Stellantis taglia 900 posti negli USA per i dazi

Lo stop agli impianti in Canada e Messico blocca compromette gli stabilimenti USA che producono componenti essenziali per il gruppo

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a cura di Tommaso Marcoli

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L'introduzione dei dazi al 25% sulle importazioni automobilistiche voluta da Donald Trump sta già mostrando i suoi primi effetti negativi sul settore americano, colpendo paradossalmente proprio quei lavoratori che il presidente aveva promesso di proteggere. A pochi giorni dall'entrata in vigore delle nuove tariffe, Stellantis ha annunciato il licenziamento temporaneo di 900 dipendenti distribuiti in cinque stabilimenti statunitensi. Una decisione che rappresenta la prima conseguenza tangibile di una politica commerciale che, secondo molti esperti, rischia di danneggiare profondamente l'industria automobilistica americana, fortemente integrata con quella canadese e messicana.

La decisione di Stellantis si inserisce in un contesto di riorganizzazione forzata causata dai nuovi dazi. Il gruppo ha dovuto chiudere temporaneamente l'impianto canadese di Windsor, dove vengono prodotte la Chrysler Pacifica e la nuova Dodge Charger Daytona, per un periodo di due settimane a partire da lunedì prossimo. In Messico, lo stabilimento di Toluca, dedicato alla produzione di modelli come la Jeep Compass e la Wagoneer S, rimarrà fermo per un intero mese.

Queste chiusure hanno avuto un impatto diretto sugli impianti americani che forniscono componenti alle fabbriche canadesi e messicane. I 900 lavoratori temporaneamente licenziati sono distribuiti tra Warren, Sterling Heights e tre strutture a Kokomo, tutti siti dedicati alla produzione di motori, trasmissioni e altre componenti essenziali. Questa situazione evidenzia quanto sia profondamente interconnesso il sistema produttivo nordamericano, con catene di approvvigionamento che attraversano liberamente i confini tra Stati Uniti, Canada e Messico.

Antonio Filosa, responsabile della regione nordamericana di Stellantis, ha cercato di rassicurare i dipendenti con una comunicazione interna: "con le nuove tariffe del settore automobilistico ora in vigore, ci vorrà la nostra resilienza e disciplina collettiva per superare questo momento difficile, ma ci adatteremo rapidamente a questi cambiamenti politici e proteggeremo la nostra azienda".

La situazione attuale è particolarmente ironica se si considera che Trump ha voluto circondarsi proprio di rappresentanti del sindacato UAW durante l'annuncio dei nuovi dazi, presentando la misura come una protezione per i lavoratori americani del settore. La realtà che sta emergendo è diametralmente opposta: i primi a pagare le conseguenze sono proprio quegli operai dell'industria automobilistica che hanno riposto fiducia nelle promesse presidenziali di prosperità economica. Non si può dire che mancassero gli avvertimenti. Nelle settimane precedenti l'entrata in vigore dei dazi, i dirigenti dei principali costruttori americani - Ford, General Motors e Stellantis - avevano ripetutamente cercato di dissuadere Trump dalla sua posizione protezionistica, sottolineando i rischi per l'industria nazionale. Questi appelli sono rimasti inascoltati, e ora il settore si trova a dover affrontare le conseguenze concrete delle nuove tariffe.

Se da un lato l'impatto immediato sembra temporaneo, con licenziamenti a breve termine, dall'altro la complessità delle catene del valore nel settore automotive rende estremamente difficile ripristinare rapidamente i cicli produttivi interrotti. Molti analisti prevedono conseguenze di medio e lungo termine con implicazioni significative, soprattutto se i costruttori non riusciranno ad adattarsi velocemente al nuovo contesto operativo. La situazione attuale solleva interrogativi sulla sostenibilità delle politiche protezionistiche in un settore globalizzato come quello automobilistico. Rimane da vedere quanto tempo impiegheranno Stellantis e l'intera industria americana ad adeguarsi a questo nuovo scenario. Nel frattempo, è probabile che i lavoratori colpiti dai licenziamenti inizino a riversare la loro frustrazione sui costruttori piuttosto che sulle politiche commerciali che hanno innescato questa crisi.

L'ironia della situazione è che questi primi effetti negativi stanno emergendo a una velocità sorprendente, confermando le preoccupazioni espresse da molti esperti del settore. La promessa di proteggere l'industria nazionale attraverso barriere commerciali si sta rapidamente trasformando in una minaccia per gli stessi lavoratori che avrebbero dovuto beneficiarne, evidenziando ancora una volta la complessità delle dinamiche economiche globali e l'impossibilità di isolare un settore così interconnesso come quello automobilistico.

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