Chip sottopelle sul lavoro, una comodità che preoccupa

Epicenter, Svezia, ospita circa 2.000 lavoratori distribuiti in un centinaio di aziende. Un numero sempre maggiore decide di farsi iniettare un chip sottocutaneo, da usare per aprire porte, sbloccare dispositivi o pagare i distributori automatici.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Basta un piccolissimo intervento con una speciale per farsi iniettare un chip NFC sottopelle. Lo si può usare per conservare il proprio portafogli Bitcoin, il biglietto da visita, per aprire le porte o avviare l'automobile. Oppure si può fare come la svedese Epicenter, un incubatore di startup: impiantarne uno a ogni dipendente per migliorare la produttività e la vita aziendale.

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Il primo passo lo avevano fatto in Belgio, e sembra che alla Epicenter abbiano deciso di farne uno ancora più lungo. I chip servono per aprire le porte dell'azienda, sbloccare le stampanti, comprare merendine ai distributori automatici. E fanno delle feste aziendali per quelli che decidono di farsene impiantare uno, operazione che viene offerta gratuitamente.  

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Epicenter è simbolo di una nuova tendenza nel mondo aziendale, non un caso isolato. Ma anche territorio di prova e oggetto di stretta osservazione: tutti cercheremo di capire in che modo la privacy dei lavoratori può risultare compromessa, quali sono i possibili pericoli e come si bilanciano con i vantaggi.

Se i rischi per la salute sono inesistenti o quasi, infatti, la riservatezza delle informazioni è un altro discorso. Il chip infatti permette, potenzialmente, di tracciare con estrema precisione i movimenti del dipendente all'interno dell'azienda, o di sapere quanti caffè prende. Sarebbe possibile anche con uno smartphone, con la notevole differenza che rimuovere il chip non è facile come lasciare il telefono a casa.

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Ci sono inoltre anche limitati rischi di sicurezza: il chip è "leggibile" entro pochi centimetri, e in teoria già un metrò affollato costituisce un fattore di rischio. Un criminale potrebbe avvicinare un lettore NFC (basta uno smartphone) ed estrarre dati sensibili dall'inconsapevole vittima.

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Di che tipo di informazioni stiamo parlando? Il chip potrebbe "sapere" quante pause ci sono state per andare in bagno, quante entrate e uscite dal luogo di lavoro, gli orari d'ufficio, gli ultimi acquisti fatti tramite il chip stesso (che potrebbe significare anche tutti quelli fatti con la carta aziendale). Eventualmente anche informazioni sensibili sullo stato di salute della persona, nel caso che siano rilevanti nell'ambiente di lavoro.

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Ben Libberton, microbiologo presso il Karolinska Institute di Stoccolma, ritiene che in ogni caso il problema sia nell'uso che si fa dei dati, chi li usa e per cosa. I possibili problemi non preoccupano quelle persone che hanno già il chip. "Voglio essere parte del futuro", ha commentato Sandra Haglof (25), una delle prime lavoratrici ad aver abbracciato il nuovo corso.

Gli entusiasmi dei primi partecipanti sono di quelli che scaldano il cuore, ma le questioni di sicurezza e privacy non si possono sottovalutare. L'esperimento di Epicenter, se non altro, potrà dirci qualcosa sulle possibili conseguenze ed evoluzioni di questo approccio. Qui hanno sede infatti oltre 100 società, dove lavorano 2.000 persone. A gennaio 2015, quando l'esperimento è cominciato, c'era solo una manciata di pionieri che lo usava; oggi sono quasi 200 persone.  

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