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a cura di Primo Bonacina

Amici imprenditori e manager, uno dei temi decisivi per il successo di un imprenditore o un manager è la produttività dei collaboratori. Tutti noi vorremmo avere macchine da guerra instancabili al posto dei dipendenti, non è vero? Il problema è sempre il solito: ‘Dove li trovi questi mostri rari?’ Se puntiamo sui giovani, lo stereotipo è ‘voglia-di-lavorare-saltami-addosso’. Se andiamo sui meno giovani: ‘fate-lavorare-gli-altri-che-io-ho-già-dato’ …

Inutile dirvi quanto faccia la differenza per un’azienda avere collaboratori produttivi. Ci sono solo due modi per averli: trasformate in produttivi quelli che già avete oppure ne cercate di nuovi, tra i più produttivi sul mercato. Cosa rende una risorsa produttiva? Cos’è la produttività?

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Iniziamo con una definizione

La produttività è la capacità di fare le cose giuste nei tempi e modi giusti, impegnando il minor numero di risorse aziendali possibili.

Ecco che andiamo subito a toccare un tema caldo. La risorsa deve essere quella giusta ma anche al posto giusto. Cristiano Ronaldo, nella squadretta di provincia, non ci deve giocare. Sarebbe troppo costoso. Non sarebbe sufficientemente produttivo. Non gli arriverebbero gli assist giusti da mettere in rete. Il suo rapporto prezzo/prestazioni risulterebbe quindi inadeguato. Meglio un giocatore più modesto ma più adatto alla situazione e, soprattutto, che ci possiamo permettere.

Ogni persona deve essere al posto giusto per dare il meglio. E deve sapere cosa l’azienda si aspetta da lui/lei e ricevere gli strumenti adeguati per farlo. Spesso l’imprenditore vuole ingaggiare un senior perché pensa di poter eliminare la fase di inserimento. Ma un inserimento serve sempre. Anche Cristiano Ronaldo nella Juve ha dovuto conoscere i compagni e gli schemi.

In poche parole, siete sicuri di dare la possibilità ai vostri campioni (o presunti o potenziali tali) di rendere al meglio?

Ma come li trovo i collaboratori produttivi?

Non è facile, ma l’unica vera strada, confermata da centinaia di controprove, è il “Digital Recruiting”, ovvero l’utilizzo di strumenti social corredati da software/procedure/processi/best practice. Ad esempio, LinkedIn è un database di oltre 700M di CV, di cui oltre 14M in Italia (circa il 60% della forza lavoro), ed è una possibile strada maestra. Ma la strada non basta, bisogna avere la patente. LinkedIn è a disposizione di tutti ma non basta. Occorre saperlo usare: scrivere l’annuncio giusto, promuoverlo bene, attivare la rete...

E occorre anche pensare ad algoritmi di intelligenza artificiale che ci supportino nella selezione. Non pensiamo a cose eccessivamente sofisticate. Molto in concreto: parliamo di analizzare i testi forniti dei candidati secondo principi di “induzione semantica”. Per capire cosa si intende per “induzione”, uno dei primi filosofi a ricorrere a questo concetto fu Aristotele, il quale, attribuendo a Socrate il merito di averla scoperta, sosteneva che l'induzione fosse, appunto, «il procedimento che dai particolari porta all'universale». Non occorre però essere filosofi greci per disegnare semplici algoritmi (io l’ho fatto; Volete che li condivida con voi?) che analizzino testi e materiali forniti dai potenziali collaboratori per capire se questa persona usa le parole giuste nel contesto giusto. Basta quindi scorrere i testi e trovare le corrispondenze tra quello che cercate e offrite e quello che il candidato cerca e offre.

Quali domande porre nella fase di selezione?

La risposta è facile. Sempre domande aperte. Mai quindi porre domande chiuse, a cui si può solo rispondere SI/NO/NON SO. Occorre porre domande dove il candidato può e deve argomentare. Le domande cosiddette “comportamentali”.

E, se possibile, ponetele per iscritto e chiedete risposta scritta (tramite un’intervista, un business plan, un piccolo lavoro o test). Vorrete che il candidato si possa raccontare e che, da come scrive e si presenta (e se lo fa correttamente e puntualmente, non da “analfabeta funzionale”), potrete capire se è la persona giusta.

