Germania e Italia valutano di produrre più armi che auto

Rheinmetall pronta ad acquisire lo stabilimento Volkswagen di Osnabrück per soddisfare la crescente domanda di carri armati

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a cura di Andrea Maiellano

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Il panorama industriale europeo sta vivendo un periodo particolarmente complesso. Mentre il settore automobilistico affronta sfide crescenti, e cali di produzione, l'industria degli armamenti registra un boom senza precedenti, catalizzato dalle tensioni geopolitiche e dall'aumento della spesa militare in tutto il continente. Questa situazione sta portando a un fenomeno di riconversione industriale che vede stabilimenti automobilistici trasformarsi in fabbriche di armi e munizioni. Un processo che solleva interrogativi economici, etici e strategici, in un'Europa che sembra prepararsi a un futuro sempre più militarizzato.

Dai motori alle munizioni

In Germania, il colosso della difesa Rheinmetall sta facendo mosse concrete per espandere la propria capacità produttiva, puntando gli occhi sugli stabilimenti automobilistici in difficoltà. L'azienda ha già avviato la riconversione dei suoi impianti di Berlino e Neuss, storicamente dedicati alla componentistica auto, verso la produzione di equipaggiamenti militari.

Ma l'ambizione va oltre. Armin Papperger, CEO di Rheinmetall, non nasconde l'interesse per acquisire lo stabilimento Volkswagen di Osnabrück, uno dei tre che il gruppo automobilistico tedesco ha in programma di chiudere. Una mossa che avrebbe un forte valore simbolico: dalle utilitarie ai carri armati, dalla mobilità civile a quella militare.

Volkswagen, dal canto suo, non sembra opporsi a questa transizione. Oliver Blume, amministratore delegato del gruppo, ha dichiarato durante la presentazione degli utili 2024 che l'azienda è pronta a fare la sua parte nella corsa europea al riarmo. Un cambiamento di rotta significativo per il gigante dell'automotive.

L'Italia tra opportunità e dibattito etico

Il fenomeno non riguarda solo la Germania. Anche in Italia il dibattito sulla possibile riconversione degli impianti automobilistici verso produzioni militari è in corso, seppur con toni più sfumati. Il nostro paese vanta già una tradizione di collaborazione tra il settore automotive e quello della difesa.

La crisi dell'auto diventa un'opportunità per l'industria bellica.

Un esempio è Iveco Defence Vehicles, divisione specializzata del gruppo Iveco che progetta e produce veicoli militari di successo come il LMV2 Lince, apprezzato a livello internazionale. Inoltre, la recente joint venture tra Rheinmetall e l'italiana Leonardo dimostra come queste sinergie industriali stiano diventando sempre più strategiche.

Storicamente, anche Fiat (ora parte di Stellantis) ha contribuito alla produzione di veicoli blindati e altri equipaggiamenti militari, mantenendo un piede in entrambi i settori industriali. Questa tradizione potrebbe facilitare eventuali conversioni produttive in risposta alla crescente domanda di armamenti.

Tra riconversione e interrogativi etici

La riconversione degli stabilimenti automobilistici in fabbriche di armamenti solleva questioni etiche molto complesse. Da un lato, rappresenta un'opportunità economica per mantenere attivi impianti altrimenti destinati alla chiusura e salvaguardare posti di lavoro. Dall'altro, pone interrogativi etici sulla direzione dell'industria europea.

In Germania, Volkswagen ha tentato anche strade diverse, come le trattative con costruttori cinesi per cedere lo stabilimento di Osnabrück, ma senza successo. Gli altri due impianti a rischio chiusura sono quelli di Dresda ed Emden, simboli di un'industria automobilistica europea in trasformazione.

In Italia, la questione è particolarmente delicata. Il governo e l'industria della difesa stanno valutando le opportunità legate alla produzione di equipaggiamenti militari per missioni internazionali, ma il coinvolgimento diretto delle fabbriche automobilistiche nella produzione di armi richiede un dibattito approfondito e una regolamentazione rigorosa.

I programmi di riconversione industriale hanno una lunga storia nel nostro paese, ma raramente hanno riguardato il passaggio dalla produzione civile a quella militare su larga scala. Questo scenario inedito rappresenta una svolta che potrebbe ridisegnare il paesaggio industriale europeo nei prossimi anni, evidenziando come le crisi settoriali possano trasformarsi in opportunità per industrie in espansione come quella della difesa.

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