Più che i razzi tradizionali a propellente, un giorno potrebbero essere i razzi con mini reattori a fusione nucleare a portare l'uomo ad esplorare altri pianeti del Sistema Solare e persino altre stelle. Ad esserne convinta è un'azienda di volo spaziale finanziata dalla NASA, secondo cui una tecnologia a fusione potrebbe tornare utile anche per eventuali missioni mirate a deviare asteroidi potenzialmente pericolosi, o per la costruzione di basi con equipaggio sulla Luna e su Marte.
Come noto i razzi attualmente in uso hanno dei limiti dovuti alla necessità di bruciare grandi quantità di carburante, per questo motivo gli scienziati stanno da tempo esplorando possibili alternative. Una delle opzioni al vaglio è quella dei motori ionici, come quelli a effetto Hall di cui abbiamo parlato in molte occasioni.
Una seconda alternativa è quella di usare razzi che sfruttino le stesse reazioni nucleari che alimentano le stelle. Per intenderci si parla di una versione in scala molto ridotta rispetto al reattore a fusione nucleare ITER in costruzione in Francia. Il primo problema da affrontate in questo caso è che finora nessuno ha costruito un reattore a fusione capace di generare più energia di quanta ne consumi. Il secondo, piuttosto ovvio, è che i reattori a fusione in fase di sviluppo sono enormi, impossibili da caricare a bordo di un razzo.
La svolta è costituita dal fatto che la NASA sta finanziando ricerche per la costruzione di razzi alimentati da piccoli reattori a fusione nucleare, che consentirebbero "davvero interessanti missioni robotiche e umane verso Marte e Plutone, e potenzialmente anche di raggiungere lo Spazio interstellare", come ha spiegato Michael Paluszek, presidente del Princeton Satellite Systems di Plainsboro (New Jersey), dove sono in corso gli studi.
La differenza fra i grandi reattori a fusione in fase di sviluppo e quelli a scala ridotta per i razzi è che i primi sono costruiti per generare centinaia di megawatt di energia. I modelli allo studio di Paluszek e colleghi dovrebbero invece produrre solo una dozzina di megawatt o giù di lì. Una potenza sufficiente per gli obiettivi preposti, e il reattore dovrebbe essere di conseguenza "più piccolo e più leggero, quindi più facile da lanciare nello Spazio".
Altro vantaggio non indifferente riguarda i costi da affrontare: secondo Paluszek questi piccoli reattori a fusione sarebbero molto più economici rispetto ai dispositivi più grandi: per il prototipo si parla di circa 20 milioni di dollari, contro i 20 miliardi necessari per gli esperimenti di grande dimensione. Ecco perché la NASA ha già finanziato tre borse di studio all'azienda statunitense.
L'obiettivo per queste unità di fusione è quello di ottenere circa 1 kilowatt di potenza per chilogrammo di massa. Ne segue che un razzo a fusione con una potenza di 10 megawatt peserebbe circa 10 tonnellate, e "probabilmente avrebbe un diametro di 1,5 metri e una lunghezza compresa fra 4 e 8 metri" spiega Paluszek.
Quanto al funzionamento, ricordiamo che la fusione nucleare richiede temperature molto alte e pressioni talmente elevate da forzare gli atomi alla fusione, trasformando parte della loro massa in plasma. I reattori a fusione allo sviluppo presso Princeton Satellite Systems sfruttano onde radio a bassa frequenza per riscaldare una miscela di deuterio e di elio-3, e campi magnetici per confinare il plasma generato all'interno di un anello. Da qui una parte viene convogliata verso l'ugello del razzo a fusione per generare la spinta; Paluszek spiega che con questo metodo "siamo in grado di ottenere velocità di scarico molto elevate, fino a circa 25.000 chilometri al secondo", che rapportata con la massa del razzo stesso consente di spingere una navicella spaziale a velocità ragguardevoli.
Prendiamo per esempio una missione con equipaggio di andata e ritorno per Marte. Rispetto ai due anni circa richiesti con le tecnologie odierne, una soluzione a fusione composta da sei razzi da 5 megawatt ciascuno consentirebbe di tagliare la durata a 310 giorni. Oltre tutto il vantaggio sui tempi di percorrenza consentirebbe anche una riduzione dei rischi dell'esposizione alle radiazioni, e abbasserebbe drasticamente il fabbisogno di cibo, acqua e altri rifornimenti da caricare a bordo.
A parte le missioni con equipaggio, i reattori a fusione potrebbero anche essere la svolta per missioni scientifiche più efficienti. Prendiamo ad esempio la missione New Horizons della NASA: ha impiegato più di nove anni per raggiungere Plutone e una volta lì aveva a disposizione poco più di 200 watt di potenza per gli strumenti di bordo. Un razzo a fusione da 1 megawatt avrebbe permesso alla missione di raggiungere Plutone in quattro anni, e messo a disposizione degli strumenti 2 milioni di watt di potenza (quindi si potrebbero impiegare strumenti molto più sofisticati e tecnologie molto più all'avanguardia).
Passando al caso degli asteroidi, un razzo a fusione da 10 megawatt potrebbe raggiungere in 200 giorni un asteroide di circa 160 metri in possibile rotta di collisione con la Terra. Un viaggio interstellare verso la stella più vicina a noi, Alpha Centauri, potrebbe avvenire in circa 500 - 700 anni.
Insomma la prospettiva sembra allettante; ovviamente realizzarla non è per nulla scontato e non mancano i problemi. Si parla di razzi di questo tipo fin dal 1960, ma non si era trovato un modo per confinare stabilmente il plasma. Paluszek spiega che una decina d'anni fa il progettista di reattori Sam Cohen realizzò un progetto di campo magnetico che potrebbe risolvere il problema. Ovviamente questo è tutto da verificare.
A parte questo al momento il progetto di Princeton Satellite Systems è da perfezionare sotto diversi aspetti. Il primo è che le onde radio non penetrano in profondità nel plasma, quindi per generare grandi quantità di energia bisogna fare affidamento su più reattori. C'è poi la questione delle radiazioni emesse dal sistema, che devono essere adeguatamente schermate. Non ultimo, l'elio-3 è raro sulla Terra e per crearlo occorrono reattori nucleari. Un'azienda californiana, Tri Alpha Energy di Foothill Ranch (California) sta pensando di fondere atomi di boro e protoni per risolvere quest'ultima questione (prendendo spunto da un esperimento russo del 2004 in cui si produsse una reazione di fusione nucleare innescata dal confinamento laser appunto tra protoni e atomi di boro, senza emissione di neutroni e particelle radioattive).
L'obiettivo di Princeton Satellite Systems è di dimostrare entro il 2019 - 2020 che il loro progetto funziona: restate sintonizzati per gli aggiornamenti.
Se avete il pallino dello Spazio non può mancarvi la Maglietta Nerd Cool NASA!