L'industria automobilistica italiana è in gravissima crisi, con 25.000 posti di lavoro a rischio che potrebbero raddoppiare nel breve periodo, secondo un'analisi condotta da Alix Partners e rilanciata da Il Corriere della Sera. Il 2024 si chiuderà con meno di 500.000 veicoli prodotti, il peggior risultato dal 1956. Ma quali sono le ragioni di questa totale de-industrializzazione?
La situazione è il risultato di diversi fattori: lo stop ai motori a combustione dal 2035 deciso dall'UE, la concorrenza cinese e il declino della produzione italiana in atto ormai da più di 30 anni. Stellantis, unico grande produttore rimasto in Italia, continua ad avere un ruolo da protagonista assoluto nonostante le tensioni con il Governo.
Il ministro Urso ha cercato di convincere Stellantis a produrre un milione di veicoli in Italia nel 2024, quota minima per salvaguardare l'occupazione, ma senza successo (anzi, la produzione è diminuita). Nel frattempo, le auto elettriche cinesi stanno invadendo il mercato europeo a prezzi competitivi, costringendo l'UE a imporre dazi fino al 35% per i prossimi 5 anni. E sappiamo che questa strategia non può essere una soluzione nel lungo periodo.
Tra gli elementi che potrebbero compromettere la ripresa del settore, c'è il costo del lavoro in Italia. Ma attenzione, perché nel nostro Paese non è il più alto d'Europa: 29 euro l'ora contro i 35 della Francia e i 44 della Germania. In Spagna, dove Stellantis produce già un milione di veicoli l'anno, il costo è di 25 euro l'ora. In quest'ultimo caso, la differenza con l'Italia non è così rilevante. Ci sono poi le aree dell'Est: in Polonia si scende a 12 euro l'ora e in Serbia addirittura a 7 euro l'ora. Paesi dove, tra l'altro, Stellantis ha già degli stabilimenti.
Altro tema di rilevante importanza è la produttività. Quella degli stabilimenti italiani è bassa e ciò è dovuto principalmente al sottoutilizzo degli impianti e alla mancanza di investimenti e non direttamente ai lavoratori. A influire c'è poi - ovviamente - anche l'età media elevata del personale (57 anni a Mirafiori) e il fenomeno dell'assenteismo ma i problemi sono più che altro strutturali.
Il vero problema, però, è il costo dell'energia che incide per il 12% sui costi totali ed è il più alto tra i paesi europei dove opera Stellantis: 103 euro/MWh contro i 53,7 della Spagna. Ma come si può ridurre il prezzo per ritornare competitivi? Una soluzione immediata potrebbe essere l'uso di energie rinnovabili a prezzi slegati da quelli del gas per i settori a rischio delocalizzazione. Altri interventi (esempio il ritorno al nucleare) richiederebbero anni di pianificazione e investimenti. Ma l'industria dell'auto italiana non ha tutto questo tempo a disposizione.
La logistica è un altro punto debole, con costi significativamente più alti rispetto ad altri paesi europei a causa di infrastrutture non adeguate e datate. Servono investimenti mirati in collegamenti ferroviari e stradali, vincolati però alla continuità produttiva degli stabilimenti.
Il rapporto tra il Governo italiano e Stellantis è ai minimi storici e ciò può avere pesanti ripercussioni anche sull'indotto. L'ultima legge di Bilancio ha cancellato i 4,6 miliardi stanziati dal governo Draghi per il settore automotive da spendere entro il 2030, segnalando l'assenza di una strategia di lungo periodo.
Per salvare l'industria automobilistica italiana serve dunque un deciso cambio di passo, con una nuova visione industriale e investimenti mirati. Solo così si potrà garantire un futuro al settore e ai suoi lavoratori, evitando di perdere competenze e capacità produttive cruciali per l'economia del Paese.