Pensate a un’agenzia matrimoniale. Se vi organizzano un appuntamento, nella prima mezzora dovrete già capire “se ce n’è o se non ce n’è”. Se avete qualcosa in comune, se parlate di cose affini, se c’è attrazione e chimica. Poi questa chimica va confermata nel tempo, ma, da subito, è importante comprendere se la persona che avete davanti è vicina alle vostre esigenze e aspettative e, in reciprocità, se voi (e la vostra azienda, in questa metafora lavorativo-sentimentale) siete centrati per lui/lei.

Provate, ad esempio, a mettervi nei panni di un insegnante. Iniziate a leggere un tema di un vostro studente e, dopo poche righe, sapete già che voto darete. Poi magari lo leggerete fino in fondo ma il voto lo potevate dare dopo pochi minuti. È questo il punto: occorre dotarsi di tutti gli strumenti (le informazioni, i materiali) per capire subito se la risorsa è quella potenzialmente giusta. Per capire se si incastra naturalmente, proprio come una tessera in un puzzle

E come e quando si misura la produttività di una risorsa una volta inserita?

Prima di tutto parliamo della prima causa di NON produttività, ovvero del rigetto:

  • Il primo rigetto avviene in fase di offerta di assunzione. Le statistiche dicono che il 10% delle offerte non viene accettato, causa rilanci dall’altra parte oppure perché la persona cambia idea, ad esempio perché ha preso maggiori informazioni sull’azienda o comunque non è più totalmente convinta delle prospettive del ruolo. Questo impatta fortemente sulla produttività dell’azienda e del selezionatore in quanto si perde un sacco di tempo. Imprenditore e manager accorti avranno quindi sempre un “Piano B”. Se quella persona non accetta, ci sarà una seconda scelta pronta alla bisogna. Non magari performante come la prima, ma si farà di necessità virtù. E, se serve, avremo una terza scelta
  • Poi ci sono quelli che non terminano il periodo di prova perché l’imprenditore li licenzia o perché se ne vanno. Le statistiche dicono che i primi ostacoli sono la scarsa conoscenza o comprensione. Il primo vero problema è che il candidato non sa effettivamente come sarà il lavorare in quell’azienda e cosa sarà veramente richiesto dal ruolo. Ad esempio, ho lavorato in Microsoft molti anni fa e vi posso assicurare che, vista da fuori e da dentro, l’azienda era molto diversa. Non dico meglio o peggio. Però diversa. Serve quindi la massima chiarezza. Il potenziale collaboratore deve conoscere le vostre aspettative e altrettanto in reciprocità dovete conoscere le loro
  • Un'altra causa di fallimento è, più in generale, il rigetto della cultura aziendale. Ecco perché cercare un collaboratore deve essere un metodo scientifico. Occorre dare e ricevere informazioni per capire se è il “fit” è quello giusto, appunto come comporre le tessere di un puzzle

Tornando poi al “quando”, suggerisco di darsi dei tempi precisi e certamente non infiniti (“se hai commesso un errore, riconoscilo il prima possibile”, recita un antico adagio) e vi propongo la mia regola del 6:

  • Dopo 6 giorni, l’imprenditore deve aver un primo riscontro su come si sta ambientando il collaboratore. Capire se le prime sensazioni sono, reciprocamente, quelle giuste
  • Dopo 6 settimane, si deve aver capito di che pasta è fatto il nuovo collega e se potrà lavorare bene in azienda. Si deve cominciare a capire se è la persona giusta al posto giusto
  • Salvo eccezioni, è difficile che un collaboratore che è in azienda da più di 6 mesi, sorprenda in meglio o in peggio. In questo tempo, deve aver espresso buona parte del suo potenziale. Però l’azienda deve averlo messo in condizione di performare

Fidanziamoci!

In sintesi, assumere persone è come fidanzarsi. Se va bene o male, colpe e meriti vanno divisi 50-50 o comunque non sono mai 100-0 oppure 0-100.

Gli imprenditori e manager all’ascolto dovrebbero quindi fare un’attenta analisi e capire come migliorare nel cercare la persona giusta (il Digital Recruiting aiuta!) e nel renderla davvero produttiva.

Ne vogliamo parlare? Scrivetemi!

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