Philip K. Dick's Electric Dreams - Adattare l'inadattabile

Cavalcando l'onda del successo di Black Mirror, nasce una serie Tv antologica basata sui racconti del famosissimo scrittore statunitense. Purtroppo né i grandi mezzi della produzione né i tanti attori famosi coinvolti elevano il prodotto dalla mediocrità narrativa.

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a cura di Andrea Balena

Il nome di Philip K. Dick ha cominciato ad apparire dopo la sua morte improvvisa nel marzo del 1982, appena tre mesi prima che comparisse nei cinema quel Blade Runner che ne ha consacrato l'operato letterario nei decenni successivi. La sua fama è nata proprio grazie al massiccio lavoro di Hollywood nell'adattare le sue opere sul grande schermo, con risultati più o meno riusciti, sempre alterando la storia di partenza per renderla più appetibile e avvincente per il pubblico.

Oggi, a più di trent'anni dalla sua scomparsa, la critica è unanime nel considerare Dick uno degli scrittori di fantascienza più all'avanguardia del secolo scorso, individuando nella sua vasta bibliografia di romanzi e racconti molte delle intuizioni e i semi dell'evoluzione del genere. Le sue storie hanno infatti segnato uno spartiacque fra la vecchia fantascienza "esteriore", dove si analizzavano grandi e complessi futuri spaziali e positivisti, a una di stampo più "intimo", nella quale si analizzavano più la fragile psiche umana in relazione a nuove tecnologie e situazioni avverse. Senza Dick oggi non esisterebbero il famosissimo e discusso Black Mirror e tante altre correnti della fantascienza.

Paradossalmente, è proprio a quest'ultima serie che Electric Dreams sembra volersi rifare, adottando la vasta raccolta dei 144 racconti lasciati dall'autore alla struttura di una serie antologica. Oggi il lavoro dell'autore si è spostato sul piccolo schermo (The Man in the High Castle) e piuttosto che operare liberi rimaneggiamenti, gli showrunner preferiscono trattare fedelmente la storia senza grandi stravolgimenti. In questo caso possiamo dire che il lavoro della sceneggiatura è stato poco incisivo nell'adattamento delle dieci storie scelte per la prima stagione.

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Sin dal suo annuncio, Electric Dreams si è subito caratterizzato per essere una grande produzione nell'ambiente televisivo, un lavoro congiunto di scrittori americani e britannici, grandi distributori come Channel 4 (l'emittente di Black Mirror prima dell'acquisizione di Netflix) per l'Inghilterra e Amazon Prime Video per la release internazionale. Al progetto si sono pure interessati direttamente alcuni importanti attori quali Bryan Cranston (Breaking Bad) e Steve Buscemi (Boardwalk Empire, Le Iene). Ma questo enorme sforzo sembra essersi scontrato con il fatto che oggi molti dei racconti di Dick appaiono datati, sempliciotti e appartenenti a una visione del mondo bipolare, quella della Guerra Fredda ormai terminata da un pezzo.

Come se non bastasse, la soluzione divide et impera decisa dalla produzione si è dimostrata la sua debolezza più grande: affidare ogni episodio a sceneggiatori e registi diversi ha impedito alla serie di sviluppare una sua cifra stilistica o un fil rouge, con ogni puntata che lavora su aspetti narrativi diversi che mal si incastrano l'un l'altro e che in molti casi non riescono ad adattare in maniera credibile le tematiche originali del racconto. A Father Thing ad esempio lavora su una storia classicissima della fantascienza, l'invasione aliena degli ultracorpi, senza particolari spunti narrativi e uno stile che sicuramente abbiamo già visto.

Bryan Cranston Philip K Dicks Electric Dreams 2017

Fortunatamente un paio di puntate riescono a dire qualcosa di nuovo o comunque a sollevarsi dalla mediocrità generale. È il caso di Real Life, che lavora in maniera interessante sul tema della realtà virtuale come una fuga dai problemi della vita vera, fino a non saperla distinguere più dalla finzione. Oppure di Autofac, che gioca con uno degli archetipi più famosi e reinterpretati dallo scrittore statunitense, ossia il robot che ignora la sua natura artificiale, questa volta applicato in un contesto post apocalittico causato dal blocco USA-URSS dove la minaccia più grande risiede in una fabbrica senziente che continua a produrre ed a inquinare nonostante non esistano più consumatori.

Anche Human Is riesce ad essere una storia molto godibile, nonostante la sua estrema classicità e prevedibilità. Tutto grazie alla solita, magistrale interpretazione di Cranston, l'unico nel cast capace di risultare credibile nel mostrare un cambiamento netto nella fisicità e mimica. Non altrettanto positiva è stata la puntata gestita dal tarantiniano Buscemi, che a questo giro risulta ingessato e perennemente distaccato dalla vicenda di Crazy Diamond, in assoluto la peggiore della stagione per tempi e personaggi.

Un'altra area in cui lo show fallisce negli intenti è riportare in modo credibile la seconda anima dei racconti dickiani, quella più mistica e sovrannaturale, fino ad oggi ritenuti difficilissimi da adattare vista anche l'estrema brevità di alcuni testi. Storie come The Impossible Planet e The Commuter perdono il fascino che hanno sulla carta appena ne viene ampliata l'idea di base, e con finali che spesso ti lasciano l'amaro in bocca per la loro incompletezza o presunzione.

Risulta difficile dare un parere finale a questa prima stagione di Electric Dreams. Lo show risulterebbe "appena sufficiente" grazie soprattutto alle ottime rese visive e la cura riposta nell'estetica di ogni storia, inficiate però dalla estrema divisione autoriale degli sceneggiatori, che per giunta hanno lavorato su materiali originali non esaltanti o difficili da rendere su schermo. A peggiorare le cose c'è il fatto che Amazon Prime Video, in maniera furba, ha cambiato l'ordine degli episodi, proponendo fin da subito gli episodi meglio riusciti per lasciare i peggiori e criticabili come fanalini di coda. Un'occasione sprecata.


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