Il marketing è croce e delizia di ogni azienda: da una parte promette di ripagare gli investimenti con crescita da sogno, ma dall’altra troppo spesso si investono risorse considerevoli senza ottenere un valido ritorno. Un fallimento di per sé non sarebbe nemmeno la fine del mondo, perché a volte può succedere che le cose non vadano come speravamo: tuttavia il problema diventa molto serio quando non sappiamo che cosa è andato storto.
Senza buone informazioni si rischia di procedere per tentativi, con nuovi e costosi investimenti sempre più fantasiosi, magari nella speranza che “questa è la volta buona”.
Certo, sperare che ogni volta sia la volta buona non sembra la migliore delle strategie. Ma continuerà a succedere se non si fa qualcosa a riguardo, vale a dire dotarsi di strumenti di analisi moderni ed efficaci. Anche considerando difficoltà recenti, come norme su privacy e cookie, che limitano la possibilità di raccogliere dati.
Avere tanti dati non basta. È inutile raccogliere dati se poi non sai analizzarli e usarli. - MZ
Ne abbiamo parlato con Matteo Zambon, esperto di analisi dati e cofondatore di Tag Manager Italia, spiega come evitare questi errori e massimizzare il valore dei dati nel processo decisionale.
Dati e marketing: l’errore da evitare
Il punto di partenza è che bisogna non solo raccogliere molte informazioni, ma anche farlo con una chiara idea di analisi in testa. Altrimenti ci si può trovare con sacco di dati ma senza sapere cosa farsene.
Se fai una campagna di marketing che ti costa un sacco di soldi, ma poi non sai se è servita, hai buttato via i soldi. - MZ
Uno dei punti critici da prendere in considerazione è la crescente coi complessità della raccolta dati e le restrizioni tecniche, che rendono sempre più difficile ottenere informazioni precise. Un fenomeno che tendenzialmente abbassa il valore del digitale, proprio perché - rispetto a media tradizionali come TV o Radio - il marketing digitale permette di misurare con precisione le prestazioni.

Fino a qualche anno fa, strumenti come Google Analytics permettevano di monitorare con precisione il comportamento degli utenti, ma oggi il contesto è cambiato. “Dal 2017 in poi il tracciamento è diventato una groviera: i dati mancanti sono sempre di più”, afferma Zambon. Questo è dovuto a diversi fattori, tra cui le restrizioni imposte dai browser, che bloccano alcuni script di tracciamento, e la crescente attenzione alle normative sulla privacy come il GDPR.
Dunque oggi non è più possibile sapere “vita, morte e miracoli” degli utenti. Sicuramente è una grande conquista per tutti gli europei, ma è anche qualcosa con cui bisogna fare i conti.
Dopodiché, la sfida non è solo raccogliere dati, ma soprattutto interpretarli correttamente per guidare le strategie aziendali e migliorare l’efficacia delle proprie attività di marketing.
L’errore più comune è infatti l’accumulo di informazioni senza un piano preciso per l’analisi. Le metriche raccolte devono essere funzionali agli obiettivi di business, altrimenti il rischio è quello di basare le decisioni su numeri scollegati dalla realtà operativa dell’azienda.
Come superare le difficoltà nel tracciamento pubblicitario
Per ovviare a questi problemi, molte aziende stanno adottando nuove strategie di raccolta dati, come il server-side tracking. Questo metodo permette di centralizzare i dati su un proprio server prima di inviarli alle piattaforme di analisi, riducendo l’impatto delle restrizioni dei browser. Un’altra alternativa è l’uso dei dati di prima parte, cioè informazioni fornite direttamente dagli utenti, come email e numeri di telefono.
I cookie non bastano più: ora si usano i dati di prima parte come email e numero di telefono - MZ.
Per rendere efficace l’analisi, è necessario definire in anticipo quali dati raccogliere e con quali obiettivi. La soluzione più efficace è adottare un piano di misurazione, noto come Measurement Plan, che stabilisce quali azioni tracciare e come collegarle agli obiettivi aziendali. “Si parte dagli obiettivi di business e da lì si declina cosa andare a tracciare”, spiega Zambon. Così si possono evitare accumuli di dati inutili e di ottimizzare la spesa in strumenti di analisi, che possono risultare costosi se usati senza criterio.
