Il dato complessivo, sebbene impressionante, deve confrontarsi comunque con la rinnovata competizione nel settore – alimentata indirettamente dall'azione dell'Amministrazione Trum- e con il fatto che gli operatori si affidano a più fornitori. Ericsson e Nokia ad esempio sono diventati fornitori ufficiali di China Mobile. Inoltre lo stesso AD del colosso finlandese ha dichiarato di aver ottenuto a giugno 42 contratti 5G, contro i 40 di Huawei e i 22 di Ericsson (di cui 9 reti commerciali 5G in 4 continenti).
Un altro fronte decisivo è rappresentato dai brevetti 5G, dove Huawei, secondo un'indagine di IPlytics, ne vanterebbe 2160 di essenziali (SEP - Standard Essential Patents), contro i 1516 di Nokia, i 1424 di ZTE, i 1359 di LG, i 1353 di Samsung e i 1058 di Ericsson. Al momento però non è chiaro quali siano i rapporti di forza reali in relazione a quelli solo depositati, dichiarati o verificati (qui un approfondimento). Bisogna infatti ricordare che la standardizzazione è avvenuta solo a giugno 2018 e le procedure di assegnazione sono complesse e articolate.
Per quanto riguarda infine lo scenario statunitense bisogna registrare l'annuncio di ieri di Micron Technology, uno dei produttori leader nel mercato delle memorie, che ha confermato il riavvio delle spedizioni verso Huawei. L'AD Sanjay Mehrotra ha dichiarato che nelle ultime due settimane il canali di distribuzione è stato riaperto a prescindere dalla "lista di entità" imposta da Washington. "Abbiamo determinato che potremmo legittimamente riprendere la spedizione di un sottoinsieme di prodotti correnti perché non sono soggetti alle normative sull'amministrazione delle esportazioni e alle restrizioni dell'elenco delle entità", ha sottolineato Mehrotra in una conference call con gli investitori.
"Tuttavia, esiste una notevole incertezza che circonda la situazione di Huawei e non siamo in grado di prevedere i volumi o i periodi di tempo durante i quali saremo in grado di spedire i prodotti a Huawei". L'appiglio è legato al fatto che le norme impongono restrizioni solo a quei prodotti che hanno il 25% o più di tecnologia o materiali di origine statunitense. Sfruttando questo escamotage, secondo il New York Times, pare che anche Intel abbia ripreso a spedire alcuni prodotti ma l'azienda ha preferito non commentare.