdono di senso visto gli eventi della storia ufficiale. Eppure, nonostante queste sbavature a posteriori, 1997: Fuga da New York è uno dei simboli del film d’azione degli anni ’80, capostipite di una serie di produzioni minori che, nate sull’onda del suo incredibile successo, accesero nuovamente i riflettori sul genere post-apocalittico. Volendo esser precisi, si potrebbe ravvedere nella pellicola di Carpenter e in Interceptor di George Miller, uscito due anni prima e primo capitolo della saga di Mad Max, la base dell’immaginario post-apocalittico contemporaneo, sviluppatosi in diversi media, dal fumetto al mondo dei videogiochi.
1997: Fuga da New York fu una visione formativa per diversi nomi celebri del mondo dell’entertainment. Basti pensare che un adolescente J.J. Abrams, oggi osannato cineasta, approfittando del fatto di esser figlio di uno grandi nomi della casa di produzione del film ebbe modo di vederlo in anteprima, segnalando a Carpenter la mancanza della morte di Maggie, interpretata dall’allora compagna del regista, Adrienne Barbeau. Accortosi dell’errore, Carpenter risolse il tutto girando il trapasso delle donna nel vialetto di casa, ringraziando il giovane Abrams. Ma il futuro regista di Star Trek e Il Risveglio della Forza era rimasto stregato da questa storia, e la sua immaginazione era rimasta folgorata dalla locandina del film in cui lo sfondo era dominato dalla testa divelta della Statua della Libertà, tanto che si divertì a omaggiare questo dettaglio nel suo Cloverfield, mostrando il momento della decapitazione di Lady Liberty.
L’ambientazione e il contesto sociale mondiale, seppur appena accennato, mostrato in 1997: Fuga da New York contribuirono a formare il mondo futuro immaginato da William Gibson, uno dei padri del cyberpunk, che vide nell’oscura metropoli ritratta da Carpenter, ma anche dalla storia ipotizzata dal regista, soprattutto quando Hauk e Snake parlano della battaglia di Leningrado. Un passaggio che lo scrittore canadese ha sempre considerato come un elemento scatenate della sua creazione di Neuromante:
“Quello scambio di battute fece presa su di me. Nel momento in cui un poliziotto chiede a Snake ‘Hai volato con il Gullfire su Leningrado, vero?’, è una semplice battuta, ma in quel momento ho pensato di trovarmi di fronte a una fantascienza perfetta, in cui dettaglio apparentemente casuale può nascondere qualcosa di molto più complesso”
In effetti, 1997: Fuga da New York lasciava intravedere un mondo molto più complesso di quello mostrato nel film, incuriosendo gli spettatori. Una voglia di esplorare questa realtà oscura che la produzione del film voleva accontentare tentando la strada dei comics, al punto che propose alla Marvel di dare vita a una serie a fumetti, ipotesi presto scartata dalla Casa delle Idee. Questo intento di definizione ulteriore dell’America immaginata da Carpenter venne portato a compimento con la novelization del film, affidata a Mike McQuasy, in cui venivano narrati il passato eroico e criminale di Snake, il rapporto che lo legava a Hauk e come mai il personaggio di Van Cleef avesse accettato di essere il direttore del carcere di New York (spoiler: sperava di salvare il figlio, impazzito e finito a New York).
Anche il mondo dei videogiochi ha un grosso debito con 1997: Fuga da New York, considerato che Hideo Kojima non ha mai fatto mistero del fatto che l’opera di Carpenter sia alla base di una delle sue creazioni di maggior successo, Metal Gear (1987). Una dichiarazione che trova conferma nei riferimenti seminati nella saga di Metal Gear.
1997: Fuga da New York rappresenta, quindi, un momento importante della cultura pop contemporanea. Non solo ha segnato l’inizio di un sodalizio artistico tra Carpenter e Russell, ribadito in La Cosa (1982) e Grosso Guaio a China Town (1986), ma è stato parte integrante del percorso di ridefinizione della fantascienza cinematografica come strumento di narrativa critica, in cui venivano mostrate le conseguenze estreme delle pecche della società americana del periodo. 1997: Fuga da New York, in quest’ottica, è ancora oggi un esempio di narrazione dinamica e oculata, che nemmeno il suo scadente seguito può scalfire.