AI nelle PMI italiane: il vero ostacolo è il mindset, non la tecnologia

In un’intervista con Andrea D’Onofrio di Microsoft, esploriamo come il vero ostacolo all’adozione dell’AI nelle PMI italiane non sia la tecnologia, ma l’approccio mentale.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Le piccole e medie imprese italiane si trovano di fronte a un’opportunità unica: sfruttare l’intelligenza artificiale per ottimizzare processi e migliorare la competitività. Tuttavia, la principale difficoltà non è tecnologica, ma va cercata “un passo prima” della soluzione tech: molti imprenditori infatti faticano a identificare i problemi aziendali che l’AI potrebbe risolvere, rallentando così l’adozione di strumenti avanzati. In concreto, ci si ferma - a volte arenandosi - alla domanda “che problemi abiamo?”

Il problema è dunque evidente: se adottare l’AI significa migliorare la produttività, senza una chiara comprensione delle sue applicazioni pratiche, il rischio è che venga percepita come un costo anziché un investimento. La chiave è affrontare il tema non solo dal punto di vista tecnico, ma anche umano. 

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Molti imprenditori vedono l’intelligenza artificiale come una tecnologia complessa, adatta solo alle grandi aziende con risorse dedicate. Tuttavia, secondo Andrea D’Onofrio, Data & AI Lead presso Microsoft, questa idea è errata. “Qualsiasi azienda, in qualsiasi divisione di business, può adottare questa tecnologia”, spiega, sottolineando come l’AI sia ormai accessibile a ogni settore.

A prescindere dalla dimensione il problema iniziale è lo stesso: la capacità di identificare i problemi aziendali“L’AI non ti dice qual è il tuo problema”, continua D’Onofrio, evidenziando come il successo dipenda da una corretta analisi iniziale. 

Il consulente è più psicologo che tecnico

Quando un consulente entra in azienda per proporre soluzioni basate su intelligenza artificiale, il suo compito principale non è tecnico, ma strategico. Deve innanzitutto comprendere le esigenze aziendali, un processo che spesso richiede più tempo del previsto. “Il nostro lavoro inizia con un workshop di envisioning”, spiega D’Onofrio. Durante queste sessioni, le aziende vengono guidate nell’analisi dei loro processi, individuando i punti deboli e le opportunità di miglioramento.

Questa fase è essenziale perché molti imprenditori non sanno definire chiaramente i problemi. “Capire cosa vogliono non è sempre facile”, ammette D’Onofrio. Il consulente AI, dunque, si trova a svolgere un ruolo simile a quello di uno psicologo aziendale, aiutando i manager a riflettere sulle vere esigenze dell’impresa prima ancora di proporre una soluzione tecnica.

Strategie di implementazione: da dove iniziare?

Un errore comune è cercare di applicare l’AI ovunque senza una strategia chiara. Invece, il metodo più efficace è partire da ambiti ristretti, coinvolgendo le persone più inclini alla tecnologia. “Alcune aziende scelgono di iniziare con pochi dipendenti interessati all’AI”, racconta D’Onofrio. Questo approccio crea un effetto domino: i colleghi vedono i benefici e chiedono di essere coinvolti.

Le applicazioni più diffuse si dividono in due categorie principali: produttività individuale e ottimizzazione dei processi. Nel primo caso, l’AI viene utilizzata per generare testi, analizzare documenti e rispondere rapidamente alle email. Nel secondo, l’obiettivo è migliorare flussi di lavoro complessi, come la gestione della supply chain o l’elaborazione di grandi quantità di dati aziendali.

Un approccio destinato a raffinarsi ulteriormente con il diffondersi degli agenti AI, la buzzword del 205. Strumenti grazie a cui le AI non sono più solo di strumenti che assistono i lavoratori, ma di agenti AI in grado di eseguire compiti autonomamente. “L’AI può lavorare insieme agli umani e ad altri agenti”, spiega D’Onofrio. Questo apre nuove possibilità, in cui più intelligenze artificiali collaborano per ottimizzare i processi aziendali.

Di conseguenza cambia alla base il concetto di software. Secondo Satya Nadella, CEO di Microsoft, il futuro vedrà un mondo senza le attuali applicazioni software, sostituite da sistemi di agenti AI che interagiscono direttamente con i dati aziendali. Questa trasformazione avrà un impatto significativo sulla gestione operativa delle imprese.

PMI italiane e AI: sfida di mentalità, non di risorse

A differenza delle grandi aziende, le PMI italiane spesso percepiscono l’adozione dell’AI come una sfida economica. E sicuramente gli investimenti possono rappresentare una questione importante, ma prima di quello il vero ostacolo è di natura culturale. “Il problema non è il costo della tecnologia, ma il mindset”, afferma D’Onofrio. Molti imprenditori faticano a vedere l’AI come un’opportunità concreta, preferendo mantenere processi tradizionali.

Questa resistenza può essere superata solo attraverso un cambiamento di mentalità, che parte dalla formazione e dall’esperienza diretta. Per restare competitivi bisogna abbracciare l’AI, e per farlo è sicuramente utile superare le barriere psicologiche e fare il primo sforzo per comprendere e analizzare i problemi. 

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