Foxconn ha aggiunto 10.000 robot ai propri stabilimenti, e altri 20.000 arriveranno entro la fine dell'anno. L'azienda cinese, controllata dalla taiwanese Hon-Hai, mette così in pratica un piano avviato nell'agosto del 2011, e che prevede di raggiungere entro pochi anni un milione di automi in totale.
L'obiettivo di Foxconn è lo stesso che ha portato alla robotizzazione della fabbriche nei paesi più avanzati: ridurre i costi del lavoro, che in Cina continuano a salire a ritmi sostenuti. Non si può comunque trascurare il fatto che Foxconn è da mesi sotto l'attenzione dei media anche e soprattutto per le condizioni di lavoro nelle catene dove si producono dispositivi elettronici, dagli iPad di Apple alle console di Microsoft e Nintendo.
Didascalia
Foxconn infatti oggi dà lavoro a circa 1,2 milioni di persone, e non è ancora chiaro quante di queste perderanno il lavoro con l'arrivo dei robot. Per il momento i nuovi macchinari non sostituiranno la manodopera, ma piuttosto "affiancheranno" i lavoratori, ma un qualche impatto sull'occupazione va messo in preventivo.
Le sorti dei lavoratori tuttavia sono incerte solo a breve termine, perché l'obiettivo dichiarato di Foxconn è quello di sostituire tutta la manodopera umana. Almeno per oggi tuttavia diverse attività vanno fatte mano, come per esempio l'assemblaggio dell'iPhone 5, l'operazione più complessa i lavoratori che Foxconn abbiano mai dovuto portare a termine.
Per questa generazione di lavoratori l'arrivo dei robot potrebbe rappresentare un problema, per non dire un trauma, così come accadde a quelli italiani negli anni '80. Per i decenni a venire tuttavia il dramma potrebbe non essere così profondo: Jonathan Kaiman del Guardian fa infatti notare che l'economia cinese ha semplicemente un bisogno profondo di robot, ed entro il 2014 Pechino potrebbe diventare il primo consumatore mondiale per questo genere di prodotti.
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Non solo per una questione di costi del lavoro, ma anche di demografia: la percentuale di popolazione in età lavorativa è infatti in calo verticale. "Non ci sono così tanti giovani lavoratori pronti a riempire le fabbriche. Per questo i salari aumentano e le aziende faticano a trovare personale qualificato" ha spiegato Geoff Crothall, portavoce di China Labor Bulletin.
Un percorso evolutivo che si può definire normale, ma accentuato dalla politica del figlio unico messa in atto dal governo cinese. "Nel 2000 c'erano sei cittadini in età lavorativa per ogni cinese ultrasessantenne; tra vent'anni, dicono gli esperti, ce ne saranno solo due. I giovani cinesi non possono far altro che cercare impieghi ad alta qualifica e ben pagati per aiutare i loro genitori. Hanno studi migliori dei loro predecessori, e sono meno interessati alla catena di montaggio. I robot potrebbero riempire la lacuna", scrive Kaiman - ignorando completamente il fenomeno dell'immigrazione verso la Cina da paesi asiatici più poveri.
Tra vent'anni quindi i colossi dell'hi-tech non dovranno più preoccuparsi di giornalisti e organizzazioni che li dipingono come mostri sfruttatori. Basterà aspettare e tenere duro.