Il lavoro da remoto funziona. Il problema sono certi capi medievali

Il lavoro da remoto funziona, ma viene sabotato da manager che non sanno dirigere senza vedere le persone sedute davanti a loro, e da una cultura aziendale retrograda e dannosa.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

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Il lavoro da remoto consente oggi a milioni di persone di essere produttive da luoghi diversi dall’ufficio, con notevoli vantaggi economici, ambientali e organizzativi. Tuttavia, molte aziende impongono il rientro fisico, appellandosi a una logica di controllo diretto. La causa è spesso una dirigenza impreparata, incapace di gestire il cambiamento - a cui si aggiunge (ma è un intreccio non dipanabile) una cultura aziendale impossibile da aggiornare. 

Eppure i dati lo dimostrano: i lavoratori vogliono autonomia, e a volte sono persino disposti a rinunciare a parte dello stipendio pur di non tornare a una routine insostenibile. L’ostacolo non è la tecnologia. L’ostacolo sono dirigenti rimasti fermi a una cultura gerarchica e visiva della produttività.

Smart working: una realtà consolidata, non una moda passeggera

Secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, nel 2024 erano 3,55 milioni i lavoratori da remoto in Italia. La stima per il 2025 è di 3,75 milioni. Un aumento modesto ma notevole, che certifica la crescita del fenomeno. E chi lavora in questo modo ha le idee molto chiare: il 73% dei lavoratori italiani che operano da remoto si dice contrario alla sua abolizione; il 27% cambierebbe addirittura lavoro se privato della flessibilità, mentre il 46% cercherebbe di convincere l’azienda a non fare marcia indietro.

Il lavoro da remoto funziona, ma viene sabotato da manager che non sanno dirigere senza vedere le persone sedute davanti a loro

Questa preferenza riguarda la qualità della vita, l’efficienza e la capacità di concentrazione. Uno studio di Harvard, Brown e UCLA condotto su oltre 1.300 lavoratori nel settore tecnologico ha dimostrato che questi sarebbero disposti a tagli fino al 25% della retribuzione pur di mantenere il lavoro da remoto. Il dato è particolarmente significativo perché riguarda occupazioni ad alta specializzazione e con stipendi medi elevati, intorno ai 222.000 euro annui (conversione da 239.000 dollari). Chiaramente chi ha un compenso più basso potrebbe avere un’opinione diversa in merito, ma il messaggio è chiaro. 

Al contempo poi, il lavoro da remoto non riduce la produttività, anzi. Già nel 2020 uno studio dell’Università di Stanford ha rilevato un incremento della produttività del 13% in un’azienda di servizi che ha adottato il modello distribuito. E ancora: un’analisi su 21 imprese ha dimostrato che ogni dipendente in smart working può risparmiare fino a 1.300 euro l’anno in spese e contribuire a una riduzione media di 270 kg di CO₂ grazie alla minore mobilità. Due giorni di lavoro da remoto a settimana equivalgono, secondo altre stime, a 480 kg di CO₂ risparmiati ogni anno per persona.

Il 73% dei lavoratori italiani che operano da remoto si dice contrario alla sua abolizione. Il 27% cambierebbe addirittura lavoro se privato della flessibilità

Il modello distribuito genera valore per le imprese, per i lavoratori e per l’ambiente. Ma per funzionare richiede una direzione consapevole. E questo è il vero punto debole.

Il nodo non è la distanza, è l’incompetenza manageriale

L’adattamento allo smart working non è uniforme. Ci sono aziende che hanno scelto di investire nella trasformazione culturale, nella documentazione condivisa, nei processi asincroni e nella leadership orientata agli obiettivi. Altre si sono limitate a spostare i computer a casa, senza rivedere nulla nella gestione. Il risultato è una frustrazione crescente, e in molti casi un ritorno al vecchio modello autoritario.

Uno studio pubblicato da Harvard Business Review Italia ha mostrato che i manager che non possono “vedere” i loro dipendenti sviluppano una crisi di fiducia, tendono a richiedere più controllo, impongono riunioni frequenti e fanno crescere lo stress nei team. Non sono i dipendenti a essere inadatti al lavoro remoto: sono i dirigenti a non saper dirigere.

