È chiaro ormai da molti anni come in astronomia non sia più sufficiente osservare soltanto nella banda visibile. I fenomeni più interessanti infatti, spesso si rivelano soltanto utilizzando tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma. Per questo motivo, si sono moltiplicati gli strumenti in grado di osservare il cielo su differenti lunghezze d’onda, sia terrestri che spaziali. Tra questi, occorre senz’altro citare Chandra. Si tratta di un telescopio spaziale progettato per osservare il cielo nei raggi X e in orbita dal 1999. In vent’anni di onorato servizio ha contribuito a innumerevoli scoperte e tutt’oggi continua a stupirci.
Sull’Astronomy Picture of the Day del 5 marzo è stata pubblicata un’immagine di una delle sue ultime scoperte, che peraltro rimane ancora avvolta nel mistero. Si tratta della galassia NGC 3079, un nucleo attivo del tipo Seyfert 2 distante circa 67 milioni di anni luce dalla Terra. La cosa inusuale sta nelle due strutture visibili in prossimità del nucleo della galassia, una sorta di superbolle di gas che si propagano per migliaia di anni luce. Cosa le ha prodotte? Premesso che una risposta univoca al momento non esiste, vediamo di capire un po’ meglio di cosa stiamo parlando.
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Una Seyfert non è altro che una galassia caratterizzata da una forte attività del nucleo centrale, ospitante un buco nero supermassiccio. Tutte le galassie che presentano fenomeni del genere sono dette perciò AGN (Active Galactic Nuclei). In realtà, la classificazione dei vari tipi di AGN è dovuta a un puro effetto prospettico in quanto, secondo il cosiddetto modello unificato, le differenze osservative tra Seyfert di tipo 1 e 2, blazar, quasar, sono dovute sostanzialmente al diverso angolo di inclinazione sotto il quale vediamo la galassia. Inoltre è probabile che la fase di AGN sia uno stadio evolutivo piuttosto comune nel corso della vita di una galassia, piuttosto che una caratteristica tipica solo di alcune di esse.
In generale, uno dei processi più comuni di emissione degli AGN è quello della radiazione di sincrotrone. Nonostante il termine complicato, si tratta in realtà di un concetto tutto sommato semplice. Il buco nero centrale genera un fortissimo campo magnetico, lungo le cui linee di campo gli elettroni liberi, presenti in gran quantità nel plasma che popola il nucleo, vengono accelerati. Quando gli elettroni accelerano, si genera la radiazione di sincrotrone, sotto forma di fotoni emessi dagli elettroni stessi. Tipicamente ciò avviene lungo l’asse di rotazione del buco nero.
Nel caso di NGC 3079 però, la faccenda sembrerebbe un po’ più complessa. Le strutture visibili infatti sarebbero costituite da gas in espansione che, scontrandosi con il gas circostante crea onde di shock, sotto forma appunto di superbolle. A causa del campo magnetico, le particelle cariche vengono accelerate e deviate, un po’ come in un flipper, e alcune riescono a scappare dal fronte dello shock, raggiungendo la Terra sotto forma di raggi cosmici. Per lo stesso motivo, si ha anche in questo caso la produzione di radiazione di sincrotrone, che per la prima volta è stata osservata in superbolle di questo tipo.
Per darvi un’idea della potenza dei processi in gioco, basti pensare che le particelle che formano le bolle possiedono energie ben superiori a quelle che è possibile raggiungere con LHC (Large Hadron Collider), il più grande e potente acceleratore di particelle che abbiamo oggi a disposizione.
In tutto questo, non abbiamo ancora risposto alla domanda iniziale, ovvero da cosa si sono formate le bolle. Le ipotesi al vaglio sono essenzialmente due. La prima le assocerebbe a una grande quantità di materia assorbita dal buco nero, che nella sua caduta verso il punto di non ritorno si riscalda producendo enormi quantità di energia sotto forma di particelle e di campo magnetico. Del resto bisogna ricordare che il collasso gravitazione è la più efficiente fonte di produzione di energia dell’Universo, ben più della fusione nucleare.
La seconda teoria invece spiegherebbe le bolle come il frutto di “venti” di particelle causati da un enorme numero di stelle neonate nel nucleo della galassia. Ciò è tipico delle stelle nelle prime fasi della loro vita, che tramite un flusso enorme di particelle, una sorta di vento appunto, spazzano l’ambiente circostante ripulendolo dal gas e dal pulviscolo in eccesso. Un effetto del genere però richiederebbe un numero enorme di stelle neonate, tipico forse di galassie che attraversano la fase cosiddetta di “starburst”, ovvero caratterizzate da un tasso furioso di formazione stellare, ben superiore al normale.
A infittire ulteriormente il mistero è la somiglianza delle superbolle con le bolle di Fermi, osservate per la prima volta nella Via Lattea nel 2010. Si tratta di due grandi lobi di gas espulsi dal centro della nostra galassia, a causa di un qualche evento estremamente energetico avvenuto tra i 6 e i 9 milioni di anni fa. In effetti, le superbolle di NGC 3079 sembrerebbero essere una versione più giovane ed energetica delle bolle di Fermi.
Ad ogni modo, il mistero rimane, e sicuramente c’è ancora molto da capire, sia sulla nostra Galassia, sia sugli AGN e sul loro funzionamento.
Antonio D’Isanto è ricercatore postdoc presso l’Heidelberg Institute for Theoretical Studies in Germania. Ha conseguito il dottorato in astronomia presso l’Università Ruperto Carola di Heidelberg e ha all’attivo pubblicazioni su importanti riviste come MNRAS e Astronomy&Astrophysics. Si occupa prevalentemente di astroinformatica, ovvero l’applicazione di tecnologie e metodologie informatiche per la risoluzione di problemi complessi nel campo della ricerca astrofisica. Si interessa inoltre di reti neurali, deep learning e intelligenza artificiale. Da diversi anni si occupa attivamente di divulgazione scientifica. Da sempre appassionato di sport, è cintura nera 2°dan di Taekwondo, oltre che di lettura, cinema e tecnologia. Collabora con Tom’s Hardware per la produzione di contenuti scientifici.