Secondo i più recenti dati Fimi (Federazione Industria Musicale Italiana) in Italia spendiamo il 16% in più per la musica in streaming, quindi per servizi come Spotify, Youtube Music, Amazon Music Unlimited, Apple Music e così via. Il dato fa riferimento ai primi sei mesi del 2023, e anche a livello globale si è registrata una buona crescita.
Il fatturato del settore musicale nel periodo preso in considerazione arriva a 139 milioni di euro, cioè la maggior parte di quei 175 milioni che rappresentano l’intero mercato musicale italiano. Il digitale rappresenta, nel complesso, l’84% del mercato totale.
I servizi in abbonamento in particolare sono cresciuti del 18,2%, ma sono aumentati anche i guadagni delle app “gratis con pubblicità”, con un +22,9%.
Tra le ragioni dietro a questa crescita Fimi cita il Bonus Cultura 18app, che a fine giugno aveva generato oltre 8 milioni di euro.
Perché spendiamo di più in streaming musicale?
Una prima ragione evidente a tutti è che i prezzi sono aumentati, ma l’aumento di Spotify in realtà risale a luglio 2024 e quindi non ha nulla a che vedere con questa statistica. Al limite peserà sul prossimo aggiornamento dei dati.
L’altra spiegazione è che aumenta il numero di abbonati, e con ogni probabilità si tratta di persone che stanno gradualmente abbandonando la pirateria.
Eh sì, perché la pirateria musicale esiste ancora; ovviamente non è quel fenomeno globale e dirompente dei primi anni duemila, quando eravamo nel pieno del terremoto innescato da Napster.
Tuttavia c’è ancora chi scarica musica senza pagare nulla, e probabilmente per queste persone arriva il punto in cui il pensiero diventa ma chi me lo fa fare, pago sti dieci euro al mese e basta. O magari passano semplicemente al servizio gratuito con pubblicità, che seppure con i suoi limiti piace a molti.
Un piccolo contributo poi, forse, vene dagli audiofili più esigenti: di recente infatti hanno cominciato ad affermarsi anche i servizi in streaming in alta definizione. Sicuramente ci sono ascoltatori esigenti che fino a ieri non volevano nemmeno sentir parlare di streaming, e che oggi “con l’impianto giusto”, sono più possibilisti e disposti a pagare l’abbonamento.