Trump a Davos, quale impatto sulle imprese italiane?

Il ritorno di Trump promette cambiamenti globali: nuovi dazi, protezionismo, impatti su tecnologia e commercio. L’UE affronta sfide cruciali, inclusa la gestione della web tax e delle PMI.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

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Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, e il suo discorso al World Economic Forum di Davos, promette di ridefinire le relazioni economiche globali. Con critiche alla bilancia commerciale e promesse di nuovi dazi sui prodotti europei, Trump ha aperto un dibattito acceso sul futuro delle relazioni transatlantiche.

Il contesto economico e commerciale

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea rappresentano due dei principali blocchi economici del mondo, con scambi commerciali che valgono centinaia di miliardi di dollari ogni anno. Tuttavia, il neo Presidente lamenta un significativo deficit commerciale nei confronti dell’UE, alimentato principalmente dalle esportazioni europee di beni come automobili, prodotti chimici e macchinari industriali. In sostanza, è scontento del fatto che l'Europa guadagni più di quanto spenda. 

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Secondo i dati di Eurostat, il disavanzo commerciale degli Stati Uniti con l'Unione Europea ha raggiunto i 200 miliardi di dollari nel 2024. La Germania rappresenta il principale contributore a questo squilibrio, con un surplus commerciale verso gli USA di circa 65 miliardi di dollari, trainato soprattutto dal settore automobilistico e dalla meccanica di precisione. L’Italia, sebbene in misura minore, contribuisce con un surplus di circa 30 miliardi di dollari, grazie alle esportazioni di prodotti agroalimentari, moda e beni di lusso.

I dati dell'ISTAT confermano che l'Italia ha registrato nel 2024 un saldo commerciale positivo con gli Stati Uniti, sottolineando il ruolo strategico del mercato americano per l'export italiano. In particolare, settori come il vino, i prodotti di lusso e la meccanica avanzata continuano a trainare le esportazioni italiane.

Un aspetto cruciale da considerare è il ruolo dell’Italia nella supply chain tedesca. Molte aziende italiane sono fornitori di componenti e semilavorati per l’industria manifatturiera tedesca, in particolare nei settori automobilistico e meccanico. Questo significa che eventuali dazi statunitensi sulle esportazioni tedesche potrebbero avere un effetto domino sulle imprese italiane integrate in queste filiere. Secondo un’analisi di Industria Italiana, l’inasprimento dei dazi da parte degli Stati Uniti potrebbe comportare per l’Italia un costo aggiuntivo tra i 4 e i 7 miliardi di dollari all’anno, con una riduzione del 16% dell’export verso gli USA. I settori più colpiti includerebbero le attrezzature per il trasporto, la chimica, il ferro e acciaio, e i macchinari.

Secondo i dati di Eurostat, il disavanzo commerciale degli Stati Uniti con l’Unione Europea ha raggiunto i 200 miliardi di dollari nel 2024.

Le critiche di Trump all’UE trovano ulteriore eco in un rapporto di Reuters, secondo cui l’amministrazione statunitense considera insufficienti le misure europee per aprire i mercati ai prodotti americani, in particolare nel settore agricolo e tecnologico. L’Unione Europea, d’altro canto, ha difeso le sue politiche commerciali sottolineando la necessità di tutelare gli standard qualitativi e ambientali.

Nel suo discorso al World Economic Forum, Donald Trump ha delineato una visione economica centrata sul protezionismo e sulla priorità all’industria nazionale. Questa strategia, che potremmo definire la "dottrina Trump", punta a ristrutturare le relazioni economiche globali a favore degli Stati Uniti, utilizzando strumenti come dazi, incentivi fiscali e deregulation per rilanciare la produzione interna e ridurre la dipendenza dalle importazioni.

Se da una parte è del tutto sensato che un Presidente faccia il possibile per tutelare l'economia nazionale, il modo in cui Trump si sta muovendo sembra un tentativo di incrinare, se non spezzare, i rapporti esistenti. E a subirne gli impatti potrebbero essere le aziende europee e italiane. 