Secondo il Politecnico di Milano, i lavoratori da remoto che hanno un capo capace di definire obiettivi, fornire feedback e indicare una direzione chiara registrano livelli più alti di benessere e di performance. Ma questi capi sono ancora pochi. L’assenza di una vera cultura organizzativa in modalità flessibile è la principale causa dei fallimenti dei progetti di smart working.

sarebbero disposti a tagli fino al 25% della retribuzione pur di mantenere il lavoro da remoto

Non è un caso che alcune delle aziende che avevano abbracciato il lavoro da remoto stiano facendo marcia indietro. Google, ad esempio, ha imposto ai team che lavorano sull’intelligenza artificiale di tornare in sede per 60 ore a settimana, su spinta diretta di Sergey Brin. La scelta, motivata dalla volontà di accelerare nello sviluppo dell’AGI, ha sollevato critiche tra i dipendenti. Il messaggio implicito è chiaro: se non siete in ufficio non siamo certi che stiate lavorando al massimo.

Si potrebbe anche fermarsi sul fatto che quello dell’AGI sia un concetto come minimo fantasioso ma non è il tema di questo articolo.

Una dinamica ancora più estrema si è verificata negli Stati Uniti con la direttiva dell’amministrazione Trump, che ha ordinato il ritorno obbligatorio in ufficio per i dipendenti federali. Il risultato è stato il caos: mancanza di spazi, assenza di scrivanie, connessioni inaffidabili, servizi igienici non funzionanti, dipendenti costretti a fare ore di coda per parcheggiare o addirittura incaricati di pulire i bagni. In molti casi, le persone sono tornate fisicamente per poi dover lavorare comunque in remoto dai corridoi, per mancanza di infrastrutture. Un esempio da manuale di gestione disastrosa, fondata su una logica punitiva più che funzionale.

Nel frattempo, aziende come GitLab, Automattic, Doist, Buffer o Remote continuano a operare in modalità completamente distribuita, con modelli solidi, comunicazione strutturata e processi codificati. Non perché abbiano strumenti migliori, ma perché hanno costruito una cultura diversa. E i risultati lo dimostrano.

Il lavoro da remoto richiede più metodo, non meno. Più pianificazione, più misurazione, più chiarezza. Non è una “vacanza digitale”, ma una trasformazione profonda nel modo in cui si lavora, si comunica e si misura il valore.

Anche un campeggio può essere un ufficio (se la rete è buona)

Una delle conseguenze dello smart working è che si può lavorare virtualmente ovunque: al mare, in montagna, su un’isola o vicino a un lago. Il problema non è dove sei, ma come sei connesso. Il lavoro distribuito funziona se esiste un’infrastruttura digitale adeguata. Ed è anche per questo che la domanda di connettività ad alte prestazioni cresce in tutti i settori.

Una seconda ragione è legata alla possibilità di redistribuire la popolazione e le risorse economiche, alleggerendo la pressione urbana e contribuendo allo sviluppo di territori spesso marginalizzati. Piccoli centri, borghi di montagna, località costiere o rurali possono tornare ad attrarre residenti stabili o temporanei, a patto che offrano infrastrutture digitali affidabili. Questo cambiamento ha effetti positivi anche sul mercato immobiliare, sulla mobilità quotidiana e sulla sostenibilità ambientale, riducendo traffico, consumo di suolo e inquinamento.

L’assenza di una vera cultura organizzativa in modalità flessibile è la principale causa dei fallimenti dei progetti di smart working

Fino a pochi anni fa, bar, ristoranti e hotel facevano a gara per offrire Wi-Fi di qualità, ma quasi nessuno lo usava per lavorare. Oggi la situazione è opposta: gli smart worker sono sempre più numerosi, ma spesso devono affidarsi alla propria connessione personale, tipicamente tramite smartphone in modalità hotspot. Una soluzione tutt’altro che ideale: la connessione è spesso instabile, poco affidabile e, all’estero, limitata da soglie di traffico molto basse.

