In molti articoli di recente abbiamo analizzato il lato più violento e spettacolare del Cosmo, che se osservato con attenzione si rivela essere ben diverso dalla placida e apparente tranquillità di cui possiamo godere su questo piccolo pianeta chiamato Terra.
Spesso i fenomeni più violenti ed energetici sono anche i più misteriosi, e per chi è appassionato di Spazio, o per chi lavora in campo astronomico, ovviamente, i più intriganti. Tentare di capire con cosa si ha a che fare, a partire da una manciata di pixel, rappresenta sempre una sfida nuova e avvincente.
È proprio di questi giorni l'annuncio di una scoperta sensazionale effettuata con il telescopio spaziale Chandra, operante nella banda X. Il fotografo spaziale della NASA ha infatti osservato un evento strano e mai osservato prima d'ora, altamente energetico ed esplosivo e che definirebbe una classe tutta nuova di quelli che in gergo tecnico vengono definiti "transienti". Con questo termine gli astronomi si riferiscono a fenomeni estremamente energetici e molto rapidi nel tempo.
Solitamente si tratta di eventi esplosivi e distruttivi di varia natura, che raggiungono rapidamente un picco di emissione, per poi andare a scemare gradualmente. Per questo motivo sono anche molto difficili da osservare, in quanto poco prevedibili sia dal punto di vista temporale che per quanto concerne la posizione.
Difatti, quando ne viene osservato uno, parte il cosiddetto sistema del "target of opportunity": se il fenomeno viene considerato di grande rilevanza scientifica, può accadere che ci sia la necessità di osservarlo nel modo più rapido possibile con tutti gli strumenti in quel momento a disposizione, a prescindere da cosa stessero facendo. Come potrete immaginare questo genera somma gioia negli astronomi impegnati a lavorare con un certo telescopio, magari dopo mesi di preparazione, ai quali lo strumento viene letteralmente requisito e puntato sul bersaglio transiente. Probabilmente l'Universo non è grande abbastanza per contenere tutte le imprecazioni e maledizioni che sono state lanciate in queste occasioni, ma questa è un'altra storia.
Tornando alla scoperta di Chandra, il telescopio spaziale ha osservato una sorgente di raggi X all'interno del Chandra Deep Field-South (CDF-S), una porzione di cielo in cui sono state osservate le più distanti sorgenti X mai rilevate finora. L'oggetto in questione non risultava essere un emettitore di raggi X fino all'ottobre 2014 quando, improvvisamente, la sua luminosità è aumentata di 1000 volte in poche ore.
Attraverso ore e ore di osservazione effettuate utilizzando i telescopi Hubble e Spitzer gli astronomi hanno scoperto che l'evento ha avuto luogo in una piccola e debole galassia a circa 10,7 miliardi di anni luce da noi, generando per alcuni minuti un'energia pari a più di mille volte quella prodotta da tutte le stelle della galassia stessa.
Il problema sta nel fatto che le proprietà mostrate da questo evento non coincidono con quelle tipiche di alcun fenomeno noto, in quanto l'analisi della curva di luce costituisce, solitamente, una firma ben precisa, che permette di comprendere molte caratteristiche fisiche e spesso la natura della sorgente; in questo caso invece ciò non è stato possibile. I ricercatori tuttavia sono giunti alla conclusione che deve essersi trattato di un qualche evento altamente distruttivo.
Le ipotesi al momento si concentrano sulla possibilità di un Gamma Ray Burst (GRB), ovvero un lampo di raggi gamma che di solito ha origine da un getto originatosi lungo l'asse polare a causa di una supernova particolarmente energetica o della coalescenza di oggetti compatti come stelle di neutroni e buchi neri.
Purtroppo in questo caso manca la rilevazione del lampo gamma, e in ogni caso il picco della curva di luce risulta essere più debole di qualunque altro GRB conosciuto. Ciò potrebbe trovare spiegazione nel fatto che l'asse polare non puntava nella direzione della Terra, per cui soltanto la radiazione X secondaria all'evento sarebbe risultata rilevabile; oppure che la sorgente si trovasse alle spalle di una piccola e debole galassia, che ne avrebbe parzialmente oscurato la visuale.
Altre ipotesi riguardano la distruzione completa di un oggetto compatto come una nana bianca da parte di un buco nero di massa intermedia. Ricordiamo che normalmente i buchi neri si distinguono tra quelli con origine stellare, con una massa di tre o quattro volte quella del Sole, e quelli supermassicci, che si trovano al centro delle galassie e sono caratterizzati da una massa pari a milioni di volte quella del Sole (con origine ben diversa, dovuta probabilmente al collasso di una grande nube o a un lento accrescimento).
Tuttavia vi sono alcune evidenze che mostrerebbero la possibile, anche se non ancora dimostrata, esistenza di buchi neri di massa intermedia, tra le decine e le centinaia di masse solari. Questi strani oggetti potrebbero formarsi attraverso l'accrescimento di buchi neri stellari oppure dalla collisione di stelle in particolari zone caratterizzate da un'elevatissima densità della popolazione stellare.
Questa seconda prospettiva ovviamente rende doppiamente interessante la scoperta. Nell'articolo pubblicato al momento su arXiv, e già accettato per la pubblicazione sul Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (MNRAS), vengono avanzate anche ulteriori possibili spiegazioni, come ad esempio un qualche particolare tipo di supernova o un flare incredibilmente energetico da una stella di tipo M, ma in ogni caso nessuna delle ipotesi sembra spiegare pienamente i dati osservati.
In effetti si tratta di un campo della ricerca astronomica, quello dello studio dei transienti rapidamente variabili (meno di qualche giorno, per intenderci, quindi ore o poco più), ancora relativamente inesplorato, e per i quali la strumentazione in nostro possesso non è in effetti sufficiente. Progressi in tal senso potrebbero aversi quando entrerà in funzione il telescopio LSST, ma rimaniamo in ogni caso nel campo di una variabilità compresa tra uno/due giorni. Al di sotto c'è un mondo, o per meglio dire un Universo, che potrebbe riservare ancora nuove, esaltanti sorprese.
Antonio D'Isanto è dottorando in astronomia presso l'Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. La sua attività di ricerca si basa sulla cosiddetta astroinformatica, ovvero l'applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si occupa inoltre di reti neurali, deep learning e tecnologie di intelligenza artificiale ed ha un forte interesse per la divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Siamo felici di annunciarvi che collabora con Tom's Hardware per la produzione di contenuti scientifici.