Negli ultimi mesi le aziende del settore tecnologico hanno fatto notizia per una ragione ben poco entusiasmante, vale a dire il licenziamento di centinaia, a volte migliaia di persone. Eventi che raccontati separatamente sono tremendi ma possono sembrare tutto sommato “normali”, ma il numero totale è agghiacciante: solo nel 2023 sono stati persi circa 168.000 posti di lavoro.
Per la maggior parte si tratta di impieghi negli Stati Uniti, ma parliamo di aziende come Google, Amazon, Microsoft, Yahoo, Zoom e tante altre multinazionali che hanno dipendenti in tutto il mondo. Su Techcrunch c’è una lista dettagliata di tutti i licenziamenti.
Quando un’azienda licenzia, il copione è bene o male sempre quello: c’è crisi e bisogna trovare un modo per mantenere la redditività. A cui si aggiunge il fatto che negli anni scorsi molte di queste aziende sono cresciute forse troppo in fretta, e in più di un caso, forse, l’entusiasmo ha portato a fare troppe assunzioni, magari a fare qualche promessa di troppo.
I due anni della pandemia sono stati gli un bengodi per alcune aziende, ma qualcuno ha fatto l’errore di non capire che si trattava di una cosa temporanea. L’incapacità di fare previsioni a breve termine (parliamo di 2-3 anni) è senz’altro una concausa dei licenziamenti del 2023, che a maggio hanno già superato in numero quelli del 2022.
Tra le aziende coinvolte in questo fenomeno, si possono citare Linkedin (716), Shopify (oltre 2.000), Neato Robotics (circa 100), Dropbox (500), Amazon (36.000), Meta (21.000), Apple (una “piccola cifra” non specificata), Netflix (non specificato), GitHub (100), Disney (7.000), Accenture (19.000), Twitch (400), Microsoft (20.000), Twitter (200+), Yahoo (1.600), Zoom (1.300), Dell (6.650), Pinterest (150), Groupon (500), PayPal (2.000), Spotify (600), Alphabet (12.000) e altri ancora.
Immagine di copertina: leremy