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L'impatto con il mirino/telemetro

Recensione - Test della nuova Leica M, che è anche un'occasione per approfondire il mondo Leica e la fotografia a telemetro.

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Avatar di Tom's Hardware

a cura di Tom's Hardware

@Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 23/07/2013 alle 08:00 - Aggiornato il 07/04/2015 alle 10:19
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L'impatto con il mirino/telemetro

Il primo impatto con il mirino/telemetro è piuttosto ... scioccante. Molto francamente, si fatica a mettere a fuoco correttamente, e molte immagini delle prime serie risultano da buttare. Questa, per inciso, è l'impressione di chi è abbastanza "maturo" da aver utilizzato in passato reflex a messa a fuoco manuale. Quanti hanno avuto un'esperienza simile, a proposito, non credano di sapere cosa li aspetta con una Leica M perché, a differenza di molte vecchie reflex a messa fuoco manuale, qui manca lo stigmometro, cioè quel simpatico oggetto che divideva la parte centrale dell'immagine in due metà da far coincidere. Per chi non ha mai visto una reflex manuale, diciamo che l'operazione era simile a tagliare una foto in due e poi nel cercare di ricomporla avvicinando i margini. 

Nel caso di Leica, il telemetro è implementato nella sua versione più "pura": un quadratino al centro dell'immagine mostra due immagini della stessa scena sovrapposte tra loro. Lo scopo è sempre quello di far coincidere perfettamente le due immagini, ma in questo caso il gioco somiglia più a sovrapporre i contorni di un'immagine disegnata su un lucido a una seconda immagine sottostante. Un poco più difficile.

Il fatto che la visione non sia TTL (attraverso l'obiettivo), significa poi che la visione attraverso il mirino non cambia con la focale impostata, né esiste una dispositivo elettronico integrato nel mirino che compensa (almeno parzialmente), come ad esempio succede per la Fujifilm X-Pro1. In questo caso il mirino è puramente ottico, e l'approccio classico è sempre stato quello di fornire dei vetri di messa fuoco con sovraimpresse un paio di cornici per le focali disponibili (28+90mm, 35+135mm, 50+75mm).

L'approccio della M typ 240 è un po' più moderno: una cornice luminosa si illumina a seconda dell'ottica installata e compensa per la distanza di messa a fuoco, anche se per una questione di ottica fisica il riquadro indica con precisione l'area inquadrata solo a una certa distanza, in questo caso scelta pari a 2 metri. A 0,7 metri, l'area riprodotta è più piccola di una quantità pari allo spessore della cornice, all'infinito più grande della stessa quantità. Il riquadro da quindi un'idea dell'inquadratura, non una sua esatta rappresentazione.

Anche per questo, il riquadro nelle M è sempre interno rispetto all'area visibile nel mirino, e questa è una cosa che gli utenti Leica amano molto, perché dà la possibilità di vedere anche una parte di ciò che accade intorno al soggetto, rendendo il fotografo più pronto a cogliere eventuali fatti "periferici".

Solo per utenti Leica: due aspetti potenzialmente negativi della cornice elettronica sono dati dal fatto che ora non è più possibile avere la preview di come sarebbe l'inquadratura con una diversa focale, come molti sono abituati a fare, e che la corretta cornice richiede l'uso di ottiche con codifica a 6 bit, introdotta nel 2006. Giova ricordare, a questo proposito, che molte ottiche Leica prodotte fin dal 1963 possono essere equipaggiate con il codice a 6 bit con un semplice intervento del centro assistenza.

In ogni caso, queste due circostanze impattano sulla M typ 240 in misura minore rispetto, ad esempio, alla M-E, data la presenza della funzione LiveView. Per concludere con la descrizione del mirino, non ci resta che citare il fattore di ingrandimento: 0,68x.

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