Fare l'iPhone in USA? È pura fantasia. O ideologia

Il ritorno della produzione di massa in America: milioni di lavoratori impegnati in operazioni ripetitive, come avviene oggi nelle fabbriche degli iPhone.

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a cura di Luca Zaninello

Managing Editor

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Nell'ultima puntata di Face the Nation, il segretario al Commercio statunitense Howard Lutnick ha dipinto uno scenario tanto affascinante quanto improbabile: iPhone prodotti interamente sul suolo americano.

"L'esercito di milioni di persone che avvitano minuscole viti per assemblare iPhone si trasferirà in America, con processi automatizzati dove le competenze artigianali americane faranno la differenza", ha dichiarato con entusiasmo.

Secondo la sua visione, meccanici, specialisti HVAC ed elettricisti rappresenterebbero il cuore di questa rivoluzione manifatturiera, portando "la più grande rinascita occupazionale nella storia americana" grazie a fabbriche high-tech che "stanno arrivando tutte in America". Una prospettiva che, per quanto seducente dal punto di vista politico, si scontra con la complessa realtà della catena di approvvigionamento globale di Apple.

L'idea di un iPhone "Made in USA" non è certo nuova nel dibattito politico americano. Da anni rappresenta una sorta di Santo Graal simbolico della rinascita manifatturiera americana, nonostante si trovi anni luce dalla possibilità di realizzazione concreta. Per concretizzarsi, richiederebbe una ristrutturazione pressoché impossibile dell'intricata rete di fornitori globali che rendono possibile l'esistenza dell'iPhone come lo conosciamo.

Nel corso degli anni, economisti ed esperti di produzione hanno provato a stimare quanto costerebbe realmente un iPhone completamente americano. Recentemente, una risposta su Quora del 2018 che ipotizzava un costo di 30.000 dollari è tornata virale, mentre Reuters ha diffuso un'analisi che prevedeva un prezzo di 2.300 dollari per un iPhone soggetto a dazi. Entrambe le previsioni, per quanto interessanti come esercizi teorici, rimangono pure speculazioni.

La complessità di una catena di approvvigionamento globale

Non esiste uno scenario in cui Apple possa semplicemente decidere di iniziare a produrre iPhone negli Stati Uniti da un giorno all'altro. Teoricamente, potrebbe avviare l'assemblaggio sul suolo americano, ma si tratterebbe di un processo pluriennale reso infinitamente più complesso dal fatto che, nell'ideale mondo trumpiano, ogni azienda dovrebbe contemporaneamente riportare la produzione in America, causando problemi a catena: carenze di approvvigionamento, difficoltà nella costruzione di nuovi stabilimenti e aggravamento della già scarsa disponibilità di talenti americani specializzati nella produzione high-tech.

A lungo termine, potremmo effettivamente assistere a un maggiore ritorno della produzione tecnologica negli Stati Uniti, guidato da ragioni strategiche e di sicurezza nazionale. Tuttavia, nel breve periodo, con l'imposizione di dazi massicci, è probabile che si verifichi un periodo di sofferenza economica inimmaginabile destinato a durare anni, non settimane o mesi.

La verità è che, assemblato negli Stati Uniti o meno, l'iPhone resta un prodotto genuinamente internazionale. Apple ha sviluppato una delle catene di approvvigionamento più complesse mai concepite nella storia umana, e cambiarla completamente in tempi brevi risulta semplicemente impossibile.

Possiamo comprendere come viene realizzato l'iPhone oggi esaminando i numerosi rapporti che Apple pubblica annualmente, in cui delinea la sua attuale catena di approvvigionamento e i requisiti della forza lavoro. La homepage del sito dedicato alla supply chain di Apple recita significativamente: "Progettato da Apple in California. Realizzato da persone in tutto il mondo".

Questa frase, ben lontana dalla retorica politica, riassume la realtà di un prodotto che, per sua natura, rappresenta la globalizzazione industriale nel suo massimo sviluppo. Ripensare questa struttura non è solo una questione di costi, ma di fattibilità pratica in un ecosistema produttivo che ha richiesto decenni per essere perfezionato e che coinvolge competenze specialistiche distribuite in decine di Paesi diversi.

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lutnick é l'ennesimo imbecille nella squadra del bancarottiere arancione, non ne ha scelto nemmeno uno con i crismi della decenza, tutti idioti come lui.
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