Il colosso dell'auto elettrica Tesla si trova in una posizione paradossale: mentre il suo fondatore Elon Musk stringe alleanze con Donald Trump, l'azienda rischia di diventare vittima delle stesse politiche protezionistiche che il presidente intende implementare. In una comunicazione ufficiale indirizzata a Jamieson Greer, rappresentante per il Commercio dell'amministrazione Trump, Tesla ha espresso preoccupazioni concrete riguardo l'impatto dei dazi sulle sue operazioni globali. Le conseguenze potrebbero essere devastanti non solo per il costruttore di auto elettriche, ma per l'intero settore automobilistico americano che opera su scala internazionale.
Un matrimonio di interessi in contraddizione
La posizione di Tesla evidenzia un paradosso difficile da ignorare. L'azienda ha sottolineato come le politiche commerciali aggressive degli Stati Uniti tendano a generare ritorsioni immediate da parte dei paesi colpiti, con aumenti tariffari che colpiscono in modo particolare i veicoli elettrici importati. Una circostanza che mette Tesla, principale esportatore americano di auto elettriche, in una situazione di particolare vulnerabilità.
Il costruttore californiano ha esortato l'amministrazione a valutare con maggiore attenzione "gli impatti a valle" delle misure protezionistiche, riconoscendo l'importanza di un commercio equo ma invitando a considerare anche gli interessi degli esportatori statunitensi. La questione rivela le contraddizioni interne all'alleanza tra Musk e Trump, dove interessi personali e aziendali sembrano seguire traiettorie divergenti.
La fragilità della catena di approvvigionamento
Uno degli aspetti più critici sollevati da Tesla riguarda le "limitazioni nella catena di approvvigionamento nazionale" per componenti essenziali dei veicoli elettrici e delle batterie agli ioni di litio. L'azienda ha lanciato un chiaro avvertimento: anche adottando una strategia aggressiva di localizzazione della produzione, alcuni componenti risulterebbero "difficili o impossibili da reperire negli Stati Uniti".
Questa dichiarazione contraddice la narrativa trumpiana secondo cui la produzione potrebbe essere facilmente riportata sul suolo americano attraverso politiche protezionistiche. Tesla suggerisce invece un approccio più graduale, che consentirebbe alle aziende di adattarsi progressivamente alle nuove normative commerciali, preparandosi "di conseguenza" e garantendo l'adozione di "misure appropriate".
Un coro di preoccupazioni dall'industria automobilistica
Tesla non è sola nelle sue preoccupazioni. Anche Autos Drive America, l'associazione che rappresenta i principali costruttori stranieri operanti negli USA - tra cui Toyota, Volkswagen, BMW, Honda e Hyundai - ha espresso timori simili rivolgendosi al rappresentante per il Commercio. L'imposizione di tariffe doganali su larga scala rischia di paralizzare la produzione negli stabilimenti americani.
"Non possiamo spostare le nostre catene di approvvigionamento da un giorno all'altro", ha sottolineato l'associazione, evidenziando come gli aumenti dei costi porterebbero inevitabilmente a una combinazione di prezzi più elevati per i consumatori, riduzione dei modelli disponibili sul mercato e potenziale chiusura di linee produttive con conseguente perdita di posti di lavoro lungo tutta la filiera.
La richiesta di un approccio equilibrato
Ciò che emerge dalle comunicazioni di Tesla e dell'associazione dei costruttori è una richiesta di maggiore ponderazione nelle scelte di politica commerciale. Sebbene nessuno contesti il diritto dell'amministrazione di proteggere gli interessi commerciali americani, viene sollecitata una valutazione più completa degli effetti collaterali di misure troppo drastiche o implementate senza un adeguato periodo di transizione.
La situazione mette in luce come il protezionismo, spesso presentato come soluzione semplice ai problemi economici, possa in realtà generare complicazioni inattese per le stesse aziende americane che dovrebbe tutelare, soprattutto quelle che hanno sviluppato modelli di business globalizzati come Tesla.
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