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Uno degli aspetti centrali di questa dottrina è la promessa di un’aliquota fiscale straordinariamente bassa, pari al 15%, per le imprese che scelgono di investire e produrre negli Stati Uniti (Financial Times). Trump ha dichiarato che questa misura renderà gli USA il luogo più conveniente al mondo per fare affari. Di contro, le aziende che scelgono di produrre all’estero e poi esportare verso gli Stati Uniti saranno soggette a pesanti dazi, una politica già avviata nei riguardi di Canada e Messico. Questa linea di azione riflette la disapprovazione storica di Trump verso l’Unione Europea, spesso criticata per le sue politiche commerciali e fiscali (The Times).

Trump ha dichiarato che questa misura renderà gli USA il luogo più conveniente al mondo per fare affari.

La "dottrina Trump" si colloca in una tradizione storica di protezionismo negli Stati Uniti. Un esempio significativo è lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930, che introdusse forti dazi sulle importazioni per proteggere l’industria americana durante la Grande Depressione, sebbene con conseguenze globali disastrose. In tempi più recenti, la Trade Act del 1974 fu utilizzata per salvaguardare settori strategici come l’acciaio e l’automobile. Tuttavia, la visione di Trump si distingue per la sua enfasi sull’integrazione tra misure protezionistiche e incentivi fiscali per le imprese nazionali.

Uno degli elementi più dibattuti della dottrina Trump è che il presidente sembra convinto, o almeno è ciò che dà a vedere pubblicamente, che i dazi non comporteranno un aumento dei prezzi per i consumatori americani, ma che saranno assorbiti dalle aziende esportatrici. Questo contrasta con il consenso tra gli economisti, secondo cui i costi delle tariffe sono generalmente trasferiti ai consumatori finali. Questo a sua volta porta a una contrazione del mercato, perché con i prezzi più alti ci saranno meno compratori per quei prodotti.  Nonostante queste criticità, Trump ritiene che proteggere le aziende americane porterà a lungo termine benefici economici e strategici agli Stati Uniti.

Nella visione di Trump, le grandi aziende tecnologiche rappresentano un elemento chiave per rafforzare la posizione degli Stati Uniti nella competizione globale. La tutela delle Big Tech attraverso dazi e misure fiscali favorevoli è considerata essenziale per garantire che l’innovazione e gli investimenti rimangano concentrati sul territorio americano. Questa politica potrebbe tuttavia aumentare le tensioni con l’UE, che già considera discriminatoria l’approccio fiscale e commerciale degli Stati Uniti. Resta da vedere quali misure concrete l’amministrazione Trump adotterà per attuare queste promesse e come queste influenzeranno le relazioni economiche globali.

L’impatto sulle aziende italiane ed europee

Le politiche protezionistiche annunciate da Donald Trump potrebbero avere effetti rilevanti sulle aziende italiane ed europee, con implicazioni diverse a seconda dei settori. Sebbene le dichiarazioni di Trump non si siano ancora tradotte in azioni concrete, le sue intenzioni delineano uno scenario che potrebbe modificare profondamente le dinamiche commerciali e industriali tra Stati Uniti ed Europa.

Uno dei settori più esposti è quello automobilistico, insieme a quello dell food, la moda e la meccanica di precisione. La Motor Valley italiana, celebre per i brand di lusso come Ferrari, Lamborghini e Ducati, esporta una parte considerevole della sua produzione verso gli Stati Uniti. Nuovi dazi potrebbero aumentare significativamente i costi per queste aziende, rallentando l’adozione di tecnologie avanzate come l’elettrificazione e la guida autonoma. Inoltre, secondo Il Sole 24 Ore, regioni come Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana, fortemente dipendenti dall’export verso gli USA, potrebbero subire perdite significative in termini di fatturato.