Tuttavia le eccezioni non mancano e ci sono strutture ricettive che si impegnano per fornire una connettività di alta qualità. Uno sforzo che deve per forza realizzarsi con un partner, che sarà un operatore specializzato come AVM, Netgear, Zyxel, Ubiquiti, o altri dimostrano che anche ambienti non tradizionali possono diventare luoghi di lavoro.

Persino i campeggi stanno diventando luoghi adatti a chi lavora. È il caso del Camping 2000 sul Lago Maggiore, che ha scelto di investire in un’infrastruttura digitale ad alte prestazioni per migliorare l’esperienza degli ospiti e risolvere problemi interni legati alla connettività. L’obiettivo era garantire accesso stabile a Internet sia nelle aree comuni sia nei bungalow e negli uffici.

Il lavoro da remoto richiede più metodo, non meno

Il progetto è stato realizzato da Tecnoimpianti, partner tecnico di AVM, che ha selezionato dispositivi della linea FRITZ! per rispondere alle esigenze del campeggio. In particolare, è stato utilizzato un FRITZ!Box 6860 5G per fornire connettività nelle aree esterne, grazie alla resistenza a umidità e schizzi e all’alimentazione PoE. La rete è stata estesa a bar e ristorante grazie a un repeater collegato via LAN. 

Fondamentale poi un dispositivo come il FRITZ!Box 6890 LTE, in grado di gestire sia rete fissa che mobile e dotato di failover su SIM. Una soluzione che permette di ridurre i downtime si applicazioni mission critical come i POS o le videocamere di sorveglianza. La rete è ora più stabile e i flussi operativi risultano più efficienti.

Similmente, la copertura di nuove aree è possibile grazie a prodotti come il FRITZ!Box 6850 LTE, associato a repeater collegati via LAN. 

In questo modo ogni unità dispone di una connessione dedicata. Gli ospiti possono lavorare ovunque, senza compromessi sulla qualità del servizio.

Uno scenario emblematico perché dimostra che anche in contesti turistici immersi nella natura, è possibile garantire una connettività adeguata al lavoro da remoto, purché venga progettata con competenza.

Se il capo controlla troppo, i migliori se ne vanno

Quando la leadership si basa solo sulla presenza fisica, i lavoratori validi si stancano. Chi ha competenze e motivazione non ha bisogno di essere controllato, ma di avere una visione e degli obiettivi. Chi resta, spesso lo fa per inerzia o per paura, non perché crede nel progetto.

Chi ha competenze e motivazione non ha bisogno di essere controllato, ma di avere una visione e degli obiettivi

Le aziende che continueranno a investire nel lavoro da remoto avranno un vantaggio competitivo, non solo in termini di attrazione dei talenti, ma anche di riduzione dei costi, resilienza operativa e sostenibilità ambientale. Quelle che insisteranno con modelli gerarchici e rigidi rischiano invece di perdere le persone migliori, di aumentare il turnover e di ritrovarsi a gestire dipendenti demotivati, presenti ma disconnessi.

Il futuro del lavoro non è una sala open space. È una rete di persone connesse, autonome, coordinate da chi sa dare direzione, non da chi vuole tenere tutto sotto controllo.

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40 Commenti

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Ottimo articolo, aggiungo che ci sono tanti datori di lavoro che vogliono vedere i propri dipendenti in ufficio, anche se meno produttivi che da casa, solo per poter marcare la differenza tra l'esser padroni e dipendenti.
Sì, molti padroni vogliono vedere i dipendenti soffrire, proprio per marcare la differenza tra "loro che ce l'hanno fatta" (poi magari si viene a sapere soldi di famiglia, aiuti di stato etc) e dei poveri e puzzolenti dipendenti che non devon esser felici
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Sì ok, tutto bello finché resta teoria. Lavoro da remoto che funziona, manager retrogradi, cultura gerarchica da superare… ma poi torni in Italia, entri in un’azienda vera e ti accorgi che siamo lontani anni luce da come viene venduto questo modello.

