Il fallimento della COP29 avrà ripercussioni sull'industria europea dell'auto?

La maggior parte dei grandi inquinatori non sarà presente alla conferenza sul clima in corso in Azerbaijan. È l'inizio di un ripensamento dei temi green?

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a cura di Tommaso Marcoli

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La COP29 è iniziata soltanto da poche ore e il mondo si sta già interrogando sull’assenza dei grandi Paesi inquinatori a questa conferenza internazionale sul clima, un evento che ormai da decenni si pone come piattaforma globale per suggerire e individuare soluzioni alla "crisi climatica". Quest'anno, però, gli equilibri sembrano cambiare: molte delle nazioni responsabili delle maggiori emissioni globali - appunto - come Cina, India e Stati Uniti, hanno annunciato di non voler partecipare a COP29. Ma non solo, persino Ursula von der Leyen, fautrice del Green Deal europeo, non sarà presente a Baku. Questa scelta potrebbe segnare un importante punto di svolta nelle politiche ambientali globali, aprendo - forse - a una fase di ripensamenti, non solo sulla lotta al cambiamento climatico ma anche sul Green Deal europeo. Queste politiche hanno avuto e avranno un impatto significativo sul settore automobilistico. Che sia l'inizio di una revisione dei limiti e delle regole attorno al tema delle automobili elettriche?

Un ripensamento del Green Deal è possibile

L’assenza dei grandi inquinatori potrebbe suggerire un disimpegno globale, mostrando come la crisi climatica non sia più una priorità condivisa da tutti i principali attori. In un contesto mondiale in cui la crisi economica, le tensioni geopolitiche e la competizione per le risorse stanno ridefinendo le necessità nazionali, i Paesi più potenti sembrano voler rivalutare l’urgenza delle azioni climatiche. L'elezione di Donald Trump, in questo senso, potrebbe rappresentare un importante punto di svolta. Il Tycoon si è espresso da sempre con toni ostili a qualsiasi azione globale di prevenzione al cambiamento climatico, anticipando che - nel caso fosse stato rieletto - avrebbe ritirato gli USA dagli accordi di Parigi. Una "spallata" di questo tipo potrebbe avere conseguenza ben più ampie creando - magari - un effetto emulazione. In Europa, la situazione è però più complessa perché di mezzo ci sono gli ambiziosi obiettivi del Green Deal, che hanno già richiesto a diversi comparti industriali investimenti miliardari per poter essere soddisfatti nei modi e nei tempi previsti. Il settore automobilistico è stato certamente il più esposto di tutti e adesso si ritrova al centro di dibattiti e polemiche anche per l'incertezza attorno alle vendite di automobili elettriche. 

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Il Green Deal europeo si pone come una delle strategie più ambiziose al mondo, mirando a rendere il continente neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. Tuttavia, questa visione verde ha mostrato diverse criticità nell'ultimo anno: richiede imponenti investimenti, trasformazioni industriali e cambiamenti sociali che mettono a rischio la competitività stessa dell'Europa. Con COP29 che segna una certa distanza dei principali attori globali, emerge un dubbio: l’Europa si ritroverà da sola a sostenere l’azione climatica?

In assenza di un impegno concertato, il Green Deal potrebbe trovarsi in una situazione di stallo. Le industrie, specialmente quella automobilistica, rischiano di vedere aumentare i costi di produzione e perdere competitività nei confronti dei concorrenti di paesi meno vincolati da regolamentazioni ambientali stringenti, come la Cina (ma anche gli USA). Inoltre, l’inevitabile aumento dei prezzi sui veicoli e sulle tecnologie ecologiche grava sui consumatori europei, già alle prese con l'inflazione e l’incertezza economica. Il costo di un'automobile elettrica - a esempio - è di circa il 20% superiore rispetto a una controparte con motore a combustione di pari segmento.

Gli obblighi del settore automobilistico

L’industria automobilistica europea è anche la più esposta alle conseguenze del Green Deal, essendo stato individuato come uno dei settori maggiormente responsabili delle emissioni di CO₂. Le case automobilistiche hanno già investito decine di miliardi di euro per passare all’elettrificazione entro i tempi previsti dall'Europa (ricordiamo il blocco ai motori a combustione previsto nel 2035), un processo che ha imposto sacrifici economici enormi. Tuttavia, il contesto odierno si è dimostrato di gran lunga più ostile a questo passaggio di quanto i costruttori e le istituzioni si aspettassero. I principali gruppi europei - Volkswagen e Stellantis in primis - stanno affrontando un periodo particolarmente burrascoso con il rischio di dover licenziare migliaia di addetti e di iniziare un percorso di de-industrializzazione nel continente europeo. La domanda - scontata - è quindi fino a che punto questa transizione è realmente sostenibile nei tempi e nei modi previsti dal Green Deal.

Le aziende automobilistiche europee, inoltre, affrontano già una concorrenza agguerrita per quanto riguarda le auto elettriche. I produttori cinesi sono in grado di realizzare veicoli elettrici a prezzi molto più competitivi, grazie a un minore vincolo ambientale e a una forte base manifatturiera. E a competenze specifiche - va detto - sviluppate con molto anticipo rispetto all'Europa. Questa asimmetria rischia di lasciare l’industria europea in una posizione svantaggiata. In questo scenario, un ripensamento del Green Deal, che possa offrire maggiore flessibilità e tempo alle aziende europee, potrebbe essere non solo una scelta prudente ma necessaria.

I rischi di una revisione

Ripensare gli obiettivi climatici del Green Deal potrebbe portare a diversi effetti positivi: dare più tempo alle aziende europee, permettendo loro di riorganizzare la produzione per cercare di trovare un equilibrio tra competitività e sostenibilità; rendere le politiche climatiche più realistiche e attuabili. Quindi, meno ideologiche e più pragmatiche. Tuttavia, ci sono anche dei rischi: l’Europa potrebbe perdere il suo ruolo da protagonista - industriale e politico - nelle tecnologie sostenibili, andando contro gli impegni presi e rischiando di compromettere la sua credibilità a livello internazionale.

Inoltre, una revisione potrebbe ridurre il senso di urgenza per il passaggio a un’economia più verde, allontanando i cittadini dall’idea di un futuro sostenibile e facendo perdere il sostegno dell’opinione pubblica, specialmente se non accompagnata da misure concrete per limitare l’inquinamento. I settori più esposti - come quello dell'auto - rischierebbero un contraccolpo persino superiore perché i miliardi ormai sono stati spesi e, in qualche modo, dovranno ritornare nelle casse del Gruppi. In gioco ci sono decine di migliaia di posti di lavoro. 

Uno scenario in continua evoluzione

La situazione che si prospetta post-COP29 suggerisce che potremmo entrare in una fase di “pragmatismo” in cui gli obiettivi climatici sono messi in discussione alla luce delle nuove esigenze economiche e politiche. L’Europa potrebbe decidere di rallentare e rivedere il Green Deal, ma questo richiederebbe una riflessione profonda su come mantenere un bilanciamento tra leadership ambientale e realtà economiche.

Questa fase di ripensamento rappresenta una sfida per l’Europa, ma anche una possibilità di ricalibrare gli obiettivi in modo più realistico, rispondendo alle esigenze dei settori industriali e dell’economia senza abbandonare del tutto l’idea di una transizione ecologica. In questo equilibrio delicato, il settore automobilistico sarà uno dei protagonisti, un indicatore di quanto l’Europa sia disposta a mantenere i suoi ideali verdi o a cedere parzialmente al realismo economico e geopolitico.

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