Dopo la parentesi della pandemia molte aziende in tutto il mondo stanno cercando di far tornare i lavoratori in ufficio. E in futuro si potrebbe usare il controllo delle onde cerebrali per monitorare i lavoratori e valutare le assunzioni; un possibile uso delle future neurotecnologie che già preoccupa le autorità garanti per il trattamento dei dati personali.
"Stiamo assistendo a una crescita piuttosto rapida, sia per quanto riguarda gli investimenti che i brevetti sviluppati in questo settore", ha dichiarato Stephen Almond (ICO, l’autorità britannica per il trattamento delle informazioni) a BBC News.
Ciò che risulta rilevante, in questa cornice, è che non ci si domanda se queste tecnologie saranno mai disponibili. Lo si considera un fatto assodato, e si cerca quindi di capire come affrontare la questione nel migliore dei modi, dal punto di vista del trattamento dei dati personali e del rispetto delle persone.
Al momento ci sono alcune sperimentazioni in stato avanzato, come quella di Neuralink; e ci sono progetti in ambito medicale, con pazienti che controllano le proprie protesi grazie a un’interfaccia collegata direttamente al cervello. E naturalmente le moderne tecnologie AI promettono di portare grandi miglioramenti anche in questo ambito.
Il problema, secondo ICO, è che queste tecnologie in futuro potrebbero essere usate anche per altri scopi. In particolare l’uso sul luogo di lavoro rappresenta una potenziale complicazione. In teoria, si ipotizza, caschi, cuffie e dispositivi di protezione potrebbero integrare tecnologie per il monitoraggio delle attività cerebrali, mirando l’attenzione e la concentrazione di una persona.
Può essere una buona cosa, perché di sicuro vorremmo sapere se un lavoratore è distratto mentre sta facendo un’attività pericolosa. Ma non è l’unica situazione possibile.
Secondo Almond, queste tecnologie si potrebbero usare per misurare la reazione allo stress sul posto di lavoro, o per controllare il livello di concentrazione e di stress degli studenti a scuola. Potrebbe diventare, inoltre, un passo evolutivo in quello che oggi è conosciuto come neuromarketing. In un esempio, il rapporto immagina che in futuro le cuffie dotate di neurotecnologia possano raccogliere dati utilizzati per la pubblicità mirata. Non sembra molto credibile, ma dopotutto l’obiettivo è quello di mettere in guardia.
Il problema è che tutte queste applicazioni potrebbero portare a un aumento delle discriminazioni e delle disuguaglianze. In primo luogo perché gli algoritmi si sono dimostrati in diverse occasioni poco affidabili, con dei “pregiudizi integrati” che dovrebbero renderne l’utilizzo inaccettabile - e invece li stiamo usando ogni giorno di più.
Ma non è tutto. Il controllo neurologico potrebbe attivare un nuovo tipo di discriminazione, con i selezionatori che escludono qualcuno perché non rispetta un ipotetico modello neurologico ideale - andando a complicare ulteriormente il dibattito su chi dovrebbe essere considerato sano e normale, e chi invece no. Questi strumenti potrebbero poi far emergere condizioni e patologie di cui la persona non è al corrente.
Il rapporto britannico solleva sollevato anche questioni spinose sul consenso. "Se non sapete cosa la tecnologia sta per rivelare su di voi, potete davvero acconsentire in anticipo al trattamento di quei dati personali che vi riguardano?", ha detto Almond. "Perché una volta che i dati vengono resi pubblici, il controllo su di essi è relativamente ridotto".
Immagine di copertina: marselin888