Solo un giallista di fama internazionale come John Grisham sarebbe riuscito a filare un intreccio così ingarbugliato come il caso Huawei. Ieri il Dipartimento di Giustizia statunitense ha inviato al Canada la richiesta di estradizione per la direttrice finanziaria dell’azienda Meng Wanzhou - arrestata il primo dicembre e rilasciata su cauzione l’11. Il castello di accuse tira in ballo il furto di segreti industriali, ostacolo alla giustizia ed evasione delle sanzioni economiche imposte all’Iran.
"Huawei è delusa nell'apprendere le accuse mosse contro l'azienda oggi. Dopo l'arresto della signora Meng, l’azienda ha cercato l'opportunità di discutere con il Dipartimento di Giustizia l'indagine promossa dal distretto orientale di New York, ma la richiesta è stata respinta senza spiegazione", si legge nella nota ufficiale dell'azienda.
Le responsabilità di Wanzhou sembrano un mix di implicazioni dirette e indirette. La manager sconta probabilmente non solo il suo ruolo di Chief Financial Officer, quindi responsabile della strategia finanziaria del colosso, ma anche quello di figlia del fondatore Ren Zhengfei.
Lo scenario è complicato dal fatto che Washington ha in atto un braccio di ferro commerciale con la Cina e che diversi Dipartimenti di sicurezza sono convinti che l’Esercito Popolare di Liberazione sia responsabile di operazioni di cyber-spionaggio in larga scala. Huawei, al netto delle sue eventuali responsabilità, paga il fatto di essere leader nel mercato delle telecomunicazioni e quindi un presunto cavallo di Troia della Cina.
La Procura statunitense ha basato il caso su molti documenti interni circolati fra i dirigenti dell’azienda. Alcuni risalgono ai tempi della querelle con T-Mobile. Nel maggio del 2017, come ricorda The New York Times, Huawei è stata riconosciuta colpevole di aver sottratto tecnologie robotiche proprietarie inerenti il testing in sede produttiva degli smartphone. Per altro con l’aggravante di aver concesso bonus ai dirigenti responsabili dell’azione.
"Le asserzioni contenute nell’indagine su segreti commerciali promossa dal distretto occidentale di Washington sono già state oggetto di una causa civile, risolta dalle parti dopo che una giuria di Seattle non ha riscontrato alcun danno né condotta volontaria e maliziosa riguardo all’accusa di appropriazione di segreti commerciali", ha puntualizzato Huawei.
Altri documenti, come spiega nei dettagli il quotidiano newyorchese, confermerebbero un’elaborata frode bancaria che avrebbe permesso l’aggiramento dell’embargo imposto all’Iran tramite la sussidiaria Skycom. Inoltre, sempre secondo le carte, Huawei si sarebbe prodigata nel cancellare ogni prova e trasferire al di fuori dei confini statunitensi ogni manager coinvolto.
"La Società nega che essa stessa o la sua controllata o affiliata abbiano commesso alcuna delle supposte violazioni della legge statunitense riportate in ciascuna delle accuse, non è a conoscenza di alcuna violazione da parte della signora Meng, e ritiene che i tribunali statunitensi alla fine giungeranno alla stessa conclusione", ha ricordato Huawei.
Infine c’è la questione della sicurezza nazionale e il possibile legame tra il fondatore Ren Zhengfei e l’Esercito Popolare, ma in questo caso l’unica certezza è la vasta operazione di moral suasion che sta attuando Washington nei confronti dei Paesi alleati per escludere l’azienda dal mercato delle reti di telecomunicazioni. Il direttore dell’FBI ha dichiarato che "l’entità di queste accuse fa capire quanto seriamente l’agenzia stia prendendo questa minaccia".
"Oggi dovrebbe servire come monito che non tollereremo business che violano la nostra giustizia, la ostacolano o mettono a repentaglio il benessere nazionale ed economico".
A questo punto l’ultima parola passa alla Giustizia Canadese, che dovrà decidere se procedere all'estradizione oppure trovare una soluzione giuridica o politica per consentire a Meng Wanzhou di ritornare nel suo Paese.