L'industria automobilistica italiana rischia un grave ridimensionamento entro la fine del decennio se non abbraccerà con decisione la transizione elettrica. È quanto emerge da un'analisi approfondita condotta da esperti della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa e del Centro Ricerche Enrico Fermi di Roma, commissionata dall'associazione ambientalista Transport & Environment e dal think tank Ecco. Lo studio, che valuta le conseguenze economiche e sociali di un mancato adeguamento al cambio di paradigma della mobilità, presenta un quadro allarmante per il futuro del settore nel nostro Paese, prevedendo un potenziale dimezzamento della produzione nazionale entro il 2030 in assenza di strategie adeguate.
La ricerca delinea due possibili traiettorie per il futuro dell'automotive italiano, entrambe caratterizzate da significative contrazioni. Nel primo scenario, definito più prudenziale, l'economia mostrerebbe una maggiore capacità di assorbire i lavoratori in esubero, richiedendo quindi un intervento statale più contenuto. Tuttavia, si prevedono comunque perdite produttive per 6,6 miliardi di euro, un calo delle vendite del 56% rispetto al 2020 (equivalente a 4 miliardi) e la scomparsa di circa 66.000 posti di lavoro, di cui il 37% diretti e il 63% indiretti.
Il secondo scenario prospetta una situazione ancora più critica: un crollo della produzione di 6,83 miliardi (-58%), una contrazione delle vendite di 4,25 miliardi, e la perdita di ben 30.000 posti di lavoro diretti – pari al 77,6% rispetto ai livelli del 2020 – oltre a 64.000 impieghi nell'indotto. In questo caso, i costi per la cassa integrazione potrebbero raggiungere 1,8 miliardi di euro, quadruplicando l'importo stimato nel primo scenario. Gli autori dello studio non si limitano a dipingere uno scenario apocalittico, ma propongono concrete linee d'azione per favorire il rilancio del settore in chiave elettrica. Il primo punto riguarda il sostegno alla domanda, attraverso incentivi stabili e mirati esclusivamente ai veicoli a zero emissioni, abbinati a meccanismi premiali che favoriscano la produzione nazionale, simili al modello dell'Ecoscore adottato in altri paesi europei.
Tra le proposte figura anche la sperimentazione del social leasing, un sistema che renderebbe più accessibili i veicoli elettrici alle fasce di popolazione con minore capacità di spesa. Particolare attenzione viene dedicata all'elettrificazione delle flotte aziendali, un settore strategico che potrebbe fungere da volano per l'intera transizione, e allo sviluppo capillare delle infrastrutture di ricarica, da sostenere anche attraverso una revisione della fiscalità energetica.
Una strategia integrata per la competitività industriale
Sul fronte della produzione, lo studio suggerisce l'introduzione di leve fiscali e incentivi focalizzati sulle tecnologie e sui componenti strategici per la mobilità elettrica, con particolare riferimento alle batterie. Gli esperti affrontano anche la questione energetica, proponendo di integrare le misure emergenziali con una strategia strutturale che separi i prezzi dell'energia rinnovabile da quelli del gas, per garantire competitività alla filiera produttiva.
Un aspetto cruciale riguarda la collaborazione tra imprese e istituzioni, da promuovere attraverso politiche di sostegno alla ricerca e sviluppo, utilizzando la leva fiscale come stimolo all'innovazione. Queste misure dovrebbero essere parte di una strategia integrata che favorisca anche l'industrializzazione dei prodotti, consolidando l'intera catena del valore nel nostro Paese.
Le associazioni promotrici dello studio non risparmiano critiche all'attuale governo, accusato di mantenere una posizione fredda nei confronti del Green Deal europeo. Transport & Environment ed Ecco sottolineano come gli obiettivi europei per la riduzione delle emissioni di CO2 nel settore dei trasporti rappresentino la politica più efficace per attrarre investimenti nella mobilità elettrica e pianificare una transizione ordinata. L'Italia, secondo le due organizzazioni, dovrebbe sostenere tali obiettivi per garantire stabilità normativa e certezza degli investimenti all'industria, abbandonando richieste come l'inserimento dei biocarburanti nel regolamento europeo, che rischiano di indebolire o rallentare la transizione verso un futuro sostenibile.