Dopo le prime indiscrezioni, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha annunciato la fine degli incentivi auto per il 2025 e gli anni successivi durante un'interrogazione parlamentare a Palazzo Madama. La decisione è motivata dalla scarsa efficacia dei bonus sulla produzione nazionale.
Il governo intende concentrare le risorse sugli investimenti anziché sui contributi all'acquisto. Urso ha firmato un provvedimento che prevede l'apertura di un nuovo sportello per i contratti di sviluppo dedicato alle filiere strategiche, incluso il settore auto, con una dotazione di 500 milioni di euro potenzialmente incrementabile nel biennio 2025-2027.
Il ministro ha inoltre sottolineato la necessità di un intervento europeo per rivedere le regole del Green Deal, proponendo di anticipare al 2025 la clausola di revisione del regolamento sulle emissioni di CO2 per i veicoli leggeri. L'obiettivo è mantenere la decarbonizzazione al 2035 ma con un approccio di neutralità tecnologica, includendo e-fuel e biocarburanti oltre alle auto elettriche.
La decisione ha suscitato reazioni contrastanti. Andrea Cardinali, direttore generale dell'Unrae, ha criticato la scelta affermando che l'Ecobonus serviva ancora per raggiungere obiettivi di decarbonizzazione e supporto alle fasce più deboli. Ha inoltre contestato l'idea che incentivare la domanda potesse sostenere l'offerta nazionale, sottolineando che il made in Italy rappresenta solo il 12% del mercato nonostante abbia assorbito circa il 20% degli incentivi.
La fine degli incentivi potrebbe avere ripercussioni significative sul mercato automobilistico italiano, in particolare per quanto riguarda la diffusione di veicoli a basse emissioni. Senza bonus, i consumatori potrebbero essere meno incentivati all'acquisto di auto elettriche o ibride, rallentando potenzialmente la transizione ecologica nel settore dei trasporti.
D'altra parte, la nuova strategia del governo di puntare sugli investimenti potrebbe favorire l'innovazione e la competitività dell'industria automobilistica italiana nel lungo periodo. Resta da vedere come il settore si adatterà a questo cambio di paradigma e quali saranno gli effetti concreti sulle vendite e sulla produzione nazionale.