Ursula von der Leyen ha ribadito l’importanza di un dialogo costruttivo per evitare una “corsa al ribasso” nelle regole economiche globali e promuovere relazioni più bilanciate

Anche il settore tecnologico risulterebbe vulnerabile. Le startup europee, già inclini a guardare agli Stati Uniti come un mercato fertile per investimenti e crescita, potrebbero intensificare il fenomeno della delocalizzazione. Un articolo di Forbes stima che la fuga di cervelli italiani abbia già causato una perdita economica di 134 miliardi di euro in 13 anni, sottolineando la crescente attrattività degli Stati Uniti per i talenti europei. Allo stesso tempo, secondo Business Insider, molte startup trovano nell’ecosistema americano un ambiente più favorevole per raccogliere capitali e scalare rapidamente, rischiando di impoverire ulteriormente l’ecosistema tecnologico europeo.

Le piccole e medie imprese (PMI) italiane ed europee, invece, potrebbero essere le più colpite da eventuali nuove tariffe commerciali. Molte di queste aziende, particolarmente nei settori agroalimentare, moda e meccanica avanzata, sono integrate nelle catene di fornitura globali e si affidano ai mercati esteri per la propria crescita. Come evidenziato da Industria Italiana, i dazi potrebbero generare un effetto domino sulle filiere produttive, con una riduzione dell’export fino al 16% in alcuni comparti.

In poche parole, l’impatto di eventuali dazi statunitensi si farebbe sentire moltissimo sull’economia italiana, sia in modo diretto sia in modo indiretto - per via della filiera tedesca. Le stime sono variabili, e si arriva a parlare fino a -2% del PIL

Se l’Unione Europea non riuscirà a rispondere con politiche mirate per trattenere investimenti e talenti, il divario competitivo con gli Stati Uniti potrebbe ampliarsi, soprattutto nei settori ad alta tecnologia come l’intelligenza artificiale e la blockchain. Le scelte politiche dei prossimi mesi saranno quindi cruciali per delineare il futuro delle imprese europee nel contesto globale.

La risposta possibile dell'Unione Europea

L'Unione Europea si trova a un bivio strategico per fronteggiare le politiche protezionistiche di Trump e le sue richieste, in particolare riguardo alla web tax. Attualmente, questa tassa digitale, applicata da paesi come Francia e Italia con un'aliquota del 3%, mira a garantire che le multinazionali tecnologiche paghino una quota equa di tasse nei paesi in cui generano ricavi. Tuttavia, la proposta di un accordo globale per un'aliquota al 15% rimane ancora lontana, ostacolata da negoziati complessi.

Donald Trump ha definito la web tax un attacco diretto alle aziende statunitensi, promettendo l'uso di dazi per contrastare tali iniziative. La "dottrina Trump" si basa sull'idea che le multinazionali tecnologiche debbano pagare tasse minime, e solo negli Stati Uniti, sfruttando il protezionismo fiscale come leva per rafforzare l'economia americana.

Le opzioni dell'Unione Europea

  1. Rimuovere la web tax: Una possibile scelta sarebbe cedere alle pressioni statunitensi e abolire la tassa digitale. Questo potrebbe ridurre le tensioni commerciali e prevenire l'imposizione di dazi punitivi su prodotti europei, ma comporterebbe una significativa perdita di entrate fiscali e indebolirebbe la credibilità dell’UE come promotore di una tassazione equa. Resterebbe poi il problema fondamentale: aziende che producono ricchezza in un paese e pagano le tasse (o non le pagano) altrove. 
  2. Mantenere la web tax: Al contrario, l’UE potrebbe scegliere di mantenere questa politica fiscale, rafforzando la sua posizione di leader globale nella regolamentazione delle grandi aziende tecnologiche. Ciò potrebbe innescare (ulteriori) rappresaglie economiche da parte degli Stati Uniti, complicando ulteriormente le relazioni transatlantiche. 

In questo contesto, Ursula von der Leyen ha sottolineato la necessità per l’UE di diversificare le proprie partnership globali. Il primo viaggio ufficiale della sua Commissione in India rappresenta un chiaro segnale di questa strategia, con l’obiettivo di rafforzare il partenariato strategico con una delle economie in più rapida crescita al mondo. Anche la Cina rimane un interlocutore fondamentale: von der Leyen ha ribadito l’importanza di un dialogo costruttivo per evitare una "corsa al ribasso" nelle regole economiche globali e promuovere relazioni più bilanciate (Reuters).

