Presto Mark Zuckerberg potrebbe non essere più il presidente del consiglio di amministrazione di Facebook? Al momento è solo un'ipotesi ma, come riportato da Business Insider, il prossimo 30 maggio durante l'assemblea degli azionisti alcuni gruppi degli stessi sembrano decisi a dar battaglia nell'intento di sbarazzarsi dell'ingombrante ex ragazzo prodigio, visto come principale responsabile dell'ultimo anno di catastrofi tra scandali dati e processi mediatici.
Inutile dire che, per quante colpe possa avere il buon Mark, le cose non stanno esattamente così e gli scenari sono molto più complessi, ma la sensazione è che diversi azionisti vogliano un capro espiatorio da sacrificare all'opinione pubblica per ripristinare il "buon nome" del social network e fermare le continue critiche, le stangate delle autorità nazionali e l'emorragia di iscritti. Probabilmente alla fine nelle politiche dell'azienda cambierebbe davvero poco, ma la mossa potrebbe tranquillizzare molti utenti e di conseguenza i mercati, rilanciando il social.
Allo stato attuale però la cosa non sembra fattibile in quanto Zuckerberg detiene oltre il 75% delle azioni di classe B, che hanno un potere di voto pari a 10 volte quello delle azioni di classe A: in pratica al momento qualsiasi tentativo di destituirlo sarebbe destinato al fallimento, non raggiungendo i voti necessari. Gli azionisti però non sembrano intenzionati ad arrendersi e, per questo, stanno pensando di cambiare prima la struttura azionaria della società a doppia classe, in modo da scardinare il meccanismo che blinda di fatto la posizione di Zuckerberg.
Insomma la situazione è assai tesa, e anche se l'attuale presidente dovesse riuscire a scamparla nuovamente non è destinata a migliorare, anzi. Del resto se i numeri del social non sembrano essere in crisi, la sua credibilità è in caduta libera e per ogni tentativo a livello di comunicazione fatto per "imbiancare il sepolcro" nuove notizie di bug, perdite dati e condotte discutibili tornano a infangare l'immagine del social. Una situazione che in futuro sempre più azionisti potrebbero non essere più disposti a tollerare.