Negli ultimi anni, molte aziende hanno iniziato a utilizzare i Data Warehouse, piattaforme che aggregano dati da diverse fonti e permettono di analizzarli in modo più efficace. “Le informazioni devono essere integrate in un unico sistema per ottenere una visione completa”, afferma Zambon. Strumenti come BigQuery di Google consentono di combinare i dati di advertising, CRM e vendite offline, creando un Data Lake che permette analisi più approfondite.
Analisi dei dati per PMI: quali soluzioni adottare?
Non tutte le imprese dispongono di budget elevati per l’analisi dei dati, ma esistono soluzioni anche per le PMI. “Si fanno le cose proporzionali a seconda del budget”, chiarisce Zambon. Anche strumenti più semplici, come fogli di calcolo avanzati, possono essere utilizzati per tracciare le performance delle campagne.
L’importante è avere un metodo chiaro per l’interpretazione dei dati, evitando di affidarsi a strumenti costosi senza una strategia definita. Vale a dire che l’obiettivo non è mettere un sacco di dati dentro a un foglio Excel - che di per sé può essere uno strumento valido - ma avere le idee chiara su cosa fare con quei dati su quel foglio.
I dati servono per prendere decisioni di business, non per riempire fogli Excel - MZ
Un altro strumento sempre più utilizzato è l’intelligenza artificiale per l’analisi predittiva. “Grazie al machine learning, si possono identificare pattern e prevedere il comportamento degli utenti”, spiega Zambon. Piattaforme come BigQuery ML o Vertex AI offrono funzionalità avanzate che aiutano le aziende a individuare quali canali pubblicitari generano più valore.
L’obiettivo finale dell’analisi dati non è raccogliere numeri, ma trasformarli in azioni concrete. “I dati servono per prendere decisioni di business, non per riempire fogli Excel”, sottolinea Zambon. Un buon sistema di misurazione consente di ottimizzare il budget pubblicitario, individuare i canali più efficaci e migliorare la strategia aziendale complessiva.
Le sfide nella raccolta e nell’analisi dei dati sono in continua evoluzione, ma le aziende che riescono a costruire una strategia data-driven avranno un vantaggio competitivo. Conoscere i propri dati e saperli interpretare è oggi una necessità per qualsiasi impresa che voglia massimizzare il ritorno sugli investimenti di marketing.
Consiglio di lettura: Factfulness
Matteo Zambon ha consigliato la lettura di Factfulness, un libro scritto da Hans Rosling, insieme a Ola Rosling e Anna Rosling Rönnlund. Zambon sottolinea come questo libro aiuti a interpretare i dati in modo più consapevole, evitando reazioni istintive e analizzando le informazioni in modo razionale. “A volte ci spaventiamo quando vediamo numeri grandi, ma c’è sempre da capire se quel numero è effettivamente grande o se, proporzionato al contesto, ha un significato diverso”, afferma. Secondo Zambon, questa lettura è utile anche per chi si occupa di marketing e analisi dei dati, perché insegna a guardare i numeri con occhio critico, senza lasciarsi ingannare da interpretazioni fuorvianti.
Factfulness è un libro che sfida le percezioni errate sul mondo attraverso dati reali e analisi statistiche. Hans Rosling, medico e statistico, mostra come le persone tendano a vedere la realtà in modo distorto, spesso più negativo di quanto sia in realtà. Utilizzando esempi concreti e dati aggiornati, il libro insegna a riconoscere i pregiudizi cognitivi che influenzano il nostro modo di analizzare l’informazione. Tra i concetti chiave, Rosling introduce l’idea che il mondo sta migliorando sotto molti aspetti, ma il nostro cervello tende a concentrarsi su notizie negative e catastrofiche. Questa prospettiva è particolarmente utile per chi lavora con i dati di business e marketing, perché aiuta a prendere decisioni basate su analisi oggettive anziché su impressioni superficiali.