Se gli USA di Donald Trump puntano all'egemonia economica globale, la risposta potrebbe essere di spingere l’Europa verso i paesi BRICS, India e Cina in particolare. Una scelta che potrebbe anche aprire nuovi sbocchi per le aziende esportatrici in area europea. 

Le grandi aziende tecnologiche rimangono quindi al centro di una complessa rete di interessi politici ed economici, e le scelte dell’UE nei prossimi mesi potrebbero ridefinire il panorama tecnologico globale.

Un approccio alternativo sarebbe il sostegno attivo a un accordo internazionale sulla tassazione digitale, coordinato dall'OCSE, che potrebbe stabilire regole uniformi per tutte le multinazionali. Questo ridurrebbe le disparità tra paesi e creerebbe un sistema fiscale più stabile, evitando tensioni bilaterali. Tuttavia, un simile accordo richiede una complessa negoziazione e un ampio consenso politico, al momento difficili da raggiungere. E al momento sembra davvero impossibile che Washington segua questa strada. 

L’UE si trova quindi di fronte a una decisione cruciale, che non solo determinerà il futuro delle sue relazioni con gli Stati Uniti, ma avrà anche un impatto significativo sulla sua posizione economica e politica nel contesto globale.

Le grandi aziende tecnologiche americane: un punto cruciale nelle relazioni USA-UE

Il discorso di Trump a Davos ha posto grande enfasi sul ruolo delle grandi aziende tecnologiche americane, come Google, Apple, Microsoft e Amazon. Secondo la "dottrina Trump", queste multinazionali rappresentano non solo un pilastro dell’economia statunitense, ma anche un asset strategico per mantenere la leadership globale in settori come l'intelligenza artificiale, la blockchain e il cloud computing.

Trump ha definito la web tax applicata in Europa come un attacco diretto alle Big Tech americane, accusando paesi come Francia e Italia di discriminare queste aziende. Attualmente, la tassa si attesta al 3% dei ricavi digitali, ma il presidente ha dichiarato che gli Stati Uniti non tollereranno ulteriori pressioni fiscali sulle loro imprese. Ha inoltre suggerito che i dazi potrebbero essere utilizzati come leva per contrastare politiche fiscali che penalizzano le aziende tecnologiche americane.

Le politiche protezionistiche di Trump potrebbero avere un impatto significativo sulle relazioni commerciali transatlantiche. Da un lato, le aziende europee nel settore tecnologico potrebbero beneficiare di una riduzione della concorrenza americana sul mercato locale, ma dall'altro rischierebbero di perdere accesso a partnership e collaborazioni cruciali con le Big Tech statunitensi.

Secondo un rapporto di Reuters, la tensione tra Stati Uniti ed Europa sulle politiche fiscali e commerciali potrebbe rallentare l'adozione di tecnologie innovative e ostacolare lo sviluppo di un mercato tecnologico integrato.

Se l'UE decidesse di mantenere la web tax, potrebbe intensificare le tensioni con gli Stati Uniti, ma consoliderebbe anche la propria posizione come leader nella regolamentazione delle multinazionali tecnologiche. Tuttavia, senza un accordo globale sulla tassazione digitale, il rischio di una frammentazione economica e tecnologica rimane elevato. Al contrario, una possibile rimozione della tassa potrebbe allentare le tensioni, ma indebolirebbe la capacità dell’Europa di competere con gli Stati Uniti e la Cina in termini di innovazione.

Le grandi aziende tecnologiche rimangono quindi al centro di una complessa rete di interessi politici ed economici, e le scelte dell’UE nei prossimi mesi potrebbero ridefinire il panorama tecnologico globale.

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2 Commenti

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E' arrivato il momento di mettere seriamente in discussione l'ideologia economicista.
Ciò che è intrinsecamente oligarchico non può appartenere ad una democrazia.
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non mi capacito come un simile c******e possa essere stato eletto 2 volte presidente, una caricatura vivente, un imbarazzante pupazzo arancione che dalla sua bocca, perennemente semiaperta, fa uscire bestialità assurde certificando al mondo di non avere la più pallida idea di cosa stia blaterando.
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