Ecco tutte le tecnologie rischiose secondo l'Unione Europea

Quattro aree di sviluppo tecnologie che l’Unione Europea vuole proteggere, soprattutto dalla Cina

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

La Commissione Europea ha individuato quattro aree di sviluppo tecnologiche “ad alto rischio” e invita i paesi membri a fare il possibile affinché conoscenze e competenze siano protette e tutelate nel migliore dei modi. O, in altre parole, affinché paesi concorrenti - Cina in particolare - non riescano a “sbirciare” dove non dovrebbero. 

La Commissione, in particolare, ha pubblicato una raccomandazione sulle aree tecnologiche critiche per la sicurezza economica dell'UE, per un'ulteriore valutazione dei rischi. Si individuano quattro macroaree che, secondo gli esperti, presentano i più grandi rischi potenziali. Le quattro aree in questione sono Intelligenza Artificiale, Quantum Computing, Semiconduttori e Biotecnologie. 

La Commisione chiama i paesi membri a valutare possibili rischi rispetto ad alcuni criteri specifici. 

  • Natura abilitante e trasformativa della tecnologia: il potenziale e la rilevanza delle tecnologie nel determinare aumenti significativi delle prestazioni e dell'efficienza e/o cambiamenti radicali per settori, capacità, ecc;
  • Il rischio di fusione civile e militare: la rilevanza delle tecnologie sia per il settore civile che per quello militare e il loro potenziale di avanzamento in entrambi i settori, nonché il rischio di utilizzo di alcune tecnologie per minare la pace e la sicurezza;
  • Il rischio che la tecnologia possa essere utilizzata in violazione dei diritti umani: il potenziale uso improprio delle tecnologie in violazione dei diritti umani, compresa la limitazione delle libertà fondamentali.

La valutazione del rischio dovrebbe essere conclusa entro la primavera del 2024, e da quel momento in poi il governo dell’Unione potrà varare nuove norme pensate per mitigare eventuali rischi individuati. 

Eventuali misura potranno includere limitazioni commerciali, come per esempio il blocco all’esportazione verso certi paesi o la limitazione degli investimenti. 

“La Cina”, si legge su Euronews, “non è menzionata nel documento di martedì, anche se la sua ombra incombe su questo esercizio senza precedenti di revisione delle tecnologie attraverso le lenti della sicurezza nazionale ed economica”. 

Parte della questione è che parte dell’UE vorrebbe sanzionare la Cina per questioni di diritti umani, e un’altra parte vorrebbe ostacolarne il potere economico e finanziario. Allo stesso tempo, eventuali rappresaglie (commerciali) da parte di Pechino potrebbero tradursi in problemi per tutto il territorio comunitario e non solo. Di conseguenza bisogna muoversi con grandissima cautela. 

La Cina controlla alcuni settori strategici, come quello delle batterie e dei pannelli solari, tramite il controllo delle risorse primarie. Il “blocco occidentale” sta tentando di affrancarsi da tale dipendenza, ma non è detto che sia possibile e sicuramente non accadrà dall’oggi al domani. 

"Questo non è contro nessun Paese. Facciamo ciò che riteniamo sia nell'interesse generale dei nostri concittadini", ha detto Thierry Breton, Commissario europeo per il mercato interno. "Quando vediamo che c'è un rischio di eccessiva dipendenza, un rischio di rottura di una catena di approvvigionamento che potrebbe essere critica per noi, agiamo, non aspettiamo".

E in effetti qualcuno ha già iniziato ad agire: i Paesi Bassi hanno aperto la strada all'inizio di quest'anno bloccando le esportazioni di tecnologia avanzata per microchip destinata alla Cina, sostenendo che potrebbero essere utilizzate per scopi "indesiderati". Parliamo di macchine che sono fondamentali per la produzione di microchip, e che vengono realizzate in territorio europeo da ASML, un nome che pochi conoscono ma che indica la più grande azienda tecnologica europea - nonché un cardine fondamentale dell’intera economia mondiale.

"Nel complesso, queste politiche rigorose dimostrano come i Paesi occidentali siano disposti ad applicare misure coraggiose che erano impensabili solo pochi anni fa", ha dichiarato Agathe Demarais, senior policy fellow presso lo European Council on Foreign Relations. Tuttavia, è probabile che sia difficile convincere le aziende a partecipare agli sforzi di de-risking. “Nonostante il clamore per il de-risking, due terzi delle imprese dell'UE non hanno intenzione di abbandonare la Cina".

Immagine di copertina: eamesbot

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