Il punto non è che lo smart working non funzioni, ma che qui da noi non esistono le condizioni per farlo funzionare davvero su larga scala. Non c’è una cultura aziendale orientata agli obiettivi, non ci sono strumenti di valutazione seri, e la stragrande maggioranza dei manager non è formata per gestire persone a distanza. E parlo proprio per esperienza. Se mancano gli strumenti e le strutture, a un certo punto l’unica soluzione che hanno è richiamare tutti in sede. Funziona? Forse no. Ma almeno hai un minimo di controllo su ciò che succede.

E poi scusate, ma la narrazione per cui il male assoluto è il capo che vuole vedere il dipendente in ufficio mi sembra un po’ infantile. Come se tutti i lavoratori fossero eroi del lavoro a distanza, super responsabili e produttivi, e i manager solo dei boomer autoritari. Dai, siamo seri. Ci sono i dipendenti validi e quelli che spariscono nel nulla appena chiudi la videocall. E quando ne hai dieci magari te la gestisci, quando ne hai duecento no. Se qualcosa non gira, ci rimetti tu, non loro.

E diciamolo una volta per tutte: chi scrive questi articoli spesso è dipendente, non ha mai dovuto gestire nemmeno un collaboratore, e si immagina che lo smart working sia questa figata universale fatta di caffè al lago e concentrazione zen. La verità è che da remoto è tutto più difficile. Ci vuole metodo, organizzazione, chiarezza. Cose che in Italia mancano, sia nei vertici che alla base.

