Diversi governi europei stanno lavorando al di fuori della legge, collaborando con aziende private che sviluppano software di spionaggio; allo stesso tempo, queste società starebbero sfruttando legami politici per operare ai margini della legalità e per vendere i loro prodotti a governi autoritari e repressivi.
O almeno questo è quanto suggerisce una recente indagine portata avanti dal Security Lab di Amnesty International, che punta il riflettore sul nuovo software Predator. Un caso che fa sembrare lo scandalo Pegasus un problema da poco. All’indagine ha collaborato il network European Investigative Collaborations, una rete di media specializzati in inchieste giornalistiche.
Per l’Italia partecipa il giornale Domani - che ricorda in particolare come il governo francese abbia incassato milioni dalla compravendita di questi strumenti software. In qualche modo è coinvolta anche l’Italia, sembra marginalmente, visto che l’Egitto ha usato Predator per spiare anche Patrick Zacki.
Donncha Ó Cearbhaill di Amnesty International trova infatti che il caso Predator è anche peggio proprio perché parliamo di aziende con sede in territorio europeo (principalmente Francia, Irlanda e Grecia) e che di conseguenza dovrebbero attendersi standard più ristretti.
Predator Files rivela che le aziende europee hanno finanziato e venduto strumenti di sorveglianza informatica ai dittatori per oltre un decennio, con la complicità passiva di molti governi europei. Il picco preliminare degli eccessi di sorveglianza è stato raggiunto più di recente dalla Intellexa Alliance, un'associazione di diverse aziende europee attraverso la quale il software Predator è stato fornito a Stati autoritari. Sono stati presi di mira attivisti, giornalisti e accademici, oltre a funzionari europei e statunitensi.
"L'indagine Predator Files dimostra ciò che temiamo da tempo: che i prodotti di sorveglianza altamente invasivi vengono commercializzati su scala quasi industriale e sono liberi di operare nell'ombra senza controllo e senza una vera responsabilità", ha dichiarato Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International.
In particolare, Predator è in grado di sottrarre dati dal dispositivo, tipicamente uno smartphone, senza lasciare traccia. Per l’infezione è sufficiente indurre la vittima a cliccare su un link confezionato apposta. Amnesty International punta il riflettore sulla Intellexa Alliance, un gruppo di aziende del settore che, secondo la ONG, non rispetta le regole europee.
Solo recentemente tuttavia sono emerse prove secondo cui circa una trentina di governi al mondo usano Predator per i loro scopi. Tra di essi figurano Sudan, gli Emirati Arabi Uniti, il Kazakistan, l'Egitto e il Vietnam, ma anche democrazie europee come la Svizzera, l'Austria e la Germania.
L'Alleanza Intellexa, che riunisce diverse aziende del settore, afferma di aver "rispettato scrupolosamente i regolamenti sulle esportazioni", pur riconoscendo l'instaurazione di "relazioni commerciali con Paesi tutt'altro che perfetti in termini di stato di diritto", ha riferito Amnesty.
"Come dimostra l'indagine sui Predator Files, le autorità di regolamentazione dell'UE non sono in grado o non sono disposte a controllare e prevenire i danni ai diritti umani in relazione all'esportazione di spyware", ha dichiarato ancora Callamard. Rincara poi la dose aggiungendo che "l'abuso dei diritti umani è una caratteristica dell'industria, non un difetto".
In effetti, nel 2022 è stata istituita una commissione d’inchiesta in senso al Parlamento Europeo, ma gli esperti chiamati a lavorarci hanno lamentato sin da subito una mancanza di volontà politica affinché l’inchiesta affinché si arrivasse a una vera risposta unitaria.
Amnesty International chiede di conseguenza che la produzione e la vendita di questi strumenti sia totalmente vietata. Una richiesta che difficilmente troverà ascolto nei corridoi di Bruxelles.
Copertina: palinchak