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a cura di Antonino Caffo

Al fianco dello smart working, l'impasse causato dal lockdown ha fatto emergere un altro termine, quello di homeschooling. Alquanto sconosciuto nei nostri confini, la scuola da remoto è ben più presente e consolidata nel resto d'Europa (soprattutto il nord) e di molte zone del mondo.

Basti pensare che, secondo i dati del report Educare Digitale di Agcom di fine 2019, solo il 47% degli insegnanti afferma di utilizzare le tecnologie quotidianamente nelle proprie attività formative, anche se il 47,3% di questa fetta lo fa solo per consultazione di fonti e poco altro.

Homeschooling, parte di uno scenario più ampio

Il boom della didattica da casa ha fatto dunque venire a galla quelle mancanze che, parlando di digitalizzazione, coinvolgono i nostri istituti, ahimè con un certo divario tra nord e sud. Secondo gli esperti, l'homeschooling non si riduce poi al rifornire le classi di strumenti utili a connettersi con professori e compagni, per seguire le lezioni e svolgere i compiti ma si tratta di un pezzo di uno scenario molto più ampio.

Per capire meglio cosa comprende un simile trend, abbiamo fatto due chiacchiere con Luca Siboni, Distribution key account sales manager di TP-Link, che propone un'ampia gamma di dispositivi pensati per la connettività scolastica e si occupa di fornire soluzioni wireless adatte a supportare gli istituti e realizzare l’ammodernamento digitale in tempi rapidi e a costi competitivi.

«Anche le scuole, come le imprese italiane, si sono dovute adattare velocemente al mondo del digitale. Allo stesso modo in cui compagnie più o meno grandi hanno scoperto, con una certa difficoltà, lo smart working, così scuole di tutta la penisola hanno attivato dei processi in remoto per i quali non erano preparati».

Necessità di slancio

Inutile nascondersi: l'Italia è in ritardo non solo in quanto a strumenti e infrastrutture ma pure per una strategia ben precisa di digitalizzazione della didattica, che non può ridursi a un paio di iniziative per una percentuale molto bassa della torta.

«Nel 2015, con i PON, c'è stata effettivamente un incremento di richieste da parte delle scuole che volevano mettersi in gioco per migliorare le loro attività. A seguito di ciò vi è però stato un lungo periodo di silenzio che, arrivando ad oggi, ha messo in luce il gap rispetto al resto dei paesi europei».

Cosa è mancato? Secondo Siboni (e non solo per lui) di certo gli interventi economici ma pure una concreta flessibilità nelle procedure di modernizzazione del settore, che poi si riflettono in quei flussi burocratici che investono tanti altri segmenti presenti nel panorama nazionale.

Non è così strano leggere di scuole che hanno abbandonato, in passato, l'idea di dotarsi di strumenti informatici per la serie di documenti che dovevano produrre e le tempistiche, spesso bibliche, di ottenimento dei fondi.

Capitale tecnico ma anche umano

«Le risorse sono necessarie e il governo si è mosso celermente, con il "Cura Italia", per supportare le scuole, ma per il futuro bisogna pensare anche al capitale umano, alla formazione del pensiero digitale all'interno dei tradizionali processi didattici».

Andando nello specifico di TP-Link, come può il gruppo rispondere alle esigenze odierne dell'home schooling e come prevede di supportarlo nei prossimi mesi? «Come TP-Link interveniamo in quella che è la struttura interna delle scuole».

«I nostri prodotti, a basso costo, sono il terminale finale che abilita la fruizione dei contenuti, anche a chi non ha risorse premium. Ad esempio gli access point della linea Omada, che possono essere calati in contesti dove c'è bisogno di una connessione affidabile e allargata».

L'importanza dei partner

Buona parte del lavoro più encomiabile viene svolto dai partner, la rete che è a stretto contatto con gli istituti e che ne conosce bisogni ed esigenze particolari. «Per questo svolgiamo periodicamente webinar e corsi di formazione per i partner su quelle che possono essere le necessità delle scuole, soprattutto in vista di settembre, quando prevediamo che vi sarà un mix di fruizione tra modalità tradizionale e remota».

Del resto, se 110 milioni di studenti nel mondo utilizzano strumenti di homeschooling perché noi non dovremmo, o meglio, perché si dovrebbe tornare indietro in una sperata Fase 3? «Educare alla digital transformation è una mission che prosegue anche nell'istruzione».

Se strategia deve esservi, questa ha bisogno di partire dall'alto e coinvolgere tutti gli attori della catena didattica. Una catena che vede nell'utente finale, i ragazzi, un pubblico già pronto a utilizzare nuove tecnologie in casa e che non attende altro che proiettarle in classe, per andare oltre l'emergenza.

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