Quindi sì, lo smart working ha potenzialità enormi. Ma venderlo come unica strada e ridurre tutto al problema dei manager medievali è semplicemente non aver capito dove viviamo.
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Bello l'articolo ma ti sei dimenticato di togliere uno dei commenti dell'AI che ti ha aiutato nella generazione.
"Ecco il testo rielaborato in 300 parole esatte, con un solo grassetto per paragrafo, ciascuno di massimo 5 parole, come da istruzioni:"
A parte questo tutto molto condivisibile.
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Bello l'articolo ma ti sei dimenticato di togliere uno dei commenti dell'AI che ti ha aiutato nella generazione. "Ecco il testo rielaborato in 300 parole esatte, con un solo grassetto per paragrafo, ciascuno di massimo 5 parole, come da istruzioni:" A parte questo tutto molto condivisibile.
sistemato grazie
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articolo interessante finche non si arriva a "è stato utilizzato un FRITZ!Box 6860 5G"... ma chi legge un articolo del genere secondo voi è cosi niubbo da non sapere come essere connessi ovunque e di aver bisogno di un fritz???
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Posso dire che lo smart working funziona se si fa un lavoro da scimmie o a bassissima creatività o meramente individuale, ma non minimamente crescere la maturità di una azienda dove oltre alle competenze devono essere valorizzata anche la cultura aziendale. Non per niente anche le grandi aziende stanno tornando al lavoro in presenza. Certo se devi fare il compitino da babbeo allora puoi farlo da dovunque...
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C’è molto da aggiungere, non condivido la sola motivazione del manager incapace.
Ecco alcuno spunti: 1 riguardo la maggiore produttività ci sono articoli scientifici risalenti solo al 2020 che vi ricordo essere un anno tra pandemia e coprifuochi, ti credo che si era più produttivi. Rifatela oggi una indagine, con palestre negozi ristoranti aperti e vita sociale a gogo.
Per funzionare Richiede più coordinazione è vero, ma non si tocca mai per nulla 2 concetti fondamentali: 1 cosa si deve fare quando un dipendente è più produttivo in presenza piuttosto che da casa? Revoca di Sw punitiva?
2 da un lato si vuole il contratto indeterminato che è un contratto subordinato di lavoro in cui si firma la disponibilità di 8 ore al giorno concordate ed il raggiungimento del luogo di lavoro. Poi si chiede più libertà, signori esiste già si chiama partita iva, voi lavorate come vi pare , l’azienda risparmia un sacco di soldi…paura eh!?
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In moltissimi casi, come diceva un articolo americano ai tempi post COVID, il problema è che l efficienza del lavoro da remoto dimostra l inutilità del lavoro dei manager. E ora con la gen ai.....
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Posso dire che lo smart working funziona se si fa un lavoro da scimmie o a bassissima creatività o meramente individuale, ma non minimamente crescere la maturità di una azienda dove oltre alle competenze devono essere valorizzata anche la cultura aziendale. Non per niente anche le grandi aziende stanno tornando al lavoro in presenza. Certo se devi fare il compitino da babbeo allora puoi farlo da dovunque...
Secondo me il lavoro da scimmie svolto da casa che intendi tu è il telelavoro, roba da anni 2000 già superato (come te), piccoli compiti di trascrizione svolti da remoto anche in modo asincrono rispetto agli orari aziendali.
Lo smartworking è la stessa identica attività che porti avanti sulla tua poltrona di pelle in ufficio ma svolta a casa, con strumenti di condivisione che ormai ti fanno sentire più presente che se fossi in mezzo ai tuoi colleghi.
Ovviamente il rapporto fisico per lo spirito di squadra non è da sottovalutare e infatti nella mia azienda c'è un rapporto tra remoto e presenza del 50%.
Risultato: dipendenti soddisfatti e produttivi, dirigenza soddisfatta.
Il problema quando questo non funziona sono i manager con mentalità arcaiche...
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C’è molto da aggiungere, non condivido la sola motivazione del manager incapace. Ecco alcuno spunti: 1 riguardo la maggiore produttività ci sono articoli scientifici risalenti solo al 2020 che vi ricordo essere un anno tra pandemia e coprifuochi, ti credo che si era più produttivi. Rifatela oggi una indagine, con palestre negozi ristoranti aperti e vita sociale a gogo. Per funzionare Richiede più coordinazione è vero, ma non si tocca mai per nulla 2 concetti fondamentali: 1 cosa si deve fare quando un dipendente è più produttivo in presenza piuttosto che da casa? Revoca di Sw punitiva? 2 da un lato si vuole il contratto indeterminato che è un contratto subordinato di lavoro in cui si firma la disponibilità di 8 ore al giorno concordate ed il raggiungimento del luogo di lavoro. Poi si chiede più libertà, signori esiste già si chiama partita iva, voi lavorate come vi pare , l’azienda risparmia un sacco di soldi…paura eh!?
Discorsi da imprenditore... Anni 60..
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Tornare in ufficio, altro che smartworking non trovate scuse!!!!
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Non si può generalizzare ne da una parte ne dall'altra. Penso che sia importante vivere l'azienda e stare con i colleghi, socializzare, fare gruppi, condividere idee davanti al caffè. Stare isolati in casa spesso può portare a un distacco dal contesto e dalla squadra. Io ho vissuto entrambe le esperienze. Credo che il lavoro da remoto sia un ottimo strumento di wellfare in caso di necessità ma non una routine.
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Posso dire che lo smart working funziona se si fa un lavoro da scimmie o a bassissima creatività o meramente individuale, ma non minimamente crescere la maturità di una azienda dove oltre alle competenze devono essere valorizzata anche la cultura aziendale. Non per niente anche le grandi aziende stanno tornando al lavoro in presenza. Certo se devi fare il compitino da babbeo allora puoi farlo da dovunque...
Questa è una somma sciocchezza.
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Posso dire che lo smart working funziona se si fa un lavoro da scimmie o a bassissima creatività o meramente individuale, ma non minimamente crescere la maturità di una azienda dove oltre alle competenze devono essere valorizzata anche la cultura aziendale. Non per niente anche le grandi aziende stanno tornando al lavoro in presenza. Certo se devi fare il compitino da babbeo allora puoi farlo da dovunque...
Non sono d'accordo. Faccio un lavoro altamente specializzato come del resto i miei colleghi e riusciamo egregiamente a gestirci, da remoto io ed alcuni colleghi, sul campo gli altri. Come dice l'articolo: è questione di metodo.
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